Non c'è cultura senza educazione

Non sopporto l'atteggiamento di quelle persone che vogliono a tutti i costi dimostrarsi raffinate amanti della cultura e che partecipano a mostre, convegni e spettacoli solo ed esclusivamente per essere riconosciute come tali, ma finiscono inevitabilmente per rivelare la loro vera natura di incivili. Roba da far invidia a Homer Simpson che, almeno, è un personaggio che non si dà arie da intellettuale.


Un evento ben preciso dà origine a questo sconcerto, ma sedimenta su una gran mole di indignazione cui ho assistito personalmente negli ultimi anni.
Durante la rappresentazione all'Arena del Sole di Le voci di dentro, dramma di De Filippo interpretato da Toni Servillo, gli squilli dei cellulari hanno spinto l'attore ad uno sfogo più che comprensibile; Servillo, secondo quanto riporta Repubblica, avrebbe gettato a terra il bastone che impugnava, gridando “Basta, controllateli ‘sti cellulari”, e questa non sarebbe stata la prima occasione di interruzione per gli stessi motivi della recita nei giorni di messa in scena a Bologna.
La totale mancanza di rispetto nel pubblico degli eventi culturali (un pubblico da cui ci si aspetta non solo educazione, ma anche attenzione e una certa sensibilità nei confronti del prodotto acquistato, d'altronde entrare in un teatro non è come andare allo stadio o al lunapark) non è, purtroppo, un fatto isolato.
Le ultime due recite areniane cui ho assistito (Turandot l'anno scorso, La traviata quest'anno) quanto mi hanno incantata sotto l'aspetto scenico e musicale, tanto mi hanno disgustata per il comportamento del pubblico: fischi e applausi prima che l'orchestra finisse il proprio pezzo, sbevazzamenti di birra e champagne ad ogni nota (ma di questo è colpevole l'organizzazione, che permette il consumo di cibi e bevande a rappresentazione iniziata) e, alla fine dello spettacolo, montagne di cartacce e bicchieri lasciati fra le poltroncine.
La presentazione della mostra allestita in Gran Guardia riservata a giornalisti, fotografi e stampa non ha goduto di un trattamento migliore: i cellulari che squillavano sono stati solo il minore dei mali, se consideriamo che, a pochi istanti dall'inizio dell'intervento del curatore, un fotografo ha scavalcato i distanziatori per effettuare uno scatto ravvicinato, scatenando ovviamente le ire del direttore; dopo l'invito a non compiere più un simile gesto, peraltro, il fotografo ha lasciato definitivamente la mostra con aria infastidita.
Comportamenti tanto villani mi lasciano senza parole, perché ritengo che non possa esistere cultura senza educazione e rispetto. Non so se il dilagare di questi atteggiamenti sia più dovuto alla mancanza totale di percezione del limite della decenza o se, invece, alla base vi sia la convinzione che un pubblico pagante possa essere un cliente dotato della ragione assoluta, cui gli artisti e gli organizzatori devono sottomettersi senza fare una piega.
In entrambi i casi è una vergogna.

Questo articolo è dedicato a tutti coloro (e, fortunatamente, sono tantissimi) che danno un valore sacrosanto all'educazione e si avvicinano alla cultura con un atteggiamento umile e sincero.

C.M.

Commenti

  1. Ne parlavo giusto ieri con i miei amici lettori. Roba da non credere, non riusciamo a capire che a volte basta così poco per apparire umilmente intelligenti e a modo. Una delicatezza simile, come quella di tenere per un paio di ore il cellulare spento, ci fa sprofondare nel mare dell'ignoranza e della povertà mentale. Tutta la mia stima a Toni. ;-)

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    1. Infatti ti confesso che lo sdegno è montato dopo aver linkato sull'articolo attraverso la tua pagina. Mi piace la tua affermazione "A volte basta poco per apparire umilmente intelligenti": spegnere un cellulare, raccogliere le confezioni del cibo non mi sembrano sforzi così impegnativi e, se proprio non li si vuol compiere, bisognerebbe avere la serietà di farsi da parte. Simili mancanze di rispetto ricadono sia su chi sta lavorando sia su coloro che godono lo spettacolo, la mostra o qualsiasi altro tipo di manifestazione similare. Spero vivamente di vedere un Servillo più sereno e un pubblico più educato domani sera a Verona! :)

