Il deserto dei Tartari - Dino Buzzati

Mentre si avvicina a cavallo alla Fortezza Bastiani, Giovanni Drogo pensa che la sua preoccupazione più grande sia la gaffe compiuta nel salutare con un grido e una evidente gesticolazione l'unico soldato avvistato lungo la strada, rivelatosi poi un suo superiore. La roccaforte, costruita all'estremo confine settentrionale in un territorio inospitale e lontano da qualsiasi svago per resistere all'assalto dei Tartari, popolazione che non si vede da anni, ma il cui incubo regola i ritmi della vita nell'avamposto, è la destinazione di questo giovane tenente, che, non avendo mai fatto richiesta per esservi assegnato, si dà immediatamente da fare per ottenere un trasferimento. Quando, però, la prospettiva di lasciare la frontiera è ormai a portata di mano e basta una sola firma per decretarla, Drogo è già vittima del fascino inspiegabile della Fortezza Bastiani, che ha legato a sé le esistenze di molti altri soldati prima di lui.

Drogo accetta di rimanere alla fortezza nella convinzione di poterla abbandonare in qualsiasi momento, di poter vivere al di fuori di essa e senza di essa, ma già la prima licenza rivela a Drogo l'impossibilità di riprendere l'esistenza che conduceva prima dell'arruolamento, di riallacciare i rapporti con gli amici e con Maria, la ragazza con cui avrebbe dovuto sposarsi: dopo soli quattro anni Drogo ha perso i legami con il mondo esterno, con la routine familiare, con i sentimenti più naturali e più forti, e il suo successivo ritorno alla fortezza sarà per sempre.
Entro le mura, nei rigidi ritmi dei cambi della guardia e dei trasferimenti fra le ridotte, si attende l'arrivo dei Tartari, e ogni piccola anomalia fa salire l'eccitazione dell'imminente battaglia, salvo risolversi in puntuali disillusioni. La Fortezza Bastiani tiene avvinti a sé i soldati anno dopo anno con la promessa della gloria bellica, con le visioni di imprese epiche, ma la loro permanenza entro le mura si risolve solo in un progressivo invecchiare che Drogo tenta continuamente di negare; ma non c'è nulla da fare: più egli rifiuta la perdita della giovinezza, più rimarca tutto ciò che la Fortezza, in cambio di vane speranze, gli ha tolto.
Il romanzo, pubblicato da Dino Buzzati nel 1940, affronta il tema già leopardiano dell'attesa, dell'esistenza condotta aspettando un piacere che sembra destinato a non arrivare, di una vita che si alimenta di speranze e si consuma nella delusione. Nel progredire della vicenda di Drogo vediamo riflesso il destino dell'umanità che, spesso, affascinata da grandi traguardi, sacrifica ad essi ogni cosa, privandosi delle piccole gioie e votandosi esclusivamente all'attesa, per scoprire, infine, di aver inseguito una chimera o di aver ceduto proprio all'ultimo e di non avere che un'ultima sfida da affrontare, quella con la Morte. L'ambientazione quasi mitica della vicenda, in cui non si conosce alcun riferimento geografico reale tranne che nell'accenno da parte di Maria ad un suo viaggio in Olanda (che pare, da come ella ne parla, molto lontana), accentua il valore universale della storia e del suo significato.
Ho scoperto questo libro nel corso di un tirocinio in un istituto superiore, attraverso le parole degli studenti, che erano stati invitati a leggerlo dai docenti di Italiano e Filosofia. La maggior parte della classe non l'aveva gradito, eppure chi lo aveva apprezzato ne era rimasto incantato. Perché un simile romanzo può non piacere ai giovanissimi? La risposta è semplice: non si tratta di un racconto scandito da episodi di grande forza narrativa, ma da frammenti di vita militare che servono ad alimentare una riflessione su un tema che molti ragazzi, legittimamente, non accolgono, quello della consumarsi del tempo e dell'avvicinarsi della morte. Eppure tale pensiero è proposto in una forma agile (capitoli brevi e frasi essenziali) e calato in un contesto senza fronzoli, privo di moralismo e senza sfoghi titanici al pessimismo: lo stile piano, la pacatezza del racconto fanno sì che, superato il tema ostico, il romanzo sia estremamente godibile.
«Drogo rimase solo e si sentì praticamente felice. Assaporava con orgoglio la sua determinazione di restare, l'amaro gusto di lasciare le piccole sicure gioie per un grande bene a lunga e incerta scadenza (e forse c'era sotto il consolante pensiero che avrebbe sempre fatto in tempo a partire).
Un presentimento - o era solo speranza? - di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva anche essere soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi?»
C.M.

