Eracle alle Olimpiadi

Eracle è indiscutibilmente il personaggio cruciale della mitologia greca, in quanto punto di contatto fra la dimensione umana e divina, e in qualità di figlio della mortale Alcmena e del padre degli dei, Zeus. Egli rappresenta il modello assoluto per l'uomo ellenico: è l'eroe che vince sul caos, è colui che raggiunge la gloria combattendo, è il portatore della civiltà ed è l'ideale dell'uomo atletico.

Nel mondo antico, almeno a partire dal V secolo a.C., l'associazione fra Eracle eroe ed Eracle atleta era non solo assodata, ma quasi rituale, al punto che i vincitori dei giochi olimpici venivano acclamati al grido di «τήνελλα καλλίνικε, χαῖρ᾽ ἄναξ Ἡράκλεες» («Evviva, eroe vincitore, salve Eracle, signore»). A fare di Eracle il patrono dei giochi olimpici o addirittura il fondatore della competizione atletica più importante del mondo antico e dell'era contemporanea (nonostante storicamente i giochi siano nati nel 776 a.C., mentre le vicende di Eracle si collocano nell'era mitica) è Pindaro, nelle Olimpiche, dove il tema è trattato a più riprese; in particolare vanno ricordate l'Olimpica III, nella quale si fa menzione della scelta dell'ulivo da parte di Eracle come trofeo dei giochi (vv. 9-30) e l'Olimpica X, che racchiude l'intera eziologia (vv. 1-59).
La fondazione degli agoni olimpici si colloca dopo la sesta fatica: poiché Augia, re dell'Elide, rifiuta di cedere a Eracle un decimo dei suoi armenti, come pattuito in cambio della pulizia delle sue affollatissime stalle, il figlio di Zeus muove guerra al sovrano, lo uccide assieme ai figli, devasta i suoi territori e vi istituisce le grandi competizioni. Dal v. 51 dell'Olimpica X, dedicata alla vittoria di Agesidamo nei giochi, che viene simbolicamente ricondotta al mito secondo la prassi dell'epinicio (termine che indica un componimento trionfale), si legge la conclusione della vicenda, con la consacrazione dell'area di Pisa a Zeus:
ταύτᾳ δ᾽ ἐν πρωτογόνῳ τελετᾷ
παρέσταν μὲν ἄρα Μοῖραι σχεδὸν
ὅ τ᾽ ἐξελέγχων μόνος
ἀλάθειαν ἐτήτυμον
χρόνος. τὸ δὲ σαφανὲς ἰὼν πόρσω κατέφρασεν,
ὅπα τὰν πολέμοιο δόσιν
ἀκρόθινα διελὼν ἔθυε καὶ πενταετηρίδ᾽ ὅπως ἄρα
ἔστασεν ἑορτὰν σὺν Ὀλυμπιάδι πρώτᾳ
νικαφορίαισί τε.

Presenziarono al rito inaugurale le Moire e l'unico testimone dell'autentica verità, il Tempo. Costui, scorrendo, raccontò come Eracle, divisi i doni della guerra, offrì agli dei i migliori e fondò le feste quadriennali e i primi giochi olimpici e le loro vittorie.
Eracle diventa dunque una sorta patrono degli atleti, come lo ha definito G.K. Galinsky, tanto che le stesse arti figurative iniziano a replicare le pose dell'eroe vincitore nelle rappresentazioni degli atleti, come nel caso dell'Atleta di Fano di Lisippo. In Pindaro come in Bacchilide, Eracle è anche ἀγωνιστής (persona in gara), ma l'apparizione atletica più celebre di Eracle è nel quarto episodio di Alcesti, dove l'eroe vanta una prestigiosa vittoria atletica e la conquista di un dono ancor più prezioso, apparentemente dissacrando il lutto che il suo ospite, Admeto, sta vivendo dopo il sacrificio della sposa. Questa facies atletica di Eracle, unita alla sua precedente apparizione come mangione e beone, è uno degli elementi che ha portato la critica a mettere in dubbio la natura tragica del dramma, facendone sospettare l'originaria natura satiresca, come riassunto da G. Dindorf nella sua edizione per i tipi di Oxford.


Prima di uscire di scena alla fine del quarto episodio, Eracle ha prospettato (vv. 843-854) due modalità di salvataggio di Alcesti: una ingannevole di scontro con Thanatos e una per così dire ‘diplomatica’, finalizzata alla persuasione di Persefone a lasciare libera la donna. Al suo ritorno al palazzo, però, egli porta con sé Alcesti, velata e irriconoscibile, descrivendola come il premio per vittoria atletica (vv. 1025-1032):
πολλῷ δὲ μόχθῳ χεῖρας ἦλθεν εἰς ἐμάς:
ἀγῶνα γὰρ πάνδημον εὑρίσκω τινὰς
τιθέντας, ἀθληταῖσιν ἄξιον πόνον,
ὅθεν κομίζω τήνδε νικητήρια
λαβών. τὰ μὲν γὰρ κοῦφα τοῖς νικῶσιν ἦν
ἵππους ἄγεσθαι, τοῖσι δ᾽ αὖ τὰ μείζονα
νικῶσι, πυγμὴν καὶ πάλην, βουφόρβια:
γυνὴ δ᾽ ἐπ᾽ αὐτοῖς εἵπετ᾽:

Con molta fatica è arrivata nelle mie mani.
Mi sono imbattuto in una gara pubblica,
un’impresa degna di un atleta,
da cui riporto questo premio ottenuto per la vittoria;
Erano messi in palio dei cavalli per i vincitori
delle gare leggere, dei buoi per i vincitori
delle gare maggiori, pugilato e lotta;
a questi toccava anche una donna.
Il motivo per cui Eracle non parla apertamente dello scontro con Thanatos è evidente: Admeto ancora non deve sapere chi è la misteriosa donna velata che Eracle accompagna davanti a lui, raccomandandogli di prendersene cura. Viene dunque descritta una immaginaria competizione sportiva, che ben si addice al personaggio di Eracle, di cui D. Susanetti ricorda i successi nella lotta, in particolare nel pancrazio.


