Seneca, la riflessione sul male e sulla vita ben spesa: "La provvidenza" e"La brevità della vita"

Leggendo integralmente i dialoghi di Seneca in preparazione al concorso ma con una scorrevolezza che dà prova di quanto sia facile confondere i limiti fra dovere e piacere quando si ha a che fare con la letteratura, mi sono trovata a pensare che la lettura di due o tre di questi libriccini da parte degli studenti sarebbe di gran lunga migliore di numerose pagine che i manuali spendono per illustrare il pensiero del filosofo latino. Perché porre agli alunni degli interrogativi su temi letterari e autori anziché fare in modo che siano loro ad interrogare Seneca, Cicerone o Omero? Di certo con questi personaggi del passato i giovani d'oggi, anzi, i cittadini di oggi avrebbero più a che spartire che con gli autori dei manuali che portano negli zaini.

Perché alle persone buone capitano cose brutte? Non è forse un interrogativo che assilla tutti noi e che ci porta ad imprecare di fronte ad immani tragedie che accadono a persone corrette, oneste, affettuose? Nel De providentia Seneca offre una risposta a questa domanda, proponendo un pensiero che è stato accolto dalla morale cattolica e che è arrivato fino a Manzoni, per continuare ad esercitare una certa influenza anche nella visione religiosa odierna o in forme di fatalismo laico. Il filosofo, infatti, in quanto stoico, accetta l'andamento delle cose (è il cosiddetto amor fati), sia nei loro risvolti positivi che nelle conseguenze negative, arrivando addirittura a sostenere l'opportunità di queste ultime, poiché sarebbero occasioni di miglioramento interiore.

Non est arbor solida nec fortis nisi quam frequens ventus incursat; ipsa enim vexatione constringitur et radices certius figit: fragiles sunt quae in aprica valle creverunt.

Non è stabile né forte l’albero che non sia continuamente aggredito dal vento; è irrobustito dalla continua violenza e rinsalda più tenacemente le radici: sono fragili le piante che sono cresciute in una valle romita.

Con una serie di metafore tratte dal mondo naturale, da quello della lavorazione dei metalli e dalla vita militare, Seneca illustra la sua visione del mondo, di una realtà retta dal Logos divino e ordinata a sua immagine per armonizzare tutto quanto da esso è generato e ad esso è destinato a ritornare. L'uomo è legato al Logos e il Logos è nei suoi confronti come un comandante per i suoi soldati, un capo che sceglie i migliori per le imprese più difficoltose e ardimentose.

Adversarum impetus rerum viri fortis non vertit animum: manet in statu et quidquid evenit in suum colorem trahit; est enim omnibus externis potentior.

L’assalto delle avversità non smuove lo spirito dell’uomo forte: rimane impassibile e qualsiasi cosa accada l’assimila a sé, perché è più potente di tutte le cose esterne.

Dunque la cattiva sorte non è altro che una sfida attraverso la quale l'essere umano può dimostrare il proprio valore, e dolersi della sventura è ingiusto, perché è dell'impossibilità del cimento delle proprie forze nelle avversità che ci si dovrebbe dolere. È il 'sugo di tutta la storia' dei Promessi Sposi: che l'uomo si procuri danni per la propria ingenuità o che se li veda piombare addosso senza averne colpa, la sventura è data dalla Provvidenza per produrre un miglioramento interiore.

Miserum te iudico, quod numquam fuisti miser. Transisti sine adversario vitam; nemo sciet quid potueris, ne tu quidem ipse. Opus est enim ad notitiam sui experimento; quid quisque posset nisi temptando non didicit.

Ti ritengo infelice perché infelice non sei mai stato. Hai trascorso la vita senza un avversario; nessuno sa cosa saresti stato in grado di fare, nemmeno tu stesso. Infatti per conoscere se stessi è necessario un cimento; nessuno può imparare di cosa sia capace se non mettendosi alla prova.

E non è forse uno dei grandi rovelli dell'umanità la fuga del tempo, con la conseguente ansia per il domani e il rammarico per il passato perduto?

In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est. Ex his quod agimus breve est, quod acturi sumus dubium, quod egimus certum. Hoc est enim in quod fortuna ius perdidit, quod in nullius arbitrium reduci potest.

La vita si divide in tre parti: ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. Di queste tre parti quella che viviamo è breve, quella che vivremo è incerta e quella che abbiamo vissuto è certa. Solo in questo infatti la fortuna ha perduto il proprio potere, poiché non può essere soggetta al volere di nessuno.

Nel De brevitate vitae Seneca si sofferma sull'abitudine degli esseri umani di sprecare la loro vita: si lamentano che il tempo della loro esistenza sia breve, ma quello che hanno a disposizione viene sperperato rincorrendo vanità quali la fama, il potere, il denaro. Preso dalla foga di accumulare in vista di un domani migliore, ciascuno consuma la miglior parte della propria esistenza e dissipa il proprio tempo come non ammetterebbe mai di dissipare il denaro.