Commenti

  1. Bellissimo libro e molto interessante anche il film.
    Buzzati è uno dei miei autori dell'infanzia. Conservo gelosamente un'edizione di "La famosa invasione degli orsi in Sicilia", che adoro.
    Inoltre c'è un'aspetto di Buzzati poco conosciuto: lui illustrava anche i suoi libri, ed aveva un vero talento!
    A presto

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    1. Hai fatto bene a ricordarlo: la stessa illustrazione scelta da Mondadori come immagine di copertina è proprio quella realizzata dall'autore per questo romanzo! Sarebbe bello approfondire l'aspetto artistico di Buzzati, nel mio caso, poi, devo soffermarmi anche su quello letterario: Il deserto dei Tartari è stato il primo suo romanzo che abbia letto!

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  2. L'ho letto e l'ho trovato un buon romanzo ma troppo "annunciato" sin dalle prime pagine. É particolarmente riuscito sul piano dell'introspezione del protagonista e sulle sue piccole ossessioni e nevrosi legate all'osservazione esasperata del confine e all'attenzione maniacale verso i fatti insignificanti che accadono nella Fortezza.

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    1. E' vero, tutto comincia con l'insistente gocciolare dell'acqua della cisterna e, pian piano, sotto gli occhi del lettore si snoda ogni più piccolo filamento del pensiero di Drogo...

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  3. Come altre opere non apprezzate a scuola, ho ripreso in seguito “Il DdT”…
    È vero, la lentezza e la mancanza di azione possono essere deprimenti.
    Dopo i vent’anni il tentativo è fallito: lettura non conclusa.
    Ho avuto la tentazione di buttarlo dopo i quaranta e non per “il consumarsi del tempo e l’avvicinarsi della morte”, temi da te accennati con tanta delicatezza.
    Forse ho una “consapevolezza ontologica” così sviluppata da pensare che posso perfino deprimermi senza leggere le altrui elucubrazioni: insomma, posso guardare la mia clessidra esaurire la sabbia e pensare all’eventuale ”oltre” a modo mio…(eh, la modestia!;->)
    Aspetto ancora i cinquanta, poi lo regalo. Sempre che arrivi a soffiare sulle 50 candeline, tanto per adeguarmi all’atmosfera del romanzo.

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    1. No, Marzia, non adeguiamoci a quell'atmosfera a questo punto! :)
      Fa un effetto strano leggere l'acronimo "DdT", fa sembrare il romanzo un prodotto letale! ;)
      Trovo del tutto legittima la scelta (che io ho fatto per altri libri) di non affronare un testo per la sua tematica o perché pieno di elucubrazioni e pensieri tristi o deprimenti... si deve leggere per piacere, non per infliggersi un sacrificio! :)

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  4. Il deserto dei tartari è un libro a cui sono particolarmente legato, questo e l'uomo senza qualità. La sostanza è che Buzzati ti afferra ti molla uno schiaffone e ti dice "Vivi! che il tempo fugge via precipitosamente" la forma una meravigliosa fiaba metafisica. Oltre la trasposizione cinematografica ufficiale c'è ne un'altra (molto) meno nota "Destinazione piovarolo" un film di Totò che apparentemente è il solito film comico del grande attore ma dietro le quinte è un omaggio a Buzzati. Vedere per credere.

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    1. Hai riassunto alla perfezione il succo del romanzo, un "carpe diem" cronologicamente più vicino a noi rispetto all'originale! Il film mi manca, ma, dato il fascino che ho subito dal libro, penso proprio che me lo procurerò, e terrò presente anche il riferimento a Totò!

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  5. Mi piace ciò che scrive Servegnini:" La Fortezza Bastiani era, in realtà, la redazione del Corriere della Sera, dove il Tenente Drogo/Dino Buzzati aspettava la grande occasione professionale. Una fenomenale allegoria della vita e dell’attesa. Uno libro impeccabile perché grandioso ed evocativo; eppure breve, e scritto in modo pulito."

    Ed io aggiungo i miei pensieri: come si fa a scrivere un romanzo di duecento pagine in cui non succede niente? Qualcoa dovrà pur accadere, anche solo un piccolo evento nello scorrere dei giorni del protagonista, un incontro, un pensiero ribelle. E invece no. Nel Deserto dei Tartari non succede assolutamente niente. E allora perché è un libro bello? Perché quello che Buzzati fa succedere è che piano piano ci accorgiamo che questo libro parla direttamente a noi. Questo libro mi ha lasciato però un’angoscia inesprimibile, mi ha straziato il cuore, mi ha fatta riflettere su quanto sia vero che il tempo scorre mentre noi ce ne stiamo qui nella convinzione che un giorno succederà qualcosa, un giorno comincerà la vita vera, e intanto la vita vera se ne sta andando e non ce ne accorgiamo neppure. Aspettare è un male dell' anima.
    a presto
    simonetta

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    1. Fantastica osservazione-parallelo: secondo l'interpretazione di Severgnini, la Fortezza Bastiani potrebbe essere il mio stage, dove ogni pomeriggio trascorre nella speranza che mi venga affidato un incarico importante e, invece, mi trovo costantemente a fare fotocopie e invio del materiale publicitario... forse è per questo che il libro mi è piaciuto tanto...?!
      Hai poi avanzato una bellissima conclusione: "Aspettare è un male dell'anima"... è verissimo!

