I pesci non hanno gambe - Jón Kalman Stefánsson

Nei giorni scorsi sono stata in Islanda, precisamente fra Norðfjörður, lungo la costa orientale, e la piana di Keflavík. Sono partita fra le pagine di un libro, assaporando il freddo di quelle regioni mentre intorno a me bruciava il caldo, ascoltando il rombo del mare con le cicale in sottofondo. A farmi da guida era Jón Kalman Stefánsson, con il romanzo I pesci non hanno gambe (Iperborea).

Negli scritti più antichi del mondo, quelli talmente antichi che non possono più mentire, si dice che il destino sta nell’alba, e per questo bisogna comportarsi bene al mattino, carezzare dei capelli, trovare belle parole, celebrare la vita.

Ari sta rientrando a Keflavík, la città in cui ha lasciato la moglie e i figli. Un controllo all'aeroporto, però, trasforma le aspettative del ritorno a casa nel riavvolgimento di un filo di amarezza che, se seguito, riconduce Ari alla tormentata vicenda dei suoi nonni, Margrét e Oddur, lui un duro pescatore che decide di imparare a nuotare solo per amore della moglie, lei una donna che si consuma nella solitudine e nella paura dell'abbandono. Quella che sembra una vicenda individuale diventa così una saga familiare ricostruita attraverso la sovrapposizione dei piani temporali, ora il presente di Ari, ora il lontano passato dei suoi avi a Norðfjörður, ora la giovinezza dello stesso Ari a Keflavík, negli anni '70 in cui la base americana offriva il sogno del progresso e del cambiamento a ragazzini che danno l'assalto ai camion di provviste per qualche busta di M&M's. Incontriamo così Tryggvi, l'inseparabile amico di Oddur che vuole nuotare nel mare gelido per raggiungere la luna, il marinaio Eríkur, che mette alla prova la fede del cognato trascinandolo a bordo, la giovane Sigga con il suo inimmaginabile segreto e la matrigna di Ari che la salva dalle onde.

Che c’è di male, niente, naturalmente, non dovremmo forse tutti correre fuori di tanto in tanto e urlare a squarciagola per celebrare la vita, oppure l’esistenza è una cosa tanto ovvia e scontata? Quante volte siamo corsi in strada per celebrare la vita, questo animale stanco, questo fiore battuto dal vento, questa nota profonda?

Se dovessi spiegare cosa mi sia piaciuto di più di questo libro, sinceramente non saprei farlo. C'è la prosa di Stefánsson, fluida come il mare che fa da personaggio, oltre che da sfondo, e che in certi momenti tocca delle vette poetiche di un fascino insostenibile, in altri si fonde nel flusso di coscienza. C'è la storia struggente di Margrét, che cerca l'affetto in esplosioni di vitalità che i più non possono capire. C'è il rumore del mare e ci sono i tralicci su cui si appende il pesce ad essiccare, immagini e suoni che dipingono i luoghi lontani e quasi incontaminati dell'Europa del nord. E c'è quella dolce oscillazione fra il presente e il passato, come un pendolo che, ad ogni passaggio, riporta alla luce qualcosa di nuovo, particolari che illuminano le storie e danno un senso anche al profondo disagio che Ari sta vivendo e che ha radici profonde nella malinconia di Norðfjörður. Insomma, non so bene quale di questi elementi mi abbia affascinata di più, probabilmente un mix di tutti quanti e di altri che hanno agito a livello inconscio. Ciò che è certo è che l'ho apprezzato molto e che continuerò a seguire Ari e la sua famiglia in Grande come l'Universo

Questa è la forza che tiene i pianeti al loro posto, che fa dilatare l’universo e forma i buchi neri. La volontà dell’uomo può ben poco quando questa forza si mette in moto, si manifesta. Ci priva dell’intelletto, della razionalità, ci priva dell’integrità, del riserbo, della dignità, ma alla fine, se siamo fortunati, ci offre una gioia vertiginosa, un’estasi indescrivibile, perfino la felicità. Al suo cospetto ogni momento sembra diventare poesia, una musica sfrontata. È la risposta di Dio alla morte, quando il Signore non riuscì a salvare l’uomo dalla notte eterna e gli donò invece questa luce particolare, questo fuoco che da allora gli scalda le mani e lo incenerisce, che trasforma i tuguri in una scala per il paradiso, i palazzi in rovine desolate, l’allegria in solitudine. La chiamano amore, è l’unica parola che ci è venuta in mente.

