Pascoli e Van Gogh: Solitudini

Vi è mai capitato di imbattervi in un testo letterario che richiamasse alla vostra mente un dipinto? O che, ammirando un'opera d'arte, essa vi apparisse come la perfetta traduzione visiva di un romanzo o di una poesia? Io l'ho provato più di una volta: il mito ovidiano di Apollo e Dafne tradotto nel marmo dal Bernini, l'Olympia di Manet come descrizione della Margherita Gautier, protagonista de La signora delle camelie... ma l'ultimo, stupefacente riconoscimento di poesia nell'arte è arrivato qualche settimana fa: per un semplice caso, navigando in rete sono incappata in un'opera di Van Gogh che mi è parsa immediatamente la trasfigurazione in tratti e colore di uno dei componimenti più celebri di Giovanni Pascoli.

Lavandare

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato tra il vapor leggiero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.

Vincent Van Gogh, Campo innevato con un aratro (1890), Van Gogh Museum di Amsterdam

La descrizione di questo abbandono, nell'oggetto lasciato in un campo, la terra mezza rivoltata e il freddo che cade sull'ultima strofa sembrano la perfetta didascalia del dipinto di Van Gogh Campo innevato con un aratro (1890). In esso troviamo la stessa atmosfera gelida, i trattini di colore nel cielo che suggeriscono la presenza del 'vapor leggiero' e, a metà, evidenziato dall'isolamento come quel 'dimenticato' che balza all'attenzione del lettore grazie all'enjambement fra i versi 2 e 3, un aratro abbandonato, senza qualcuno che lo manovri, come per una fuga improvvisa.
Lavandare, un testo incluso in Myricae fin dalla prima edizione, si data al 1891, un solo anno dopo la realizzazione del dipinto di Amsterdam. In entrambi cogliamo un senso di freddezza e di solitudine che in Van Gogh è accentuato dalle tinte azzurre e verdognole, mentre nei versi di Pascoli è almeno in parte mitigato dalla ventata sonora che arriva da lontano a suggerire la presenza di una realtà sicura e confortante.
La nota prevalente di Myricae è la costante simbiosi fra le immagini e i suoni della quotidianità (spesso legati alla natura) e il soggetto che li percepisce, alla ricerca di un'armonia che il poeta di San Mauro rende con un impressionismo fatto di tratti frammentari, non diversamente da quanto fa l'artista olandese con le sue immagini composte di virgole veloci.
Tanto lontani geograficamente, tanto vicini appaiono nella solitudine queste due grandi figure della cultura di fine Ottocento (Van Gogh morirà nello stesso 1890, Pascoli, nato solo tre anni dopo, sopravvivrà fino al 1912). I loro frammenti esprimono le affini sensibilità, la difficoltà a rapportarsi con un mondo che sembra tendere continue minacce... e allora solo la natura, gli alberi, i campi, gli uccelli, i fiori, elementi ricorrenti nella poesia dell'uno e nei dipinti dell'altro, possono offrire un conforto o, se la consolazione non appare possibile, un'immagine che traduca un disagio in un linguaggio più diretto e spontaneo di quello di una ragione assente o introvabile.

C.M.

Commenti

  1. Azzardo: la solitudine di Van Gogh è innata e profonda, tanto che l'aratro è, in parte, sepolto dalla terra innevata; la solitudine di Pascoli (nella poesia) è legata ad un abbandono, tanto che l'aratro non lo immaginiamo sepolto, ma abbandonato "in mezzo alla maggese". Bello questo tuo sottolineare il legame tra quadri e poesie :)

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    1. E' un interesse curioso che mi è nato da un po'! Mi piace il tuo inciso sui diversi motivi sottostanti l'immagine dell'aratro e, quindi, la sottile differenza fra le due stuazioni emotive! :)

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  2. Interessante e molto appropriato questo abbinamento. La poesia che hai scelto mi ricorda i miei anni delle medie, e non posso fare a meno di sentirla, nella mia testa, cantata come una malinconica nenia, visto che avevo l'abitudine di "musicare" le poesie per impararle più facilmente.
    Anche io a volte mi trovo a riflettere sulle somiglianze tra parole ed immagini. Ad esempio, ho sempre associato "Il monaco in riva al mare" di Friedrich ad "Oceano mare" di Baricco.

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    1. Musicare le poesie era la tecnica che si usava ache nell'antichità per memorizzare (e, ovviamente, anche per l'esecuzione), è un peccato che si sia persa questa parte della tradizione, che forse resiste solo nella produzione dei veri cantautori.
      Non ho letto Oceano Mare, ma il dipinto di Friedrich è pura estasi!

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