Nemo aestimat tempus; utuntur illo laxius quasi gratuito. […] Quodsi posset quemadmodum praeteritorum annorum cuiusque numerus proponi, sic futurorum, quomodo illi qui paucos viderent superesse trepidarent, quomodo illis parcerent! Atqui facile est quamvis exiguum dispensare quod certum est; id debet servari diligentius quod nescias quando deficiat. […] Nemo restituet annos, nemo iterum te tibi reddet. Ibit qua coepit aetas nec cursum suum aut revocabit aut supprimet; nihil tumultuabitur, nihil admonebit velocitatis suae: tacita labetur. Non illa se regis imperio, non favore populi longius proferet: sicut missa est a primo die, curret, nusquam devertetur, nusquam remorabitur. Quid fiet? Tu occupatus es, vita festinat; mors interim aderit, cui velis nolis vacandum est.

Nessuno dà valore al tempo; tutti se ne servono smodatamente, come se fosse gratuito. Se il numero di anni futuri di ciascuno potesse essere visibile come quello degli anni passati, come sbigottirebbe chi ne vedesse avanzare pochi, come ne sarebbe parco! Ma è facile risparmiare ciò che è certo, per quanto esiguo; si deve serbare con più attenzione ciò che non sai quando verrà a mancare. Nessuno ti darà indietro gli anni, nessuno ti restituirà a te stesso. Il tempo della vita proseguirà lungo la sua strada e non riavvolgerà né porrà fine al proprio corso; non farà alcun rumore, non darà segno della sua velocità. Non si allungherà per decreto di un re, né per decisione popolare: corre così come ha iniziato il primo giorno, non si fermerà e non si attarderà. Che accadrà? Tu sei occupato, la vita si affretta; infine arriverà la morte, per la quale, volente o nolente, dovrai avere tempo.

Mai come oggi una tale riflessione è necessaria e può produrre nelle nuove generazioni un collegamento fra vita e letteratura, rendendone lo studio non una delle numerose occupazioni che anche Seneca deprecherebbe, ma un momento di autentico confronto con se stessi. Del resto il tempo dedicato al miglioramento dell'animo, alla filosofia e al dialogo interiore è l'unica occupazione che Seneca ritiene veramente valida e degna di farcire la vita.

Maximum videndi impedimentum est expectatio, quae pendet ex crastino, perdit hodiernum.

Il maggiore ostacolo al vivere è l’attesa, che dipende dal domani e consuma l’oggi. 

Naturalmente si potrebbe obiettare che, se tutti mettessero a frutto la vita come intende Seneca, non vi sarebbe di che vivere, né il denaro necessario alla sopravvivenza né un tozzo di pane necessario per sfamarsi. E, del resto, è assolutamente contestabile anche la sua visione del fato, che arriva alla glorificazione del suicidio e che offre il quadro teorico della vicenda biografica del filosofo, vittima del dispotismo del suo pupillo Nerone e costretto a togliersi la vita nel 65.

Eduardo Barrón, Seneca e Nerone (1904)

Ma analizzare una forma di pensiero non significa abbracciarla totalmente: le pagine di Seneca, nel De providentia e nel De brevitate vitae come in altri testi che affronteremo in futuro, trasudano interrogativi e invitano ad interrogarsi sui risvolti di quanto accade e sulle pieghe delle nostre idee. Il potere della filosofia non risiede nella capacità di convincimento (quella è propria di retori e avvocati), ma nella possibilità di fare da specchio all'individuo, di offrirgli grandi domande cui cercare risposte e, al tempo stesso, lo strumento per validare o smentire quelle conclusioni. La filosofia è spiazzante, e bastano poche sententiae lette direttamente dalla pagina di Seneca per imparare di se stessi e della letteratura più di quanto il miglior manuale possa offrire al migliore studente.

C.M.

Commenti

  1. Quanta saggezza nelle parole di Seneca, sei stata veramente brava a confezionarci un articolo! Sono riflessioni così importanti che dovrebbero accompagnarci sempre, lungo tutto il percorso della nostra vita, per imparare appunto ad affrontare meglio ogni avversità, piccola o grande che sia.

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    1. Il pensiero stoico ha, a mio avviso, molto da offrire a noi esseri umani del XXI, presi dalla frenesia di ogni cosa, sempre proiettati a obiettivi più alti e sempre pronti a vedere il lato negativo degli eventi (a partire da me, eh). Trovo che le riflessioni sull'etica meriterebbero maggiore attenzione da parte di tutti noi, anche nella scuola, affinché sappiamo almeno prendere in considerazione aspetti della realtà cui non prestiamo di norma attenzione né credito.

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  2. Utilissimo post!Occorre aggiungere tuttavia che non è facile trovare insegnanti che ti facciano appassionare alla letteratura latina.Io benché studiassi con piacere gli autori latini ho dovuto aggiungere molte primavere a quelle del liceo per poter apprezzare appieno il pensiero dei classici latini che adesso occupano molto spazio nella mia libreria di casa.

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    1. Lo so benissimo: l'approccio del docente è fondamentale per creare questo legame con i classici, e io ho avuto la fortuna di avere un'ottima insegnante. Bisogna sempre interrogarsi su come avvicinare lo studio agli studenti, stando bene atteni a non svilirne la materia per la pretesa di renderla solo piacevole e divertente...

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