Prima di chiudere questa recensione, voglio soffermarmi su un aspetto tematico particolarmente bello: l'idea, più volte ripetuta (come si può vedere anche dalle due citazioni precedenti) della necessità di celebrare la vita. I pesci non hanno gambe sembra essere un poema che scava nel profondo, alla ricerca non di un passato mitico di imprese gloriose, ma di piccoli gesti nell'archeologia di ciascun essere vivente che spiegano il suo legame intimo, personale e profondo con l'esistenza, il suo significato nel mondo, il bisogno intenso che porta ciascuno a ricercare la propria forma di felicità. Nel tormento di Ari, nelle domande accumulatesi nella sua vita senza una risposta, nello sguardo di Margrét perso fra le onde che trattengono lontano Oddur è simboleggiata a fragilità di ognuno di noi, le minacce che si abbattono sulla vita, «troppo breve e incerta per distogliere lo sguardo». Stefánsson sembra metterci in guardia da tutto ciò che ci distoglie dalla pace e dalla serenità, a partire dall'abitudine di dare per scontata l'esistenza, dimenticandosi di celebrarla ogni giorno, dimenticando l'importanza delle parole, della sincerità, dell'amore, di un abbraccio.
Torna in macchina, e lì lo attendono i ricordi, così ammassati sul sedile posteriore da lasciargli appena un po’di posto per sedersi. Lancia un’occhiata al tassametro, pensa, mi toccherà pagare anche per loro.
C.M.

Commenti

  1. Ho letto Grande come l'universo e l'ho amato. Non vedo l'ora di recuperare anche questo.

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    1. Allora si può leggere anche in ordine inverso senza problemi con la successione degli eventi'

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  2. All'inizio del post ho creduto che fossi stata realmente in Islanda. :-) Se tu dovessi mai deciderti, sappi che più amici mi hanno confermato che è una terra dal fascino abbacinante.
    Bellissima quella visione dell'amore e in generale tutto ciò che questa lettura può averti dato, mediante uno stile narrativo che da quello che comprendo molto viene ispirato da quelle terre, dalla forza di quella natura, solo apparentemente desolata e desolante.
    Flusso di coscienza, scrivi. Quindi uno stile vicino alla Woolf?

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    1. In effetti, più leggo Iperborea e più mi viene voglia di visitare l'Europa settentrionale, e anch'io ho sentito e letto da amici e conoscenti parole di grande fascinazione per l'Islanda!
      Quanto al flusso di coscienza, rispetto alla Woolf è decisamente più moderato, fatto più che altro di inserimenti di discorsi diretti liberi o, comunque, riflessioni sciolte molto contenute... non si perde il filo del discorso, insomma!

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  3. Che dire, le citazioni che hai riportato sono meravigliose. Spero proprio di potermici dedicare presto.

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    1. Sono solo alcune della mia selezione: è un testo veramente "poetico" nello stile e nelle immagini!

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  4. Bellissima recensione, mi hai fatto venire un'enorme voglia di leggere questo libro! Peccato che non sia ancora riuscita a trovare libri della Iperborea (ne ha tantissimi di interessanti) nelle librerie della mia zona :(

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    1. Purtroppo non tutte le librerie accolgono questi editori medi e piccoli: io ho abbandonato le catene per rifugiarmi in una libreria indipendente e lì c'è sempre una grande scelta...

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  5. Grazie per la bella recensione.
    Segno subito.
    Iperborea è una tra le tante case editrici preziose che abbiamo e, ogni volta che leggo di un loro titolo che merita, mi viene una gran voglia di acchiappare uno dei loro titoli. Adoro poi la "linea verticale" che hanno scelto come formato :)

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    1. Anche a me piace la particolarità del formato, tranne quando leggo a letto, perché fatico a tenerlo ben aperto... ma è un prezzo che sono disposta a pagare per le belle storie che ho sempre trovato in questi libri! :)

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  6. La storia di Margrét e Oddur è bellissima: li avrei resi protagonisti assoluti.

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    1. Hai ragione: è un romanzo nel romanzo, sicuramente più affascinante e avvincente della storia di Ari.

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