Il protagonista del romanzo si presenta come la personificazione dell'Impero che, ormai privo della compostezza e della gloria passate, si avvia al declino, in preda ad una profonda crisi di identità e valori. Costui è Joseph von Trotta, un giovane militare che discende dall'uomo che ha salvato l'imperatore Francesco Giuseppe da una pallottola durante la battaglia di Solferino (1859) e che è per questo noto come l''Eroe di Solferino'. Il padre di Joseph, Franz, è il custode della memoria paterna, l'incarnazione della lealtà alla monarchia e alla sua missione universale di ascendenza divina. Joseph, però, non ha la stessa fermezza del padre: il suo orizzonte culturale è completamente diverso, portato al godimento di una vita spensierata e non al rigore e al sacrificio della divisa; sebbene fin da ragazzino Joseph abbia assistito alle parate militari scandite dal ritmo della Marcia di Radetzky, monumento alla potenza militare, egli non è in grado di abbracciare i valori dell''Eroe di Solferino' e, anzi, appare quasi schiacciato dalle eccessive aspettative nutrite da quella gravosa eredità e compie ogni sorta di leggerezza per poter svincolare il proprio destino da quello di un sovrano lontano, ormai destinato a veder tramontare il sogni dell'Impero.
Durante la lettura si sono susseguiti in me tanti sentimenti diversi, alcuni forse troppo severi. Innanzitutto mi chiedevo se sarei mai riuscita ad apprezzare pienamente dei personaggi che si identificano con l'anti-Risorgimento. Non che nutra anacronistici pensieri nazionalistici in merito alle vicende narrate, ma mi ha sempre fatto uno strano effetto pensare al successo ottenuto in Italia da figure come Francesco Giuseppe, condottiero dell'esercito che ci contrastò l'indipendenza ma anche marito dell'amatissima principessa Elisabetta di Baviera (la celebre Sissi) o dallo stesso Radetzky al quale Strauss dedicò la celebre marcia e che dà il nome ad un vino di Custoza, luogo in cui egli inflisse una pesante sconfitta agli Italiani nel 1859. Insomma, mi domandavo quanto sarei riuscita a comprendere il dilemma di un mondo in decadenza che, se non fosse declinato, non avrebbe forse permesso la nascita del nostro mondo. Invece i grandi narratori hanno questo di speciale: riescono a trasformare le storie e le emozioni particolari in universali in grado di toccare lo spirito di chiunque, facendogli comunque avvertire l'autenticità di ciò che raccontano. Questo trasforma un libro in un classico.
La maturazione della fascinazione per La Marcia di Radetzky è stata dunque molto lenta, perché ha seguito l'andamento irregolare di queste spinte contrapposte e l'alternanza sulla scena dei capricci di Joseph, del cerimoniale di Franz e delle incombenze di Francesco Giuseppe. In qualche passaggio, addirittura, Roth mi sembrava dilungarsi davvero troppo su snodi insignificanti della storia, dimenticando di raccontarci la storia, non offrendoci reali spunti di progressione; alla metà del romanzo, ancora non capivo quale fosse la vicenda che l'autore mi stava offrendo. Poi ho capito che l'azione in sé era di poca importanza, che la Finis Austriae si andava definendo proprio attraverso quei quadri apparentemente statici ed esornativi... finché, con gli ultimi tre capitoli, il cuore ha iniziato a palpitare e li mani hanno preso a tremare.
Anselmo Bucci, Finis Austriae |
C.M.Allora, prima della grande guerra, all’epoca in cui avvennero i fatti di cui si riferisce in questi fogli, non era ancora indifferente se un uomo viveva o moriva. Se uno era cancellato dalla schiera dei terrestri non veniva subito un altro al suo posto per far dimenticare il morto ma, dove quello mancava, restava un vuoto, e i vicini come i lontani testimoni del declino di un mondo ammutolivano ogni qual volta vedevano questo vuoto. Se il fuoco portava via una casa dall’isolato di una strada, il vuoto lasciato dall’incendio rimaneva ancora a lungo. Poiché i muratori lavoravano lenti e attenti, e i vicini più prossimi, allo spiazzo vuoto si rammentavano della forma e delle mura della casa scomparsa. Così era allora! Tutto ciò che cresceva aveva bisogno di tanto tempo per crescere; e tutto ciò che finiva aveva bisogno di lungo tempo per essere dimenticato. Ma tutto ciò che un giorno era esistito aveva lasciato le sue tracce, e in quell’epoca si viveva di ricordi come oggigiorno si vive della capacità di dimenticare alla svelta e senza esitazione.
