Un popolo di Santi e Navigatori

Di fronte alle vergognose vicende che ogni giorno ci colpiscono sul fronte sociale, politico e culturale, gli Italiani si dimostrano, come vuole il detto, un popolo di Santi e Navigatori (poeti pochi, direi). Santi perché sembrano accettare anche i peggiori insulti, Navigatori perché credono che basti risolverli o bollarli attraverso la rete, con un like o un dislike, con un retweet o una condivisione.
La Riforma elettorale necessaria ad abolire un processo di voto incostituzionale è costantemente dilazionata, la classe politica pota costantemente avanti solo i propri interessi, c'è chi, con la scusa di abolire le tasse, non fa altro che estenderle cambiandone il nome, ogni giorno vanno in fumo migliaia di posti di lavoro, Pompei è in rovina, ma, finché le televisioni continuano a funzionare e gli stadi rimangono aperti almeno tre giorni alla settimana, tutto sarà accettato.
Intano, però ci si rincorre in un incessante can can online per manifestare il proprio sdegno.
Tutti possiamo, accedendo a questo o a quel sito, firmare petizioni, far girare un articolo, esprimere in coda il nostro disappunto, rispondere ai sondaggi, e, di per sé, questa è una grandissima risorsa della rete, che dovrebbe alimentare l'informazione e il confronto. Le informazioni sono a portata di mano: in ogni istante possiamo sapere con una buona approssimazione di certezza cosa stia accadendo nell'angolo più remoto del Paese e mobilitarci perché tutti i nostri contatti lo sappiano. Esprimere il proprio consenso o dissenso via internet è facile, fin troppo.
La rete e i social sono un mezzo importante di intervento, ma non sono il solo; allo stesso modo, non basta rispondere ad un sondaggio telefonico per sentire di aver fatto la propria parte e aver contribuito all'informazione, anche se chi lo commissiona vuole darci l'idea che sia determinante. Noi Italiani siamo bravissimi a manifestare la nostra volontà e le nostre opinioni tramite i media, siamo degli eccellenti Navigatori, ma i dati di affluenza alle urne dimostrano anno dopo anno che, quanto più aumentano le possibilità di informarsi e partecipare alle discussioni, tanto più cala la percentuale dei votanti.
 
 
C'è, dunque, una straordinaria partecipazione virtuale ai problemi d'Italia, ma nella realtà molti si ritraggono dal confronto e dalle uniche possibilità di espressione diretta.
Va detto che in questo Paese le possibilità di intervento a mezzo voto sono state orrendamente ridotte dall'attuale legge elettorale e da cavilli che noi comuni mortali possiamo solo immaginare quanto siano influenti, nonché dalla progressiva riaffermazione di un concetto che riecheggia l'assolutismo più viscido. «Dio me l'ha data, guai a chi me la tocca»: disse Napoleone, riferendosi alla corona d'Italia ricevuta a Milano nel 1805, stabilendo il proprio diritto a governare su tutto e su tutti; e, ormai, da diversi anni chi detiene un qualche potere in virtù di un consenso elettorale si sente impunito e impunibile, autorizzato a fare ciò che vuole su ogni fronte, al di fuori di qualsiasi patto elettorale e di sussulti di coscienza. Potrei citare decine di questi casi di ogni colore politico, i cui protagonisti hanno costantemente negato di aver fatto un uso personale della res publica, ma credo di palare alla consapevolezza di tutti voi.
La crisi contingente ha dato sempre più adito a umiliazioni, eppure, se non siamo direttamente toccati da un problema (ma spesso anche in quel caso, perché non ci rendiamo conto che il problema tocca anche noi o ci riguarderà in futuro), non ci muoviamo.
Mi domando perché un Popolo formato da milioni di persone impazienti di manifestare la propria opinione online sia ridotto ad un simile immobilismo. Mi sono data una risposta, che spero di confrontare con le vostre. Il proliferare di programmi tv di approfondimento e dibattito e l'estensione della fruizione dei Social Network ha forse causato un assopimento delle coscienze: siamo convinti di partecipare o di aver portato all'attenzione un problema solo perché abbiamo cliccato su un pollicione virtuale, perché il conduttore di quella specifica trasmissione ne parla o perché un sondaggio attribuisce una maggioranza alla nostra posizione. «Tutti lo sanno già» sembra dire l'Italiano «Perché impegnarmi di più?».
 
