Galatea: il trionfo di Raffaello e il sonno di Moreau

I temi dell'arte rinascimentale si situano in un felice punto di incontro fra mitologia, religione e filosofia; a tutti questi settori narrativi attingono grandi artisti come Botticelli, Michelangelo e Raffaello, che offrono alla storia culturale italiana alcune fra le manifestazioni più note e amate della pittura fra il XIV e il XV secolo, ma dimostrano al contempo di conoscere la letteratura classica e dei primi secoli dell'era volgare.
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (295 x 225 cm)
L'affresco del Trionfo di Galatea realizzato da Raffaello Sanzio nel 1512 nella Villa della Farnesina a Roma è una testimonianza di questa mirabile fusione. Il mito cui si ispira è narrato nel ditirambo Il Ciclope di Filosseno di Citera (V-IV sec. a.C.), dal poeta ellenistico Teocrito nell'Idillio XI e da Ovidio nelle Metamorfosi (libro XIII vv. 738-897).
Galatea è una delle figlie di Nereo, una ninfa marina che Filosseno descrive come una fanciulla incantevole dai capelli biondi. Nell'idillio Teocriteo viene invece dato spazio al lamento di Polifemo, che piange il proprio amore frustrato per la bella Nereide cantando sulla spiaggia coperta di alghe la propria sofferenza sulla melodia della cetra. Il Ciclope è dunque ben diverso dal ritratto che di lui ci offre Omero nel libro IX dell'Odissea, ma è sempre un pastore, e sono proprio i beni di chi pascola gli armenti che l'enorme creatura immagina di offrire come dono nuziale a Galatea: la sua ricchezza è data dalle migliaia di pecore, dal latte inesauribile e dai graticci ricolmi di formaggio che anni dopo Odisseo e i suoi compagni avrebbero ammirato (Polifemo è infatti ancora giovane, dato che Teocrito pone questo amore nel tempo in cui gli è appena spuntata a barba). La descrizione di Galatea che emerge dall'idillio è a sua volta riportata alla prospettiva bucolica dell'innamorato:
O bianca Galatea, perchè respingi
chi t'ama, tu più bianca del formaggio,
d'un agnello più tenera, più altera
d'una vitella, più lucente e liscia
dell'uva acerba, tu che mi compari
insieme al dolce sonno e ti dilegui,
appena il dolce sonno se ne va?
[Teocrito, Idillio XI, vv. 27-33, trad. di V. Gigante Lanzara]
Lo stesso Polifemo risponde all'interrogativo, adducendo come spiegazione al rifiuto di Galatea il proprio orrido aspetto, così come fa nelle Metamorfosi di Ovidio, secondo il racconto che la ninfa offre a Scilla mentre questa le pettina i capelli: analogo a quello di Teocrito è il lamento del Ciclope, ma il poeta latino si dilunga su ciò che accade una volta che esso è terminato, cioè l'uccisione da parte di Polifemo di Aci, amante di Galatea sorpreso in sua compagnia e tramutatosi in fiume dopo la morte. Questa la lode della bellezza di Galatea, cui segue, a differenza del brano greco, una rassegna di paragoni per la durezza della sua anima.
O Galatea, più bianca dei petali del niveo ligustro,
più fiorente dei prati, più slanciata di un esile ontano,
più splendente del cristallo, più vivace di un tenero capretto,
più liscia delle conchiglie levigate dal continuo moto delle onde,
più gradita del sole in inverno e dell'ombra d'estate,
più eccellente della frutta, più maestosa di un alto platano,
più trasparente del ghiaccio, più dolce dell'uva matura,
più morbida delle piume del cigno e del latte cagliato
e più bella di un giardino irrigato, se non mi fuggissi!
[Ovidio, Metamorfosi XIII, vv. 789-797]
Sebastiano del Piombo, Polifemo (295 x 225 cm)
La descrizione letteraria che Raffaello ha maggiormente presente è però quella di Angelo Poliziano all'interno delle Stanze per la Giostra (stanza 118), opera che ha fornito molti spunti iconografici agli artisti (un esempio fra tutti è la Primavera del Botticelli). L'iconografia è forse ispirata alle Immagini di Flavio Filostrato, opera in cui vengono descritti sessantaquattro dipinti con soggetti prettamente mitologici che l'autore avrebbe ammirato durante una visita ad una pinacoteca di Napoli. Il libro II contiene infatti una diciottesima tavola dipinta con il motivo del Ciclope Polifemo, dove vengono descritti sia il gigante, rintanato nella sua grotta con un riferimento ai versi teocritei, sia Galatea, che manifesta proprio l'atteggiamento in cui la coglie Raffaello:
La ninfa si diverte tra le onde conducendo quattro delfini aggiogati insieme che emergono all'unisono. Li guidano le fanciulle figlie di Tritone, serve di Galatea, e li tengono a freno in modo che non facciano nulla di male. Tiene sulla testa un velo spiegato al vento che le fa da riparo e insieme da vela per il suo carro e le cade sul volto un riflesso, ma non supera la grazia della bellezza delle sue gote. I capelli non ondeggiano nell'aria, perché sono così bagnati che resistono alle raffiche. Ed ecco che si vede il suo bianco braccio piegato, mentre poggia le dita sulla morbida spalla; e le sue braccia sono delicatamente tornite risalta il seno e non manca grazia nelle sue gambe. Il suo piede è come dipinto sul mare e sfiora l'acqua come un timone che guida il carro. I suoi occhi sono meravigliosi, perché tendono lo sguardo lontano fino a dove si estende il mare.
Allo stesso modo e prendendo a modello Filostrato, nel descrivere alcune decorazioni architettoniche con motivi mitologici, Poliziano si sofferma proprio sulla figura di Polifemo che lamenta il proprio amore per la Nereide e subito dopo dedica un ricco passaggio al trionfo vero e proprio della ninfa, incurante del canto del Ciclope:
Duo formosi delfini un carro tirono:
sovresso è Galatea che 'l fren corregge,
e quei notando parimente spirono;
ruotasi attorno più lasciva gregge:
qual le salse onde sputa, e quai s'aggirono,
qual par che per amor giuochi e vanegge;
la bella ninfa colle suore fide
di sì rozo cantor vezzosa ride.
Il dipinto di Raffaello doveva originariamente far parte di un progetto più esteso di rappresentazione del mito che ha per protagonista la ninfa marina, come si intuisce dalla posizione accanto al Polifemo di Sebastiano del Piombo. Nella Villa della Farnesina si ristabilisce così il contatto fra le due figure, anche se la separazione dei soggetti in due affreschi affiancati accentua il valore del trionfo della ninfa e della condanna del Ciclope, simbolo, per l'artista, della libidine sconfitta. Il dipinto di Raffaello, infatti, è intessuto di significati allegorici che esaltano il valore morale della bellezza di Galatea, perfettamente rispondente al suo ritratto classico, con i capelli biondi e la pelle bianchissima e con una collocazione marina che richiama il verso 792 di Ovidio (l'unico in cui il paragone esula dalla prospettiva bucolica del Ciclope per entrare in quella della ninfa). 
Gustave Moreau, Galatea (85,5 x 66 cm, olio su legno)
Il trionfo cui allude il titolo dell'affresco, dunque, è quello dell'amore puro che si oppone alla libidine ferina rappresentata da Polifemo. Galatea, infatti, è circondata da putti armati che simboleggiano l'amore platonico ed è importante soprattutto osservare il Cupido in primo piano, che, come suggerisce Marisa Libertino, ha la funzione di portare l'attenzione sui delfini (due come in Poliziano e non quattro come in Filostrato), in particolare sul più vicino, che sta divorando un polipo. La Libertino, infatti, leggendo i tratti morali attribuiti anticamente al delfino, animale nobile che ama i propri figli, e al polipo, per il quale l'accoppiamento è addirittura mortale, legge in questo particolare del dipinto una sorta di conferma della purezza di Galatea. Il risultato è una scena corale in cui tutto amplifica il trionfo della bella ninfa e adombra il suo selvaggio amante.
I dipinti di Sebastiano del Piombo e di Raffaello vengono come uniti nella Galatea di Gustave Moreau (1880 circa), oggi al Museo d'Orsay. L'artista francese, infatti, si ispira direttamente ai precedenti della Farnesina, ma sceglie di concentrarsi sulla malinconia di Polifemo, che osserva la sua bella addormentata da una breccia aperta fra le rocce e la vegetazione. Il tema evidenziato è ancora una volta un contrasto, ma non un contrasto morale: Moreau mette in evidenza la bellezza della ninfa, che ricorda lo splendore dell'elogio ovidiano, e, allo stesso tempo, la bruttezza del gigante, per il quale il fondo della grotta in cui giace Galatea è inaccessibile.
Il mito di Galatea non è certo fra i più noti ed è evidente che, parlando di Polifemo, la mente corre più facilmente ai suoi atti sanguinosi contro i compagni di Odisseo che a questi lamenti amorosi, eppure i grandi artisti hanno sempre guardato a questi aneddoti preziosi (tramandati soprattutto dai poeti ellenistici e agli autori latini che ed essi si sono ispirati), resuscitando tradizioni sopite e lavorando sulle grandi potenzialità semantiche dei loro dettagli.

C.M.

Commenti

  1. Bello osservare questi famosi dipinti alla luce delle tue spiegazioni. Sei bravissima. Personalmente sono rimasta incantata dal dipinto di Gustave Moreau...

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    1. Anch'io ne sono rimasta colpita, perché non lo conoscevo (e non ricordo di averlo ammirato ai tempi della mia visita al Museo d'Orsay, ahimé) e la lettura di Moreau dei miti mi affascina molto. Sono contenta che il post ti sia piaciuto, per me è stata una preziosa occasione per documentarmi meglio sulla fortuna di Galatea e del suo sfortunato innamorato. Grazie!

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