Sette maghi - Halldór Laxness

Affascinata dai primi passi con Iperborea, ho continuato la mia esplorazione della letteratura nordica attraverso Halldór Laxness, vincitore del premio Nobel nel 1955. Ho scelto di partire con la brevissima raccolta di racconti intitolata Sette maghi, agile lettura che ci trasporta in luoghi diversissimi, dall'Islanda alla Sicilia, senza scordare il fascino misterioso dell'estremo Oriente. 

Non è solo la geografia a distinguere un racconto dall'altro, ma anche le tematiche, che spaziano dalla meraviglia dei viaggi al sogno di un aspirante eroe, dalla critica al potere e alle forme di controllo repressivo a visioni di viaggi surreali.
Sette maghi non ha direttamente a che fare, nel suo insieme, con la figura fantastica dell'incantatore, anche se le note surreali sono abbondanti e talvolta mascherate nelle forme del Realismo magico, cioè in quell'intreccio fra storia, quotidianità e paranormale che non permette chiaramente di delimitare i confini fra realtà ed elemento fantastico. Verrebbe dunque da pensare ad un'associazione fra il numero dei maghi e i racconti, ma qui Laxness, che ha scelto personalmente i brani che compongono la raccolta, ci spiazza, poiché i pezzi sono otto. Il problema del titolo è affrontato anche nella postfazione, ma senza che si arrivi ad una soluzione.
Del resto, i racconti stessi sono tutti caratterizzati da un finale aperto, da una mancanza di elementi che ci aiutino ad orientarci in una precisa rete di significati e messaggi, forse perché l'autore intende soddisfare il bisogno del protagonista e narratore del penultimo racconto, che ho trovato il più riuscito (e che è l'unico in cui un mago sia esplicitamente citato), intitolato Il pifferaio. Qui il piccolo Óli, distolto dal compito di rifocillare i falciatori al lavoro, si imbatte in un uomo misterioso che immediatamente gli dà l'impressione di non essere realmente un uomo, come il suo cavallo non è un vero cavallo. Costui sembra uno spettro o un incantatore, non dice chiaramente al ragazzino cosa voglia da lui, ma parla, parla e parla, senza che Óli possa capire il senso delle sue frasi. Eppure la malia funziona, e per Óli il significato passa in secondo piano... anche perché nessuno gli crederebbe se tentasse di spiegare la sua esperienza straordinaria.
Laxness sembra invitarci ugualmente a posare il nostro bisogno di senso e a lasciarci intrattenere dalla narrazione stessa, dimostrandoci che le storie e le parole hanno molto più peso delle finalità che esse vogliono raggiungere, ma anche che, quando il loro incanto si spezza, il mondo che hanno costruito si dissolve rapidamente: è così per il Figlio del Cielo che parte per un viaggio in terre lontane, è così per Jón, che credere di essere Napoleone Bonaparte finché lui stesso non decide di togliersi quella maschera, dimenticando persino di averla portata, è così per il vecchio zoppo Þórður, per il quale la rivoluzione è solo un insieme di slogan finché non subentra il bisogno di lottare per mangiare, ed è così per il Gran Khan, che si perde nell'oratoria sapienziale di Cin-Ciao-Lin nel tentativo di trovarvi un'impossibile giustificazione della sua brama di potere.
In qualche modo, nei racconti confluiti in Sette maghi viene sempre inscenata una contrapposizione fra uno stato di cose (l'abbandono, la tirannide, un rapimento, un'amata sedotta da un altro uomo) e uno slancio ideale che produce le conseguenze più disparate, dalla ribellione fisica di un garzone contro i fascisti dell'aviazione atterrati a Reykjavík alla fantasia di rifugiarsi in un proprio mondo, come fa Napoleone Bonaparte dopo le delusioni accumulatesi nella sua vita.
In questo intreccio fra realtà e fantasia, sogno e amarezza, i racconti di Laxness mi hanno ricordato alcuni toni della narrativa breve di Buzzati, ad esempio il Figlio del Cielo e il suo viaggio in un impero sterminato mi hanno riportato con la mente all'avventura dei Sette messaggeri de La boutique del Mistero. A dirla tutta, è stato proprio il sospetto di questa affinità a convincermi alla lettura di Sette maghi. A differenza dell'autore italiano, però, Laxness conferisce una minor autonomia al singolo racconto: per cogliere il valore del singolo pezzo, che di per sé sembra soltanto un insieme di situazioni narrative molto originali, il lettore deve completare la lettura e fare un passo indietro per ammirare l'affresco complessivo. Credo che questo sia il limite di Sette maghi e, insieme, la sua peculiarità più bella.

Fin da quando avevo imparato a leggere, mi avevano sempre infastidito le storie che contenevano un insegnamento morale, un tentativo educativo o comunque un secondo significato celato dietro avvincenti prolusioni o sotto le mentite spoglie di una fiaba. Avevo sempre avuto l'impressione che questo uso improprio della parola mirasse a ingannarmi, e d'istinto smettevo di leggere o di ascoltare non appena cominciavo a sospettare che la narrazione avesse lo scopo d'instillarmi una saggezza che qualcun altro riteneva importante, una virtù che a qualcun altro sembrava bella - invece di raccontarmi una storia, dato che le storie sono la cosa più splendida che si possa raccontare.

C.M.

Commenti

  1. Splendida segnalazione, il tema del "pifferaio", anche nelle versioni più rielaborate, mi affascina molto sin da quando ho letto della Crociata dei Bambini, episodio medievale che molti pensano sia alla base della leggenda del pifferaio magico.
    Come sempre sei uno scrigno di ottimi libri ^_^

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    1. Lo scrigno di ottimi libri è la libreria indipendente che frequento da qualche tempo: ne esco sempre con dei gioielli grazie ai suggerimenti della proprietaria!
      Se il tema del pifferaio ti affascina, credo che la rielaborazione di Laxness non ti deluderà! :)

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  2. Ecco già questo si troverà nella lunga lista di libri da comprare. Come dicevo alla blogger Cludia, l'Iperborea è una casa editrice da tenere d'occhio.

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    1. L'ultima volta che sono entrata in libreria per un incontro letterario avrei svaligiato lo scaffale Iperborea... ma, prevedendo la tentazione, sono andata senza soldi! ;)

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  3. Lasciano qualcosa in sospeso, è così. I racconti, forse più dei romanzi, si aprono a mille interpretazioni e spesso dipendono anche dal momento della lettura.

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    1. Vero, infatti quando i racconti sono inseriti in raccolte coerenti riesco ad apprezzarli molto di più, perché comunicano fra loro, mentre un singolo racconto o una raccolta non progettata fatico ad esserne appagata.

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  4. Grandi apprezzamenti per la CE, che ho iniziato a conoscere grazie al primo libro letto di A. Paasilinna (L'anno della lepre). Ho da parte, in attesa di lettura, i volumi (due per adesso) dedicati alle fiabe lapponi e danesi, a cura di Bruno Berni *__*
    Il titolo che hai proposto finisce tra le letture future :D Imperdibile!

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    1. I lettori iperboreani sono sempre di più, e non mi stupisco del successo! :)

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