C.M.

Commenti

  1. Ciao Cristina, purtroppo questa volta non sono d'accordo con te, ho l'impressione che tu stia confondendo il canale con il messaggio. I Social Network non sono altro che uno dei tanti strumenti che hanno gli Italiani per esprimere un opinione, il fatto che la loro azione non sia incisiva dipende dal fatto (a mio parere!) che non siamo abbastanza disperati per metterci in gioco e rischiare.
    Finché avremo qualche soldino in tasca e qualche piccolo diritto ancora tutelato, resteremo a girarci i pollici al calduccio; le conquiste del passato sono state fatte perché non avevamo niente da perdere, perché non avevamo niente da rischiare.
    La gente non scende in piazza perché è rischioso, oppure scende in piazza solo quando si sente al sicuro... ma se non si rischia non si ottiene nulla. Allo stesso modo i Social Network, che in altre parti del mondo vengono usati in modo costruttivo proprio perché rischioso (si pensi ai blogger Cubani, Iraniani, Palestinesi o di altre nazioni che scrivono di nascosto nei bar, o alla Primavera Araba organizzata su Facebook)qui in Italia vengono usati svogliatamente. Ma la colpa non è del canale, ma del mittente che non ha voglia di "sbattersi" per ottenere risultati...

    Per quanto riguarda il voto... non so te, ma quando vado a votare sono imbarazzata perché i votati non rispecchiano più i votanti, indipendentemente dalle opinioni politiche di ciascuno. Ormai votare è un "like" or "dislike", oppure un "condividi" con una x la tua preferenza. Il voto è importantissimo, ma non può essere la sola forma di partecipazione...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, Valivi! In realtà è proprio questo che intendevo: i Social sono solo dei mezzi, è proprio l'uso che se ne fa a suscitare la mia perplessità (ma comprendo che a volte il fervore di esprimere la mia opinione possa portarmi ad essere poco chiara). Il punto è proprio che molti Italiani non si sentono toccati dai problemi, anche quando lo sono effettivamente: la colpa è proprio del mittente, non del canale, siamo perfettamente d'accordo. Hai ragione anche nel dire che il voto non può essere l'unica forma di partecipazione, ma il fatto che sia solo una delle poche manifestazioni contemplabili non toglie che quella possibilità di azione (per quanto ridotta e avvilita, ma di questo si potrà parlare in altra sede) esista e sia lì apposta per essere colta...

      Elimina
    2. Povera Cri, tu ti sei espressa benissimo, la polla sono io!

      Elimina
    3. Ma no, non lo dire: siamo qui per chiaccherare, è anche normale che ci si fraintenda, d'altronde è pur sempre una comunicazione a distanza! ;)

      Elimina
  2. Alcune riflessioni semi-serie suscitate dal tuo post.
    Poeta… no, decisamente non lo sono.
    Navigatrice…stendiamo un velo pietoso – anzi, una bella trapuntina, visto che l’autunno incalza e “copre” meglio. Ed anche il mare magnum di Internet mi pare decisamente inquinato già senza il mio contributo, che definirei ininfluente. (Tra l’altro, scusa il fuori tema, da qualche anno ho una domanda inquietante: dov’è il cervello di internet?)
    Santa…la santità è altro – in tutti i sensi.
    Seriamente, dopo le ultime elezioni sto considerando l’ipotesi di non tornare a votare. È l’ultimo strumento efficace che ho, dunque lo “userei” così.
    Hai detto bene: finché le tv, i cosiddetti social network e gli stadi funzionano…
    Siamo il popolo “dell’apparire”. Il “fare” evidentemente non è nel nostro dna.
    Ovviamente è un discorso generico, ho visto personalmente moltissime eccezioni alla suddetta affermazione, ma sono eccezioni legate ai singoli in risposta a determinate situazioni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le eccezioni esistono, per fortuna! Era proprio questa discrepanza fra l'espressione verbale e l'azione che mi ha portata ad interrogarmi, la disperata voglia che molti hanno di dire la propria, ma l'altrettanto facile tendenza a dimenticare quello slancio quando è il momento di sfruttarlo. Quanto al voto, se potessi in qualche modo far valere la mia posizione, darei un peso alle schede nulle e stabilirei il numero dei seggi assegnabili sulla base del numero dei votanti, in modo che anche l'espressione di chi si reca al seggio perché intenzionato ad esprimersi ma annulla la propria scheda abbia un peso: non ha senso riempire il Parlamento al 100% se a favore di uno o l'altro partito si esprime una percentuale di aventi diritto poco superiore al 50%: a quel punto anche la scelta di non assegnare una preferenza avrebbe un significato...

