Her (Spike Jonze, 2013)

La festa del cinema mi ha dato l'occasione di godermi la proiezione di un film che avevo creduto di essermi lascata sfuggire: Her (Lei nell'impacciata resa italiana del pronome) di Spike Jonze, vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura, anch'essa firmata da Jonze.
La pellicola racconta una storia ambientata in un futuro non troppo lontano, di cui è protagonista Theodore (Joaquin Phoenix), uno scrittore di lettere su commissione che, nonostante la facilità con cui riesce a tradurre le emozioni di perfetti sconosciuti, ha seri problemi ad esprimere e vivere le proprie, motivo per cui continua a crogiolarsi nella malinconia della recente separazione dall'amatissima moglie Catherine (Rooney Mara). La sua vita monotona e triste cambia improvvisamente con l'arrivo di Samantha, un sistema operativo programmato per costruire relazioni e comunicazioni virtuali in una realtà in cui i rapporti reali sono sempre più logorati e difficili. Samantha, certo, non è altro che una voce suadente (di Scarlett Johansson in inglese, di Micaela Ramazzotti nel doppiaggio italiano, che, invero, non rende giustizia all'originale) programmata in un dispositivo digitale con cui Theodore comunica attraverso un auricolare, ma ben presto diventa per lui un'amica, una presenza più autentica e vitale di qualsiasi altra donna egli abbia mai conosciuto. Samantha è presente nella vita di Theodore dal mattino al risveglio fino alla tarda notte, risponde alle sue chiamate e partecipa dei suoi impegni di lavoro, dei suoi sentimenti e dei suoi sogni in maniera tanto intensa da trasformarsi e arricchirsi continuamente, stabilendo con Theodore una relazione che sfocia in un vero e proprio amore. Non mancano i problemi e i dubbi nel sostenere, agli occhi degli amici e della ex-moglie, la legittimità di tale relazione, ma è la dolcissima Amy (Amy Adams) a far capire a Theodore che la vita è troppo breve per desiderare qualcosa che non sia la gioia, da qualsiasi parte essa provenga. Samantha, però, è un'entità virtuale e, per quanto intensa e appassionante sia la loro relazione, i due appartengono a mondi in cui ogni momento imprime decisivi cambiamenti a ciascuno...
 
 
Le due ore del film scorrono piacevolmente in un susseguirsi di scene in cui l'unica presenza di riferimento è quella di Theodore; le atmosfere dell'azione sono spesso rarefatte, investite da luci solari fredde, ma i colori rossi, arancioni, gialli, ocra, marroni prevalgono per la gran parte del tempo (ad eccezione delle scene notturne ambientate nella camera di Theodore, che si affaccia su una città piena di grattacieli e luci piccolissime), creando una sensazione surreale che accentua l'impressione di artificiosità del mondo che vi è rappresentato, in cui il dialogo prevalente avviene, per lavoro, per piacere o per necessità, con un computer o un oggetto tecnologico portatile. Molti momenti sono accompagnati da brani musicali o pezzi vocali, fra cui spicca la delicata The Moon Song, che costruiscono una piacevolissima e tenera colonna sonora, perfettamente in linea con i sentimenti dei personaggi.
Ci si potrebbe chiedere se Jonze abbia voluto, con Her, mettere in luce più l'utilità di un aiuto digitale a relazioni umane ormai svuotate della loro funzione e viste come ostacoli insormontabili o se, invece, abbia scelto di evidenziare l'enorme vuoto che la tecnologia non può in alcun modo colmare, ma che, anzi, rende sempre più profondo. In verità, il regista non ci mette su nessuna delle due strade, ma si muove fra i due poli di un problema di cui è difficile individuare in maniera netta cause ed effetti: Spike Jonze non ci mette di fronte ad una lettura della realtà, ma lascia che siamo noi a giudicare quanto ci sia di autentico nella relazione di Theodore e Samantha, così come non ci dà una chiara visione del passaggio di Theodore e Catherine da un matrimonio idilliaco ad una crisi rabbiosa; ci vengono dati spunti, segnali, ma non chiavi interpretative. Questo fa di Her un film non didattico e una possibilità di pensare ai rapporti umani di oggi, alle nostre scelte e, soprattutto, di soffermarci sulla consapevolezza quasi eraclitea di un'esistenza che scorre continuamente, in cui «il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi» e in cui siamo in ogni momento diversi da quello che eravamo l'istante precedente, perché ogni avvenimento, ogni parola, ogni esperienza possono produrre continuamente trasformazioni irreversibili.

C.M.

Commenti

  1. Un film da vedere...tralasciando la mania italiana di tradurre ogni singolo elemento, partendo dal titolo, mi ha davvero emozionato e mi ha fatto riflettere. molto molto bello

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    1. Hai ragione, almeno il titolo andava lasciato...meno male che non hanno anche sostituito O.S. con S.O., sarebbe stato alquanto imbarazzante!

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    2. Forse avevano paura della confusione tra "Her" ed "Hair" XD nel peggiore dei casi ci saremmo visti un musical

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  2. Ti ho nominato per il premio Dardos.
    Troverai tutto a questo link:
    http://amacadieuterpe.wordpress.com/2014/05/13/premio-dardos/

    E grazie per un altro post interessante.

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  3. Condivido tutto il post Cristina. Ho vissuto il distacco di Samantha come una moderna via d'uscita dai temi posti su "2001 Odissea nello spazio". Per Kubrick la tecnologia è antagonista dell'uomo e l'esito dello scontro finale non è ancora chiaro. Per Jonze la tecnologia e l'uomo restano "dolcemente" e consapevolmente separati e la poesia vince su tutto: la testa piegata di Theodore sulla spalla dell'amica (futura moglie?) della struggente scena finale. Ciao.

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    1. Di certo è un finale più gradevole e conciliante, anch'io ho sperato molto nella lettura sentimentale di quella scena finale, come se proprio il dissolversi della compagnia virtuale permettesse a Theodore ed Amy un avvicinamento prima impossibile. A presto!

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  4. L'hanno visto tutti... ma trasmette vibrazioni di tristezza; non sono sicuro che sia il momento di guardarlo. Piuttosto, avresti lasciato il titolo originale? Mi sembra uno di quei rari casi in cui è possibile una traduzione letterale senza perdita di ambiguità, riferimenti sottesi o giochi di parole. Sbaglio?

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    1. Certo, la traduzione non fa perdere il valore originale, e solitamente sono sostenitrice della versione in italiano, però in questo caso non mi piace, non mi suona, è come se già nel titolo si perdesse quella sensualità che si è frantumata anche nel doppiaggio della voce di Samantha...

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  5. Non lo so, qualcosa di questo film non mi torna. Ne ho notato i pregi, ma a tratti mi ha annoiata parecchio, forse la mia parte razionale è decisamente troppo forte.

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    1. Riconosco che alcuni momenti sono stati un po'troppo lunghi (ad esempio l'ultimo dialogo fra Theodore e Samantha), ma, nel complesso, nei rallentamenti di ritmo ho, personalmente, apprezzato la possibilità di soffermarsi sulla musica... senza questa avrei trovato alcune parti ridondanti.

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  6. Risposte
    1. Anche a me, soprattutto per il ruolo della musica, che ben si interseca agli altri componenti narrativi!

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