Acque fatali: Ila, Narciso e le Ninfe dal mito a Waterhouse

Due delle maggiori tele del pittore preraffaelita John William Waterhouse rappresentano altrettanti miti in cui risulta centrale la funzione di uno specchio d'acqua: quello di Narciso e quello, meno noto, di Ila. Si tratta di due tele dominate dai colori verdi che rappresentano la foresta e i giunchi che attorniano gli specchi d'acqua e popolate da figure femminili seminude che rappresentano il mondo divino e da due giovani ragazzi che si avvicinano alla superficie dell'acqua stessa. Diverse sono le storie dei due protagonisti, ma simile è la loro fine: per entrambi l'acqua che attira la loro attenzione è fonte di morte.

J. W. Waterhouse, Eco e Narciso (1903)

Il mito di Narciso ha ben pochi misteri. Narrato da Ovidio nel libro III delle Metamorfosi (vv.339-510), esso rappresenta un concentrato di eziologia, poiché racconta, al contempo, l'origine dell'eco e quella del fiore del narciso. Narciso è un giovane bellissimo che, però, si comporta con indifferenza o arroganza nei confronti delle giovani e dei ragazzi che sono innamorati di lui; la vittima principale della sua tracotanza è Eco, la ninfa privata da Era della voce e condannata a ripetere eternamente le parole pronunciate dagli altri a causa della sua negligenza nel riferire alla regina degli dèi i tradimenti di Zeus. Narciso viene maledetto da uno dei suoi amanti feriti, che invoca contro di lui Nemesi: il giovane bellissimo dovrà struggersi di un amore non corrisposto fino a morirne. Il ragazzo si imbatte per caso, accostandosi all'acqua di una polla, nella propria immagine riflessa, ma è incapace di riconoscersi in tale figura e cade vittima di un amore destinato a rimanere inappagato: quando l'acqua, increspata dalle lacrime di sofferenza del giovane, fa sparire il riflesso, Narciso si lascia consumare dalla passione, finché di lui non rimane altro che un fiore color di croco cinto da petali bianchi.
Waterhouse, nel suo dipinto, riproduce sia la simbiosi dei due miti di Eco e Narciso, collocando la dea nella parte sinistra e scegliendo di farne la silenziosa spettatrice di una scena da cui lo stesso Narciso l'ha esclusa. Eco, però, sembra quasi prefigurare la necessaria sventura del suo amato, poiché ai suoi piedi (così come accanto a quelli di lui) è collocato proprio il narciso, e uno dei fiori sta lentamente cadendo nell'acqua, forse ad incresparla in luogo delle lacrime del ragazzo. Narciso è dall'altro lato del fiume, teso verso l'acqua in una diagonale che termina proprio fra i fiori ai piedi di Eco. La scena, dipinta nel 1903, appare silenziosa e rasserenante, sebbene la coscienza di qualsiasi spettatore anticipi ciò che sta per accadere.

Caravaggio, Narciso (1594-1596)

Molto più solitaria e tenebrosa appare invece la versione di Caravaggio (1594-1596): Narciso è solo, meno proteso al gioco rispetto al giovane di Waterhouse e, forse, più consapevole del conflitto lancinante cui lo costringe la passione: nella tensione sospesa del giovane vestito di abiti moderni si coglie il dramma tipico delle tele di Michelangelo Merisi, che dedica un maggiore dettaglio anche al riflesso nelle acque, sfruttando la scarsissima luce per delinearlo con la precisione che il mito richiede: le acque che egli dipinge sembrano non tanto quelle del fiumiciattolo in cui Ovidio e Waterhouse ambientano gli ultimi momenti della vita di Narciso, ma quelle dello Stige nel quale si mormora che lo sventurato ragazzo continui a specchiarsi dopo la morte, quando le Naiadi, le Driadi e la stessa Eco non possono fare altro che piangere la perdita della sua bellezza.
Il mito di Ila, invece, appartiene all'epica ellenistica, sia nella tradizione gloriosa delle Argonautiche di Apollonio Rodio (libro I, vv. 1207-1272), sia nella forma più dimessa e preziosa dell'epillio XIII (letteralmente 'piccolo epos', composizione raffinata che fa luce su aspetti secondari e intimi delle vicende degli eroi) composto da Teocrito. Ila è il giovanissimo compagno di Eracle, così fedele al grande eroe da seguirlo in ogni sua impresa, ma destinato a non diventare mai un grande guerriero. Ila parte con Eracle e con gli altri Argonauti al seguito di Giasone per cercare il vello d'oro, ma la sua avventura si conclude ben prima dell'arrivo in Colchide, dove il prezioso tesoro è custodito. Durante una sosta, infatti, Ila si allontana per prelevare dell'acqua per il suo compagno e, aggirandosi nei pressi del fiume, attira l'attenzione delle ninfe (secondo Apollonio Rodio una in particolare, mentre Teocrito non offre specificazioni in merito), che lo afferrarono per un braccio, trascinandolo sott'acqua e provocandone la scomparsa; nell'epillio di Teocrito Ila ricompare mentre le Ninfe lo consolano della lontananza dal suo amante, mentre nella versione di Apollonio non viene più menzionato. In entrambi i casi, la scena si chiude con la furia della disperazione di Eracle, colpito dalla perdita di Ila al punto da abbandonare la compagnia degli Argonauti.