      Elimina
  3. Ciao Cristina non sono molto d'accordo con te perché mi sembra, ma potrei sbagliare, che tu stia facendo di tutta l'erba un fascio. E' vero che ci sono italiani che si girano i pollici e non fanno nulla per cambiare le cose perché "Finché ci sono TV, stadi aperti e Social Network tutto va bene" ma ci sono anche tante persone che si muovono sia virtualmente che fisicamente. Penso, ad esempio, ai tanti italiani che si sono mobilitati per la chiusura del lager Green Hill oppure ai tanti malati che, insieme ai loro familiari, si battono perché la politica si ricordi di loro dandogli la possibilità di accedere a cure alternative a quelle tradizionali. E poi penso ai tanti operai che si piazzano davanti alle fabbriche in cui lavorano affinché non vengano chiuse e trasferite all'estero...Di queste persone, purtroppo, ne sentiamo parlare poco ma esistono anche se non vivono sotto i riflettori

    RispondiElimina
  4. Dimenticavo una cosa: l'astenersi dal voto è un gesto che ritengo gravissimo visto che in tanti hanno perso la vita per darci la possibilità di esprimere la nostra preferenza ma anche io, come tanti altri italiani, ogni volta che entro nella cabina elettorale mi sento inutile e amareggiata perché so che la mia preferenza andrà a qualcuno che una volta sedutosi in Parlamento penserà solo ai fattacci suoi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non è mia intenzione fare di tutta l'erba un fascio e mi scuso se ho dato questa impressione; piuttosto, mi sto interrogando su un problema molto diffuso, anche se, fortunatamente, caratterizzato anche da molte eccezioni, come quelle che citi e che è bene ricordare. Chi è toccato nel vivo, in realtà, si muove, cerca di farsi sentire, ma attorno a queste persone motivate ne esistono molte che si indignano e partecipano virtualmente alle loro proteste, senza però sostenerle concretamente, o, peggio, biasimandole quando arrecano piccoli disagi. Faccio solo un esempio, per far capire a quale genere di problemi mi riferisco. Nel 2010 ero iscritta al primo anno di corso magistrale all'Università e mi sono trovata nell'impossibilità di seguire diversi corsi perché alcuni ricercatori preposti alla didattica avevano ritirato la loro disponibilità all'insegnamento per protesta contro la Riforma Gelmini, che colpiva anche la loro categoria; non dico che tutti gli studenti dovessero sostenere la loro posizione, ma, mentre molti si esprimevano contro molti aspetti della riforma a parole, la lamentela sui corsi bloccati ha prevalso su tutto, e pochi o pochissimi hanno colto le occasioni informative per cercare di comprendere motivi e scopi della protesta: ognuno guardava nel proprio orticello.
      Quanto al voto, comprendo benissimo la tua posizione e, come scrivevo a Marzia, occorrerebbe una revisione del sistema che, oltre a cancellare il vergognosissimo Porcellum, tenesse conto delle schede nulle, dando così a tutti una ragione per andare ai seggi. A levare di torno la gente che, come efficacemente scrivi, si fa i fatti propri, dovrebbe pensare la Costituzione, che ha in sé tutto quanto serve a far prevalere il buon senso e la correttezza...