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  2. meriti una standing ovation
    ...e detto da uno gnomo che va a teatro con la sedia a rotelle...;-)

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    1. Grazie, Marzia, una standing ovation doppiamente gradita e che direi di "girare" a tutti coloro che a teatro, al cinema o alle mostre vanno con la voglia di nutrire lo spirito! :)

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  3. Uhm, le pochissime volte che sono stata a teatro (anch'io La Traviata *__*) non mi è capitato di assistere a certi sfoggi di maleducazione e ignoranza. Niente bevande, né cellulari o simili, ma forse dipende anche dalla gestione... o dal prezzo che allontana i non interessati.
    In compenso non riesco più ad andare al cinema senza passare quasi tutto il tempo preda di una voglia di massacro senza pari. Ci sono sempre, sempre, sempre dei ragazzini che chiacchierano ad alta voce. So che suona banale e generalizzante, ma 'ai miei tempi' la maleducazione non arrivava a questi livelli se non in rari e odiatissimi casi.
    Onestamente non so bene che pensare. Accogliere troppa gente non realmente interessata in manifestazioni culturali di questo tipo vuol dire anche doverseli sorbire mentre rompono le scatole. E visto che sono pochi gli spazi dedicati alla cultura, diciamo, istituzionalmente alta (non so in che altro modo descriverla xD) sinceramente farei anche a meno di dover condividere quel poco che c'è con dei decerebrati che non riescono a stare mezzora senza chiamare al telefono l'amico per condividere rutti e battute stupide. Auspico l'avvento di servizi d'ordine potenti lieti di poter gettare fuori a calci chiunque s'azzardi a scassare l'anima.

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    1. Il cinema è senz'altro un altro dei luoghi in cui spesso si incontrano persone che vi entrano allo scopo di disturbare (più che le chiacchiere, di solito mi disturba l'improvviso accendersi delle accecanti luci dei telefonini). E io sarei favorevole alla possibilità cui accenni alla fine, ovvero al ritorno al ruolo vero della maschera: non solo colui/colei che ti guida al posto in sala, ma che, in caso di comportamenti di disturbo, provvede ad allontanarne le cause.

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  4. La tua ipotesi finale è acuta e credo molto reale: chi paga ha ragione, sempre e comunque. Mercificazione pura. Mi trovo d'accordo con te, ho vissuto anch'io le tue stesse esperienze ed è stato devo dire abbastanza terribile. Ad ogni modo il problema è sempre quello, soprattutto in Italia, e cioè: la 'cultura' troppo spesso si distanzia dalla vita 'comune', o perlomeno è percepita come 'altro' rispetto alle normali attività del pensiero. Il cinema per come è diventato è un po' lo specchio di tutto: lo spettatore non è toccato minimamente, si mangia le sue patatine e stacca la spina del cervello per affidarsi alle immagini in 3D e ai colpi di scena mozzafiato di eroi paranormali che fanno cose straordinarie che noi non ci sogniamo nemmeno. In questi casi sono due le possibilità: annullarsi oppure annoiarsi, e cioè 'tornare in sé', mettersi a fischiare, a ridere e a chiacchierare, pensando ai soldi del biglietto andati persi. Quando si capirà che la 'cultura' non è per forza spettacolo o 'avvenimento', ma innanzitutto autoreferenzialità e riflessione, allora si sarà fatto un grande passo avanti. Peccato che la realtà spinge invece dalla parte opposta. Peccato veramente.

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    1. Il mio pensiero è lievemente diverso, ma sicuramente contiguo: la percezione che ho io della cultura è autoreferenziale solo rispetto allo scopo, cioè la cultura è finalzzata al godimento del sapere e della cultura stessa, non ad un fine concreto (ciò che si cerca sempre, non rendendosi conto che non solo ciò che si tocca ha un valore), ma non rispetto alla forma, che deve essere tutt'altro che chiusa e può, invece, concretizzarsi in spettacolo ed evento. Basta non dimenticare che la cultura non è solo spettacolo ed evento, e che richiede, come hai giustamente evidenziato, una riflessione intima e raccolta. Insomma: la cultura non può essere un sottofondo per chiacchiere e telefonate, ma un momento in cui tutto il resto, per qualche minuto, tace. Chi non l'accetta dovrebbe rimanere fuori dalle sale di teatri e cinema per rispettare chi lavora e cerca un po'di profondità.

