Entrambi devono il loro titolo al personaggio principale del dialogo, colui che si fa portavoce delle idee dell'autore e, se Catone viene scelto nel primo in quanto ritenuto il più saggio fra gli anziani ai suoi tempi (era morto nel 150), per affrontare una dissertazione sull'amicizia, il più grande legame che esista fra gli uomini, la parte principale viene affidata a Gaio Lelio, che era legato a Scipione Emiliano da una forte affinità, da una vita passata insieme, da una stima senza fine e dalla condivisione del valore più alto dato dagli dei agli uomini: la virtù.Come un tempo ho scritto sulla vecchiaia per un vecchio, ugualmente ho scritto con questo libro sull’amicizia ad un amico carissimo.
La compostezza con cui Lelio sostiene il recente lutto diventa il pretesto per illustrare la teoria dell'aldilà di Cicerone, che già era stata espressa nel De Repubblica (esplicitamente richiamato nel De amicitia): non è bene rattristarsi della morte di un amico che ha dimostrato la propria virtus come Scipione, perché tanto più un uomo è stato onesto in vita tanto più velocemente si sottrae alla prigione del corpo per raggiungere gli dei nei cieli. E se anche l'anima morisse col corpo, la morte non potrebbe essere né un bene né un male: è la tesi che Seneca riprenderà nelle sue Consolationes, sostenendo che colui che lascia la vita è «beato o inesistente» («aut beatus aut nullus»). Scipione, in vita, ha dato tanti buoni esempi di correttezza, che essi lo mantengono vivo nella memoria e nell'affetto di coloro che, come Lelio, lo hanno amato.
Per Cicerone, quindi, l'amicizia è il più nobile dei sentimenti:
Non può esistere l’amicizia se non fra i buoni. [...] L’amicizia non è altro che l’accordo di tutte le cose umane e divine con la benevolenza e l’affetto e non so cosa, al di fuori della sapienza, sia stato concesso di migliore dagli dei agli uomini. [...] Quelli che pongono il sommo bene nella virtù, di certo fanno bene, ma questa stessa virtù genera e racchiude l’amicizia e senza virtù non può esistere alcuna amicizia. (capp. 18-20 passim)
La condivisione è ciò cui naturalmente tende la natura umana:Tale amicizia fra gli uomini ha tanti vantaggi che a stento li posso elencare. Innanzitutto quale può essere una «vita vitale», come dice Ennio, una che non è adagiata nell’affetto reciproco di un amico? Cosa c’è di più dolce che avere qualcuno con cui possa dire ogni cosa come con te stesso? Che frutto ci sarebbe nelle situazioni felici, se non avessi chi ne godesse oltre a te stesso? Sarebbe inoltre difficile sopportare la cattiva sorte senza chi la sostenesse più tenacemente di come la sostenga tu. (cap. 22)
Nasce naturalmente l'affetto tra coloro che coltivano la virtù e manifestano passioni (e idee politiche) comuni; è spontanea la volontà di battersi per un amico più di quanto non si farebbe per se stessi, così come il desiderio di essere d'aiuto all'amico prima che questi lo chieda e senza aspettarsi alcuna ricompensa. Ma, se l'amicizia è inscindibilmente legata alla virtù, non è classificabile come amicizia un rapporto in cui uno costringa l'altro a compiere qualche atto disonesto, adducendo la devozione come pretesto. Ugualmente, non c'è affetto in un rapporto in cui regni il rifiuto della verità: l'amico è una persona sincera, che deve essere in grado di rimproverare un errore senza offendere e, a sua volta, di accettare una critica priva di insulti: solo così si eviteranno l'ostilità o l'adulazione e si orienterà il rapporto d'amicizia al rispetto reciproco e «elimina il più grande ornamento dell’amicizia colui che da essa tolga il rispetto» (cap. 82).Chi sarebbe tanto ferreo, chi potrebbe sopportare una vita isolata, a chi la solitudine non sottrarrebbe il frutto di ogni gioia? È dunque vero quello che era solitamente diceva Archita di Taranto [...]: «Se qualcuno ascendesse al cielo e osservasse la natura del mondo e la bellezza delle stelle, gli sarebbe amaro quello spettacolo che sarebbe stato piacevolissimo se avesse avuto qualcuno cui raccontarlo». Così la natura umana non ama alcunché di solitario e sempre si appoggia a qualcosa come ad un palo, e fare questo con un carissimo amico è la cosa più dolce. (capp. 87-88)
C.M.La virtù concilia e conserva le amicizie. In essa, infatti, c’è la condivisione, in essa la stabilità, in essa la costanza; quando essa leva e mostra la sua luce e vede e riconosce la stessa in un altro, si volge ad esso e a sua volta riceve quella che c’è nell’altro: da ciò scaturiscono sia l’amore che l’amicizia. [...] E poiché le cose umane sono fragili e fuggevoli, bisogna cercare sempre alcuni da amare e dai quali siamo amati. Sottratti l’affetto e la benevolenza, è sottratta alla vita tutta la gioia.
Bellissimo post, complimenti!
RispondiEliminaLieta che l'abbia apprezzato, grazie!
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