      Elimina
  5. Se ho capito bene il post ci sono due punti.
    I social network sono uno strumento di controllo.
    Gli italiani mancano di quello spirito collettivo tipico delle "nazioni" normali.

    --Affermativo "I social network" sono solo uno strumento particolarmente complicato per estrarre le preferenze commerciali degli utenti inserirle in un immenso database e vendere il database alla prima corporation che passa. Se ci siano doppi fini stile 1984 non lo so e neanche mi interessa. Chi vuole tutelare la propria privacy non li usi e basta.

    --L'italia è uno stato ma non una nazione. Pietrangelo Buttafuoco in un suo divertente libro "Fuochi" descrive un ipotetico incidente stradale e successiva discussione a Milano a Roma e a Catania. Lui lo fa sopratutto per sottolineare la naturale teatralità del "discorso" siciliano ma emerge evidente il fatto che esistono tante "italie".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Più che altro mi riferivo al secondo, manca troppo spesso uno spirito unito e la voglia di far gruppo per far valere un diritto, un'idea, una scelta, o, almeno, il rispetto per chi sceglie di farlo. Non ho pensato a palare dei Social come strumento di controllo, ma solo per la comodità che offrono all'espressione, che non sempre è seguita dall'azione; è comunque ovvio che sono una grande banca per operazioni commerciali e sociologiche e che l'idea di farli combaciare con l'idea della privacy è un controsenso inconciliabile...

      Elimina
    2. Sul perchè in italia non sia mai emersa la "Nazione" nel senso forte del termine esistono tanti interessanti studi che ti obbligano a leggere se fai storia contemporanea. In pratica se io e tu scriviamo di seguito, la temperatura locale, cosa abbiamo mangiato a pranzo, e una frase in dialetto locale la risposta emergerà chiara.

      Elimina
    3. Importanti fattori di diversità culturale sono innegabili, ma quello che mi stupisce è che a volte anche in casi in cui intere comunità condividono gli stessi interessi, manchi comunque la determinazione a supportarsi a vicenda: molto spesso non c'è la percezione che tanti singoli, uniti, formino una pluralità.

      Elimina
    4. Del mio commento precedente rinnego la forma ma ribadisco la sostanza. La contro domanda è interessante. Ma fino a quando non definiamo esattamente questa "comunità che condivide gli stessi interessi" la discussione rimane accademica. Parliamo di un paesino in cui devono costruire una discarica? dei tassisti? della "sinistra"? degli "italiani"? degli studenti delle scuole pubbliche?

      Elimina
    5. Possono essere i lavoratori degli stabilimenti che giorno dopo giorno vengono chiusi, degli studenti (quella che citavo come sempio nella risposta a Maiapiera), gruppi più o meno vasti a livello anche locale, in cui la condivisione di interessi, aspettative e speranze dovrebbe essere più forte.

      Elimina
  6. piu che un assopimento delle coscienze direi un colpo alla coscienza civile degli italiani, un trauma che si ritrasmette ancora di padre e madre in figlio e figlia. Ma risale alla Controriforma, oserei dire, un colpo dal quale gli italiani non si sono mai più ripresi - se pensi che riguardo le coppie di fatto e le coppie dello stesso sesso l'Italia (nonostante una nuova generazione che dovrebbe finalmente fare piazza pulita di tutti i ladri e gli ipocriti che sono in politica) è ancora ferma al Concilio Tridentino, alla Controriforma appunto, mentre perfino Il Sudafrica adesso ha i cosiddetti matrimoni gay, un paese dove fino a Mandela aveva in un certo senso governato la non troppo tiepida Chiesa Riformata d'Olanda, ecco allora io non mi meraviglio tanto che tu abbia giustamente iniziato con ironia, quasi con sarcasmo, questo tuo post: un popolo proprio di navigatori (per lo più, leggendo certe classifiche, di siti porno)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In quest'ultimo caso, molto Navigatori e poco Santi!
      Sono d'accordo con te, certe tematiche vanno ormai affrontate (a quella che hai ricordato tu, aggiungo il tema dell'accanimento terapeutico, altro fronte in cui ci distinguiamo per il nostro ritardo) ma il terreno su cui dovrebbero innestarsi le riflessioni e i cambiamenti è inadeguato ad accoglierle, a livello istituzionale e anche dal punto di vista della disponibilità culturale dell'opinione pubblica...