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  5. Purtroppo rientra nel discorso più ampio dell'educazione civica, e in Italia siamo piuttosto carenti in questo settore. D'altra parte, se negli scranni del parlamento si vedono deputati che rappresentano il popolo intenti a insultarsi con cori da stadio e talvolta a andare quasi alle mani, beh, evidentemente non si può sperare che il popolo sia migliore dei suoi rappresentanti...

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    1. Mi duole doverti dare ragione purtroppo... l'"esempio" che arriva dall'alto non è per nulla edificante.

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  6. L'unica volta che sono andato all'opera, devo ammetterlo, mi hanno piuttosto infastidito i colpi di tosse. Veramente fastidiosi (e contagiosi). Il cellulare lo associo piuttosto al cinema, ma lì regna ogni genere di inciviltà. O siamo noi troppo bene educati? Un tempo gli spettacoli erano partecipati. Raccontava Danilo Arona (scrittore & esperto di fantastico) che quando nel '68 uscì L'alba dei morti viventi il pubblico applaudiva, acclamava o contestava ciò che avveniva sullo schermo. Oggi una simile cosa mi (ci) sembra improponibile, ma poteva anche avere un senso, almeno con quel film e in quegli anni. Comunque nulla a che vedere con il cellulare. Posso capire la dimenticanza, ma oggi ce lo ricordano in tutte le salse, tanto che al sottoscritto viene la paranoia e controlla più volte di averlo silenziato a dovere.

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    1. Sono esattamente come te, anch'io, per non rischiare non solo figuracce ma anche di non essere disturbata, controllo diecimila volte di aver zittito il celulare. E spesso anche a me viene da pensare se non siano i miei parametri di riferimento ad essere troppo rigidi, anche se giungo puntualmente alla conclusione che dal punto di vista dell'educazione e del rispetto si va sempre più verso la degenerazione totale.

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  7. come lo capisco Servillo, è uno dei motivi per cui in Italia non vado più né al cinema né a teatro. Il cellulare è diventato una sorta di quinto o sesto arto dapertutto nel mondo, in Italia in più si aggiunge la maleducazione, come hai fatto osservare, e la volgarità, che è nipote dell'ignoranza e figlia della presunzione. Ed è strano per un paese ossessionato dalla bella e brutta figura. Evidentemente fare brutta figura per questi cafoni significa non avere all'Opera il cellulare ultima generazione. Ieri ero in biblioteca, avevo spento il cellulare prima di entrare, come faccio sempre, e siccome è un cellulare anteguerra si deve essere ossidato qualche contatto, adesso si riaccende da solo. E improvvisamente ha cominciato suonare. Mi sono vergognato che non ti dico, avrei voluto nascondermi in un cassetto dello schedario. D'altronde ti ricorderai di Angela Merkel che aspettava i comodi di uno con la bandana che gesticolava al cellulare

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    1. Citi un triste ma ahimé calzante esempio: una figura di primo piano nella politica che davanti agli occhi del mondo manifesta gli aspetti peggiori del popolo che rappresenta... pare che non ci sia da stupirsi se, poi, nella quotidianità ci imbattiamo nello stesso menefreghismo.

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  8. Credo che sia un mix delle due cose. Da un lato sembra proprio che il limite della decenza non ci sia più e lo vediamo in televisione, sui giornali, in parlamento, ovunque.
    Al pubblico sempre più spesso manca l'educazione e la decenza e in più si aggiunge il fatto che se paghi qualcosa hai diritto a fare quel che vuoi. Come se pagando il biglietto per una mostra, avessi il diritto di toccare o spostare le opere esposte...
    E' una vera deriva sociale e il più delle volte ci si sente gli unici a renderci conto che la misura è superata da un pezzo!!!

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    1. Hai ragione, la sensazione di essere "controcorrente" rispetto a quella che, giustamente, definisci "deriva" è un'accentuazione del disagio e dello sconforto: sembra davvero di non comprendere più quali siano i parametri comportamentali delle persone e dove sia finita la decenza.

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