Storia di una capinera - Giovanni Verga

Prima di diventare l'esponente di punta del Verismo, Giovanni Verga (1840-1922) scrisse romanzi e racconti fortemente influenzati dalle precedenti atmosfere romantiche e risorgimentali. In questo clima nacquero le opere meno note dell'autore catanese: Amore e patria (1856), I carbonari della montagna (1862) e Una peccatrice (1866), testi in cui si nota un soggettivismo profondo ed esasperato, che trova una sorta di declinazione filantropico-sociale nel brevissimo romanzo Storia di una capinera, scritto a Firenze nel 1869.
La narrazione è condotta in forma epistolare, in una conversazione che, per la mancanza delle lettere di risposta, si configura come un monologo. A scrivere è la giovane Maria, costretta a farsi monaca di clausura per le modeste condizioni economiche della famiglia: è rimasta orfana e il padre si è risposato con una donna da cui ha avuto due figli, e solo la povera Maria è estromessa dalla gioia familiare, pur essendo per carattere una giovane di modeste aspirazioni. Lo spunto dello scambio epistolare viene dal periodo che Maria trascorre lontano dal convento, prima di prendere i voti, a causa della diffusione di un'epidemia di colera che spinge i siciliani ad allontanarsi dalle città per rifugiarsi nelle case di campagna; a Monte Ilice (questo il nome della località in cui si trasferisce), manifesta il suo profondo affetto per i fratellastri Giuditta e Gigi e per la matrigna che, però, non lo ricambiano, ma, soprattutto, incontra il giovane Nino, di cui presto si innamora, scoprendosi da lui ricambiata. Con l'estinguersi dell'epidemia, però, Maria è costretta a tornare in convento e ad avviare il cammino verso la monacazione; poco tempo dopo scopre che Nino ha sposato sua sorella Giuditta. A questo punto le sue lettere, prima costellate di mea culpa e di soffocamento del sentimento che prova per Nino, diventano l'espressione violenta del suo rifiuto di dedicarsi alla vita ritirata di preghiera predisposta per lei: la sua riluttanza, prima mai accennata, anzi, sempre negata, emerge con durezza, in sfoghi emozionali e allucinazioni che diventano sempre più incalzanti e agitati, fino alla follia e alla malattia.
La vicenda di Maria è ispirata ad alcuni momenti della biografia del poeta e in essa si uniscono i racconti della madre ambientati nel periodo di educazione trascorso presso la badia di Santa Chiara, le esperienze di alcune zie e l'incontro personale di Giovanni Verga con la giovane Rosalia, un'educanda del monastero di San Sebastiano che sarebbe stata il suo primo amore.
In questo romanzo, pubblicato dapprima a puntate nel 1970 sul Corriere delle dame, poi stampato nella rivista di moda La ricamatrice con il titolo di La Capinera, ricosse fin dall'inizio un grande successo di pubblico e segnò l'esordio della nuova narrativa di Verga, improntata, anche se ancora in una forma squisitamente letteraria, ad un'attenta analisi delle problematiche sociali e alle questioni etiche di un tempo di grandi cambiamenti.

C.M.

Commenti

  1. E' una storia tristissima.....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lo è davvero; non che mi aspettassi un Verga allegro, la storia della povera Maria, inoltre, è ben nota, eppure la lettura mette una grande malinconia, complice l'esasperazione dei toni e delle emozionalità tipica del tardo romanticismo...

      Elimina
  2. sempre interessanti i tuoi post. Storia di una capinera non lo conosco, Verga rimane per me un autore di liceo purtroppo. Dico purtroppo perché invece i suoi racconti mi piacevano molto. Credo che leggerò questo, sono incuriosito da quello che dici della follia, il modo in cui ce ne farà vedere lo sviluppo in forma epistolare

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il testo mi ha colpita molto, c'è un'attenzione all'emozionalità che è più tipica del Romanticismo che dei movimenti naturalistici e, anche se continuo a preferire le pagine dei Malavoglia, vale sicuramente la pena conoscere questo aspetto della produzione di Verga.

      Elimina
  3. Storia di una capinera mi era piaciuto, per quanto fosse nuovamente una vicenda tragica, senza vincitori. Nelle Novelle e nei Malavoglia, e nemmeno in Mastro don Gesualdo, se ricordo bene, non esiste un momento di gioia o un momento in cui il protagonista lotta per cambiare la propria situazione. Se lo fa, riceve il doppio delle batoste. Verista, vero, ma un pochino pessimista...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mastro don Gesualdo devo ancora leggerlo e devo farlo assolutamente, perché Verga, anche se pessimista (non si può negarlo), mi ha colpita fin dall'inizio proprio per la crudezza di certe affermazioni e situazioni e, allo stesso tempo, non lascia spazio a moralismi di fondo: è anni luce distanziato da quel Manzoni che proprio nell'anno della sua nascita pubblicava l'ultima edizione dei Promessi Sposi, non cerca di fornire spiegazioni, ma registra l'inesorabile travolgimento delle anime semplici e umili che non possono sperare in nessuna consolazione... terribilmente malinconico, lo so, ma mi coinvolge molto...

      Elimina
  4. Sia i Malavoglia che i racconti mi sono piaciuti molto, mai letto Storia di una capinera, sarà che non è un classico scolastico. ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il primo Verga, in effetti, si studia poco: si passa subito a dire che è il aggior esponente del Verismo, ma la sua formazione tardo-romantica (che da Storia di una capinera sembra in realtà essenziale per i successivi romanzi) è sempre tralasciata, sicuramente anche per esigenze di tempo. Un vero peccato, come per tante altre esclusioni: cerchiamo di rifarci come lettori se troviamo qualcosa che meriti approfondimento! :)

      Elimina
  5. Che brava che sei Cristina...se posso cerco sempre di seguirti.
    A proposito della "Capinera" molti la racchiudono tra i primi romanzi dell'autore ma come stile-pensiero-trama ha già molto del "Ciclo dei Vinti",come sopra alcuni hanno già menzionato.
    Ehh...la teoria "dell'ostrica"...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Michela! :)
      Sono d'accordo con te, penso che i romanzi veristi di Verga non sarebbero mai nati senza questa fase di passaggio dalle disillusioni romantiche all'analisi della realtà, dalla prospettiva intimistica ed emozionale alla lucida affermazione della teoria dell'ostrica da te citata, che ritengo una delle più belle ed efficaci mai scritte!

      Elimina

Posta un commento

La tua opinione è importante: condividila!