      Elimina
  7. Sai, Dan Simmons nei suoi Hyperion Cantos (non ricordo il libro esatto, credo nel primo) ipotizzava un meccanismo di partecipazione popolare alle decisioni piuttosto interessante. Il cittadino poteva collegarsi ai lavori del parlamento, ed esprimere la sua opinione attraverso un meccanismo che non ricordo, ma che somigliava per l'appunto al "mi piace". Questa partecipazione era volontaria e variava molto a seconda del numero di persone connesse. A parità di numero, inoltre, ne variava la composizione e quindi anche le preferenze, di modo che alla fine continuava a prevalere il parere del governo. Ora, oggi è molto facile premere "like" ma l'esempio che più si adatta a questo fenomeno è Avaaz (credo di scriva così). Il nuovo metodo di partecipazione è una piattaforma in cui con un click, e una condivisione, parte in automatico la tua adesione a una petizione - e ce ne sono di più disparate. Io sinceramente non ho ancora capito come funzioni, ma credo sia ispirato al modello americano dove è possibile al cittadino telefonare al proprio rappresentante in parlamento. La protesta contro SOPA e simili è stata fatta così, tramite petizioni e telefonate - e questo sì, ha funzionato.
    Però non credo che in futuro esprimeremo così la nostra opinione. Non so nemmeno se sia giusto, perché se funziona per le petizioni, dove in soldoni si tratta di dare un appoggio, nelle votazioni già con un "sì" o "no" si rischia di fare una media che alla fine non rappresenta veramente l'opinione del volgo.
    Quindi, Dan Simmons suggestivo ma poco efficace.
    Ti risparmio la seconda metà del commento, un po' fuori tema. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti il sistema sembra inquietante, soprattutto se si presta a eccessive riduzioni, per non parlare delle manipolazioni! La cosiddetta "democrazia diretta" è forse impossibile e potrebbe generare più caos che effettiva partecipazione. Penso che un sistema di petizioni possa servire come sondaggio, come indicazione per le esigenze della popolazione, ma, in quel caso, occorrerebbe un sistema di vigilanza e di garanzia sulla correttezza delle operazioni, e in Italia non si brilla per questo. Diciamo che a garantire il diritto-dovere di partecipazione dovrebbe pensare la Costituzione, solo che quella carta, spesso definita un "residuato post-bellico", è sempre più ignorata...
      Quanto a Hyperion, da qualche anno mi chiedo che tipo di lettura sia, e questo cenno all'attualizzazione mi incuriosisce parecchio! :)

      Elimina
    2. Allora ti lascio un consiglio volante.
      Hyperion è un capolavoro. L'altra metà della storia, un ottimo libro di fantascienza. I due successivi, tempo perso. Se vuoi iniziarlo, assicurati di avere entrambi i volumi, che hanno un finale aperto ma è pur sempre un finale.

      Tornando al tema, credo che la dimensione naturale della democrazia diretta, intesa all'antica, sia su piccola scala. Già quando si parla di referendum, pur essendo (quasi) sempre andato a votare, penso che sia più simile al gioco Jenga che a una reale partecipazione non veicolata del popolo a decisioni importanti.

      Elimina
    3. Sono d'accordo: un'intera Nazione non può ricorrere ad un simile meccanismo, oppure si dovrebbe pensare a conzultazioni ben organizzate e perfettamente coordinate... decisamente uno scenario improponibile per l'Italia!

      p.s.: grazie del consiglio! :)

      Elimina

Posta un commento

La tua opinione è importante: condividila!