J. W. Waterhouse, Ila e le Ninfe (1896)

Nel 1896 Waterhouse dipinge una scena che denota la profonda conoscenza dell'episodio, raffigurando Ila mentre si accosta con l'anfora in mano all'acqua e mentre attorno a lui appaiono le Naiadi, Ninfe delle acque. La scena, connotata di una forte sensualità nonostante l'apparente immobilità, risponde più alla versione di Apollonio, poiché una fra le ninfe ha un ruolo di primo piano nell'afferrare il braccio di Ila, anche se una seconda compagna, che dà le spalle allo spettatore, si tende ad afferrargli la veste. Fedele appare anche la riproduzione della vegetazione attorno all'acqua, riccamente descritta da Teocrito. Manca, invece, la concitazione improvvisa dell'episodio ellenistico, sostituito da un senso di minaccia strisciante: Ila appare più come un ragazzo ammaliato dalla bellezza delle ninfe che come una vittima della loro caccia erotica, come si può intuire dallo scambio si sguardi.
L'assalto delle ninfe è totalmente dimenticato da Waterhouse anche in Ila con una ninfa (1893), versione della vicenda molto diversa dall'originale, con Ila addormentato che suscita il desiderio di una Naiade che emerge dall'acqua e si fa avanti fra le piante secche, mentre è ben rappresentato in un antecedente antico dell'iconografia, risalente al IV secolo: uno dei mosaici dell'ex basilica di Giunio Basso a Roma è dedicato proprio ad Ila che, mentre si reca al fonte con l'anfora di bronzo, viene aggredito dalle Naiadi, anche se queste appaiono accanto a lui, e non immerse nell'acqua.

Ila e le Ninfe in un mosaico dell'ex basilica di Giunio Basso a Roma (IV sec.)

La fortuna iconografica di questi miti e la predilezione che John William Waterhouse manifesta nei loro confronti è facilmente riconducibile al senso di mistero e precarietà: sia Narciso che Ila sono due giovani innamorati e consumati dall'amore (quello per se stesso nel caso del primo, quello delle Ninfe nel secondo caso), che vengono ingannati da qualcosa di mutevole e inafferrabile come l'acqua e da essa annientati. La minaccia rappresentata dalle acque, del resto, è un motivo tipico della pittura dell'artista preraffaelita, che dedica diverse tele alle Sirene o rappresenta fanciulle (principesse celtiche, personaggi shakespeariane, ninfe o altre figure del mito) nei pressi del mare o di specchi d'acqua.

C.M.

Commenti

  1. Che articolo interessante, complimenti! I miti di cui hai parlato sono tra i miei preferiti, ma sono piuttosto ignorante per quanto riguarda l'arte… Forse mi è capitato di sentir nominare Waterhouse ai tempi del liceo, ma è stato come se ne leggessi per la prima volta. I suoi dipinti sono stupendi, sono felice di averli scoperti grazie al tuo post :)

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    1. Sono contenta di averti dato questa occasione di approfondimento, per quanto non sia certo un'esperta di arte e tanto meno di Waterhouse! Però anch'io sono appassionata di mitologia, soprattutto dei miti meno noti come quello di Ila, e trovarli tradotti nella pittura o nella scultura mi affascina sempre moltissimo! Grazie per essere passata e per i complimenti! :)

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  2. Splendido articolo Cristina, mi unisco ai complimenti e al grazie per il post!
    Conosco bene Waterhouse, ma ero del tutto dimentico del capolavoro di Caravaggio, che forse avevo osservato solo in modo superficiale, senza coglierne l'immensa suggestione.

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    1. Grazie, Ivano! Spero di dedicare presto qualche altro articolo a Waterhouse: è un artista che ammiro molto, soprattutto nella sua veste classica (lo so, sono prevedibile, ma tant'è)! :)

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  3. Un articolo molto bello, spiegato con la consueta chiarezza, che accompagna il lettore tra i grandi miti del passato e i dipinti più famosi che li rappresentano. Piacevolissimo da leggere. Anche in una mattinata triste come questa, funestata dagli eventi tragici accaduti a Parigi. Forse perché l'eterna bellezza dell’Arte è comunque in grado di offrire un conforto, anche se minimo, all’odio e all’intolleranza umana che da sempre devastano il mondo.

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    1. Grazie di averlo apprezzato, Alessandra, e per aver tratto un piccolo conforto da questo pezzo leggero e inadeguato al clima di queste ore. Mi piace pensare che sia un po'come dici tu, un po'richiamando Dostoevskij, con la sua idea che la Bellezza possa salvare il mondo: di fronte a manifestazioni di violenza e odio, forse l'arte ci sa consolare perché ci ricorda che l'umanità, oltre a questi orrori, sa produrre anche opere meravigliose, permettendo al mondo intero di beneficiarne.

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    2. Ma dov'è esposto il quadro di Ila e le ninfe?

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    3. Alle City Art Galleries di Manchester, a quanto mi risulta.

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