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  6. Sul tema "dell'esistenza condotta aspettando un piacere che sembra destinato a non arrivare, di una vita che si alimenta di speranze e si consuma nella delusione" anche se in termini di speranze in negativo, nel senso che si spera che un qualcosa non si produca, che un pericolo temuto non si manifesti, mi permetto di segnalare - sicuramente l'avrai letto - un testo di Henry James da me amatissimo, The Beast in the Jungle, mi pare in italiano sia stato originariamente tradotto come La tigre nella giungla

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    1. Non l'ho letto, ma il consiglio è più che gradito, grazie! Mi fa molto piacere che da un testo o una tematica si producano suggerimenti, collegamenti e spunti ulteriori di riflessione!

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  7. Ho letto questo libro più o meno all'inizio di quest'anno e l'ho talmente amato da domandarmi, anche durante la lettura, come avessi fatto a lasciarmi sfuggire un capolavoro di questo calibro fino a quel momento. E' davvero un romanzo bellissimo e scritto davvero con maestria. Non ho ancora avuto modo di vedere il film, ma spero di poterlo fare al più presto.

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    1. Ricordo bene la tua recensione (anzi, approfitto del commento per suggerire il link agli altri lettori: http://langolinodiale.wordpress.com/2013/03/23/il-deserto-dei-tartari-di-dino-buzzati/): il tuo post è stato determinante nel farmi ricordare che mi ero riproposta già da un anno di leggerlo! Ripercorrendola ora, mi sento di condividere tutte le migliori impressioni suscitate dal romanzo, un autentico capolavoro di narrativa! :)

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  8. Quando si parla di Buzzati io entro in uno strano stato: contemporaneamente muoio dalla voglia di commentare e ribattere a tutte le affermazioni che si fanno su di lui e al tempo stesso mi intimidisco, per il rispetto che porto all'autore e per la paura di confondere e sbagliare con la mia foga.
    Anche io quando lo lessi al liceo la prima volta, imberbe, la pensai così: un'invito a vivere veramente, a non aspettare il momento in cui tutto cambi e arrivi la felicità. Ed è così, in parte. Ma. Poi ho letto altro, sono cresciuto, ho scritto una tesi su di lui. Buzzati amava con tutta l'anima fare il suo lavoro e non vi ha mai rinunciato, neppure quando era uno scrittore famoso o quando stava per morire. Nel Deserto dei Tartari Buzzati spalanca gli abissi delle paure umane con infinita dolcezza e delicatezza: non importa se hai passato la tua vita ad aspettare o a fare cose, la morte tanto arriva per tutti. Arriva per chi muore in battaglia e per chi muore nel proprio letto, per chi tiene un blog e per chi invece non legge un libro, per un bambino che muore per un vecchio che rimbambisce all'ospizio, per me per te per tutti. Non importa quello che fai. Muori. Sei Uomo. Si, forse chi muore per conquistare una vetta ha una morte più bella, agli occhi degli altri. Ma muore e la sua morte è uguale alla tua. Buzzati svela l'inganno. Anche chi vive al massimo spera sempre che l'attimo successivo sia migliore, chiunque in qualsiasi momento, ha un po' di speranza. Ma la vita finisce. Allora cosa fai con questo immane peso? Lo porti accanto a te, a volte te ne dimentichi ma è sempre lì. E bisogna resistere. E lottare per non farsi portar via dalla corrente. Il Deserto è universale proprio perché è la vita di tutti, perché tutti aspettiamo.
    Spero di non aver fatto troppa confusione. :) Se vuoi provare un'altro lato di Buzzati è consigliatissimo un'altro romanzo, il contrario e il gemello del Deserto: Un Amore http://wp.me/p29xff-6z

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    1. Un bellissimo resoconto, che svela i significati del romanzo, molteplici, ma, in fondo, tutti riconducibili a quello che definisci felicemente lo 'spalancarsi di abissi delle paure umane con infinita dolcezza e delicatezza'. Aggiungo solamente il ringraziamento per aver condiviso con noi questa profonda riflessione e il link in cui ci sveli un Buzzati diverso, che non mancherò di conoscere e affrontare con le prime impressioni prodotte da Il deserto dei Tartari. :)

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  9. Si tratta di uno di quei romanzi che apprezzi dopo averli letti, a distanza anche di molto tempo - almeno, per me è stato così. Le sue immagini e il suo senso profondo sono qualcosa di prezioso, che sto riscoprendo.

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    1. Capisco benissimo cosa intendi, trovo che le riletture o anche solo le riflessioni a posteriori spesso valgano quanto o più del primo impatto: la potenza dell'eco!

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  10. Se vuoi scoprire un Buzzati diverso ti consiglio "La boutique del mistero": è una raccolta di racconti-perla :)

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    1. Quel titolo mi ha sempre intrigata un sacco, eppure, come per tanti testi "addocchiati", devo ancora procurarmelo... grazie di avermelo ricordaro! :)

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