Uomini e no - Elio Vittorini

La Resistenza, che la celebrazione del 25 aprile ha riaffermato pochi giorni fa come la culla dei valori fondanti della Repubblica italiana, è, oltre che l'humus della Costituzione, il terreno di crescita di una vasta produzione letteraria spesso riunita sotto l'etichetta generica di Neorealismo. Senza dubbio si è trattato di un'esperienza fondamentale nel percorso storico-letterario nazionale, di un ponte fra il genere della narrativa e quello della testimonianza. Eppure non vi sono due romanzi sulla Resistenza che siano uguali, sovrapposti o che ci diano la sensazione di aver già letto tutto, di averne abbastanza, di poter dire di non poter imparare altro su quello che tale movimento di popolo ha rappresentato.

Dall'avventura quasi fiabesca di Pin ne Il sentiero dei nidi di ragno al risentimento di Ettore ne La paga del sabato, in Corrado, che cerca di dare un senso alla ribellione nel libro La casa in collina e, ancora, nelle intime pagine di Lessico famigliare in cui Natalia Ginzburg parla anche della persecuzione subite dal marito per il suo impegno antifascista, tutto va a comporre un immenso affresco vasto quanto la nostra penisola e profondo quanto il dolore che alla guerra si è accompagnato.
La prospettiva di Elio Vittorini è a sua volta particolare. Uomini e no, un breve romanzo che non ci fa arrampicare sui monti, ma ci porta nel mezzo della guerriglia in città, della giustizia sommaria delle SS e del loro agghiacciante sadismo. Le vicende si svolgono nel gennaio del 1944, fra attentati agli occupanti tedeschi e ritorsioni che portano al rastrellamento di numerosi civili esibiti come macabri trofei di caccia per le strade. Enne 2 e i suoi compagni si impegnano strenuamente nella lotta, anche quando essa sembra negare un senso e soffocare la speranza, anche quando i più agguerriti cedono e la cattura è più una certezza che una paura. Fra un'azione armata e l'altra, però, Enne 2 ha Berta, un ricordo e un pensiero quasi inafferrabile, una passione appena ritrovata ma per la quale rischiare tutto.

Bisogna che gli uomini possano essere felici. Ogni cosa ha un senso solo perché gli uomini siano felici. Non è solo per questo che le cose hanno un senso? 

Nonostante la consapevolezza della necessità della lotta, comune alle conclusioni, pur rassegnate, del personaggio di Pavese, nemmeno Vittorini cade nella celebrazione della Resistenza. L'autore, come tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle quel momento storico, ha coscienza del carattere tanto inevitabile quanto drammatico della scelta dell'opposizione armata. Se in un primo momento Enne2 e i suoi compagni si identificano nella causa della felicità umana, ben presto, di fronte alle perdite e ai massacri degli innocenti, si fa largo nel protagonista la convinzione che resistere è necessario di per sé, per non arrendersi, per non lasciarsi strappare l'amore per la libertà, anche quando ogni significato si nega. Una conclusione amara, priva di eroismo, che ha comportato anche una ricezione fredda o ostile del romanzo da parte di letterati e politici, ma anche il plauso di Italo Calvino.

Ma i bravi soldati vanno a una battaglia dove la morte è a somiglianza di loro, brava come loro, ed essi invece andavano a una battaglia dove la morte non era affatto brava.
I bravi soldati hanno davanti altri bravi soldati. Combattono contro uomini che sono anch’essi uomini, pacifici e semplici. Possono darsi prigionieri. Possono sorridere se sono catturati. E poi, i bravi soldati hanno dietro tutto il loro paese, con tutta la gente e tutte le cose, le città, le ferrovie i fiumi, le montagne, il foraggio tagliato e il foraggio da tagliare; e se essi non tornano indietro, se vanno avanti, se uccidono, se si lasciano uccidere, è il loro paese che li costringe a farlo, non sono proprio essi a farlo, lo fa il loro paese, e a loro è possibile, molto naturalmente, senza sforzo, restare semplici e pacifici anche durante una battaglia, e prima della battaglia parlare di bachi da seta e cinematografo.

Il romanzo ci offre una riflessione frammentaria sulla lotta, sulla violenza, sulla loro necessità e sulla frattura che determina fra l'essere umani e non esserlo. Enne2 è un uomo immerso nella resistenza e nelle sue azioni, ma non può non vederne le contraddizioni e non chiedersi il perché di ogni sacrificio. Come accade in La casa in collina, anche qui ci sono dei morti che chiedono ai vivi le ragioni, ma solo persone come Enne2, non accecate da ideologie e a contatto con tutti i risvolti della ribellione, possono avvertire l'urgenza di quegli interrogativi. Il sangue versato dalle SS è allo stesso tempo un grande inquisitore che domanda se valga la pena continuare ad opporsi, un'evidenza che pretende dai partigiani la consegna dei colpevoli disumani e la risposta che incita a resistere e a trovare nel bisogno di evitare il perpetrarsi dell'orrore il motivo della resistenza stessa.

Renato Guttuso, Gott mit Uns

Chi aveva colpito non poteva colpire più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpir l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dove era più uomo. Chi aveva colpito voleva essere il lupo, far paura all’uomo. Non voleva fargli paura? E questo il modo di colpire era il migliore che credesse di avere il lupo per fargli paura.
Però nessuno, nella folla, sembrava aver paura.
[…] Ognuno, appena veduti i morti, era come loro, e comprendeva ogni cosa come loro, non aveva paura come non ne avevano loro. 