Poche volte ti ho percepita così emotivamente presa (e per certi versi anche turbata da sentimenti contradditori) per il contenuto e i personaggi di un romanzo. Non ho mai letto Roth, ma con le tue parole sei riuscita a destarmi un forte interesse. Zweig era piaciuto molto anche a me, ma è una lettura che risale a molti anni fa e alcuni ricordi sono ormai sbiaditi. Dovrei riprenderlo in mano.
RispondiEliminaCredo che un simile coinvolgimento non mi capitasse dai tempi di Piccole donne crescono: non che siano mancati i libri capaci di imprimere forti emozioni, positive e negative, ma Roth è riuscito a riprodurre e a trasmettere ai lettori il clima del suo tempo, una sensazione di spaesamento e mancanza di direzione che produce un'inquieta stasi e, improvvisamente, la deflagrazione di un intero mondo. Zweig aveva invitato più alla riflessione sul cambiamento e sulla sua ricaduta nell'esperienza dello scrittore stesso, ma Roth ci si è infilato dentro e lo ha descritto nei minimi particolari. Due testi che meritano di essere conosciuti, indubbiamente!
EliminaHo sempre conosciuto il succo del discorso ma non ho mai letto questo titolo di Roth: dopo la tua appassionata recensione ora non potrò esimermi dalla lettura ^_^
RispondiEliminaIo sono particolarmente sensibile alle atmosfere dei decenni a cavallo fra XIX e XX secolo, quindi leggi il mio entusiasmo anche alla luce di questa confessione, però sì, è davvero un libro che merita. :)
Eliminami fa piacere che la lettura che ti avevo suggerito ti abbia coinvolto così tanto. è passato qualche anno da quando lessi La marcia di Radetzky, a breve distanza dalla Cripta dei cappuccini, ma ricordo che anche le mie emozioni furono contraddittorie e forti. indubbiamente Roth merita una lettura attenta e una riflessione sui destini personali e universali degli uomini e della storia
RispondiEliminaIl suggerimento è stato perfetto, una volta smaltiti un po'di libri in coda di lettura mi procurerò anche La cripta dei Cappuccini. Grazie!
EliminaCon questa tua bellissima recensione (è veramente bella complimenti), posso iniziare anche io questa lunga cavalcata verso la fine dell'impero asburgico, che è in fondo la fine di un'epoca, e data la tua emozione non può non avere dei momenti di lirismo. A proposto della tematica della Finis Austriae ti consiglio un romanzo sicuramente meno bello rispetto a quello di Roth, ma elegante ed intenso, "La Melodia di Vienna".
RispondiEliminaMi ricordo che ne avevi parlato, e adesso che mi sono innamorata di queste atmosfere dovrò proprio recuperarlo. Penso che la saga dei von Trotta piacerà molto anche a te, io proseguirò di certo con questa avventura e sarà un piacere confrontarci ancora.
EliminaGrazie di aver apprezzato il post, alla prossima! :)
Ho sempre percepito qualcosa di poderosamente elegante e forte nella storia tutta degli Asburgo. Per quanto la nostra storia d'Italia sia tristemente legata a questo impero, c'è da riconoscere la raffinata intelligenza di questa dinastia, l'indiscusso orgoglio che ne ha fatto dei protagonisti della storia degli ultimi secoli.
RispondiEliminaSono d'accordo, del resto è una dinastia che ha letteralmente determinato la storia d'Europa per secoli, e l'Austria ha tratto dall'esperienza dell'Impero il beneficio di un immenso fervore culturale.
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