La violenza dei non-uomini colpisce gli uomini: è questo il senso della dicotomia suggerita dal titolo. Uomini e no definisce una contrapposizione fra chi è vittima e chi è carnefice, anche se il rischio di confusione fra i due ruoli è molto alto, come dimostra l'incapacità dell'ultimo associato alla brigata di Enne2 di uccidere a sangue freddo un soldato tedesco che non appare poi tanto diverso da lui.
La grande sfida posta dalla Storia si intreccia poi ai sentimenti: la Resistenza, i morti per le strade, le azioni punitive, gli assalti notturni non possono essere altro dalla vita di affetti di ciascuno. Per questo Enne2 sfida il pericolo per aspettare Berta, per questo Berta piange, assieme al suo dolore per l'impossibilità dell'amore per Enne2, le vittime dei rastrellamenti gettate in strada. E proprio questo coinvolgimento emotivo e personale entro il quadro collettivo della vicenda ha procurato al libro la critica di non essere pienamente neorealista.
Uomini e no è un romanzo che insinua dubbi e incertezze, che ci apre gli occhi su un versante della Resistenza che non è certo il più confortante. Elio Vittorini chiede ragioni, risposte e allo stesso tempo nega che esse siano possibili. Enne2 rappresenta il tormento di una generazione che ha intimamente legato la propria felicità personale ad un sogno di felicità collettiva e che fatica a far convivere le due dimensioni.
La lettura, tuttavia, mi ha lasciato lo stesso senso di sospensione e incompletezza che deve aver suscitato in tanti lettori che non hanno apprezzato l'impostazione di Uomini e no. Non mi ha convinta uno stile ridondante che, se ben sottolinea il bisogno di legittimazione dei personaggi che si pongono interrogativi e ricercano conferme ai loro dubbi, strappa diverso spazio alla descrizione delle azioni, di cui non appare sempre chiaro lo svolgimento. Certe sequenze occupano tantissime pagine, altre, apparentemente essenziali, vengono superate in fretta, lasciando la sensazione che ci sia sempre qualcosa di non detto o persino non pensato. Insomma, di Uomini e no ho apprezzato la poetica ma non la costruzione complessiva, sebbene sia indubbiamente non il grande difetto del romanzo (come credettero i primi critici) ma il suo miglior pregio quello di oscillare fra la dimensione collettiva della Resistenza e quella privata dei sentimenti e di testimoniare - come disse Calvino - «la nostra primordiale dialettica di morte e di felicità».

Elio Vittorini (1908-1966)

Questo forse era il punto. Che si potesse resistere come se si dovesse resistere sempre, e non dovesse esservi mai altro che resistere. Sempre che uomini potessero perdersi, e sempre vederne perdersi, sempre non poter salvare, non potere aiutare, non potere che lottare o volersi perdere. E perché lottare? Per resistere. Come se mai la predizione ch’era sugli uomini potesse finire, e mai potesse venire una liberazione. Allora resistere poteva essere semplice. Resistere? Era per resistere. Era molto semplice.

C.M.

Commenti

  1. la mia lettura di Uomini e no risale a molti, molti anni fa. non mi piacque. esattamente per i motivi che dici tu, sono andata a riguardarmi le note a margine che avevo scritto allora. solo che tu lo hai detto con la solita bravura. non ne sono stupita. brava Cristina!

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    1. Mi aspettavo una lettura più coinvolgente, più graffiante, soprattutto per la fama che precede questo libro: ho cercato di trovarci quanto di più positivo possibile, ma alla fine ho dovuto ammettere la grande difficoltà di digerire le scelte stilistiche dell'autore.
      Grazie di aver espresso apprezzamento per questo brano e aver dato un contributo a questa riflessione!

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  2. A me è piaciuto molto, proprio per la tortuosità che penso ricalchi l'interiorità di Enne2. C'è tanto spazio per l'introspezione del protagonista che si intreccia anche con la voce dell'autore, l'effetto è quello di creare pause nella narrazione legata ai fatti della Resistenza. E forse l'effetto della sospensione nasce proprio dalla volontà dell'autore di lasciare a chi legge le proprie riflessioni. La tua analisi è molto bella! *__*

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    1. Infatti l'introspezione in sé non mi è dispiaciuta, anche la storia di Enne2 e Berta mi sembrava meritasse maggiore sviluppo. Ho avuto, invece, la sensazione che mancasse qualcosa...
      Sono contenta, però, che, nonostante le diverse impressioni di lettura, riusciamo reciprocamente a riconosere la validità di entrambi i punti di vista e a leggerci a vicenda con piacere! :)

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  3. Non ho mai trovato molto accattivante Vittorini proprio per la sua complessità (che non ho mai capito fino in fondo ma sarà un mio limite), eppure come parli di letteratura italiana tu non c'è nessuno tra i blog.

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    1. Più che di limiti, si tratta della naturale propensione ad un certo tipo di narrativa e a certi autori e della conseguente freddezza di fronti ad altri: non ci può entusiasmare tutto, e negarlo sarebbe falso quanto lanciarsi in elogi dettati solo dal senso di riverenza per i classici.
      Ti ringrazio per questa manifestazione di stima, faccio il possibile per tenere in equilibrio piacere e studio nella lettura dei testi della nostra storia letteraria!

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