Il gioco, però, è decisamente più raffinato e porta a coniugare armonicamente e ironicamente (giacché Eracle si prende un po'gioco dell'ospite che ha pensato di celargli la triste sorte di Alcesti) le due nature del figlio di Zeus, quella atletica e quella eroica, in una trama di rimandi che ai Greci, esperti sia di imprese mitiche che di attività sportive, non potevano sfuggire. Già la denominazione della competizione atletica, in greco ἆθλος (àthlos) è anche l’espressione che per eccellenza designa le fatiche di Eracle.
Viene inoltre proposta la distinzione fra gare leggere, che negli agoni prevedevano il ricorso all'agilità (corsa nello stadio, corsa doppia e corsa di fondo), e pesanti, in cui conseguiva la vittoria il più forte (il pancrazio, la lotta, il pugilato). La donna - ancora velata - che Eracle presenta come un trofeo, è il premio di una gara pesante, come uno scontro con Thanatos, in effetti, doveva essere anche per il figlio di Zeus.L’atletismo è presente, più che nella tragedia, nel dramma satiresco, dove costituisce uno dei temi più frequenti, sia come oggetto d’elogio sia come pratica denigrata; quest’ultimo orientamento sembra prevalere nella produzione euripidea, se nell’Autolico (di cui abbiamo solo frammenti) l’atleta è considerato un individuo ingiustamente acclamato, incapace di procurare un bene effettivo alla comunità e quindi contrapposto al cittadino onesto e impegnato civilmente o militarmente. È tuttavia palese che tale atteggiamento non coinvolge la considerazione dell’impresa di Eracle in Alcesti.
Il legame dello sport con il dramma satiresco è da ricondurre a due fattori principali: la grande importanza che l'atletica riveste nel mondo aristocratico greco e l’abitudine di organizzare le gare nel periodo delle feste dionisiache delle Antesterie, durante le quali, secondo R. Seaford, «non è impossibile alcune competizioni atletiche venissero svolte in costumi satireschi».
Se è vero che nella maggior parte dei drammi satireschi sono i satiri a ad esaltare le proprie avventure sportive (ad esempio negli Isthimastai di Eschilo e nei Palaistai di Pratina) vi sono testi in cui a rendersi protagonisti di imprese atletiche sono singoli individui, come nei drammi Kerkione di Eschilo e Amykos di Sofocle, in cui i personaggi che danno il nome ai drammi sfidano i passanti nella lotta fino ad essere sconfitti rispettivamente da Teseo e Polluce.
In questa rassegna satiresca, tuttavia, Eracle ricopre un ruolo privilegiato, in quanto mette le sue doti atletiche al servizio di imprese utili per l’umanità. Ecco quindi che nell’Anteo Frinico lo raffigura mentre si scontra col gigante, e la lotta, come fa notare Paganelli, «non è fine a se stessa: risulta addirittura liberatoria, cioè socialmente efficace». È forse Eracle l’elemento che permette ad Euripide di riconoscere un’azione civilmente utile alla competizione atletica, inserendo in Alcesti i vv. 1025-1032: per essere lodevole, l’azione sportiva deve essere produttiva da un punto di vista sociale, nel porsi come lotta contro una figura mostruosa che esercita una tirannia su un essere umano, sia essa Anteo o Thanatos.
Se Eracle atleta inneggia alla goliardia del dramma satiresco, appare invece più grottesco il ruolo di ἀγωνιστής che ricopre nel pieno del delirio che lo porterà ad uccidere la moglie Megara e i figli nell'Eracle di Euripide. Mentre percorre le sale del suo palazzo crede di essere arrivato a Corinto e di essere nel pieno di una lotta dei giochi locali: l'eroe si spoglia e si mette a combattere con un avversario invisibile, offrendo uno spettacolo degradante che, pur lasciando lo spettatore in bilico fra ridicolo, pietà e orrore, non smorza ma acuisce la tragedia (vv. 957-962). Del resto, atletico è anche il gesto che Eracle compie nelle Trachinie sofoclee, quando, divorato dal veleno sparso sulle sue vesti, scaglia contro le rocce il suo servo Lica.
Quella di Eracle è dunque una figura dai marcati connotati atletici, che, da sola, basta a conferire eroismo a coloro che gareggiano nei giochi più importanti del mondo antitco (le Olimpiadi e i Giochi istmici citati in questi contesti erano i più importati per la civiltà ellenica). Allo stesso tempo, però, Eracle e i satiri atleti offrono il fianco anche ad una lettura ironica, demitizzante, della prestazione agonistica, a simboleggiare le due nature dello sport: da un lato intrattenimento, dall'altro grande impresa degna di memoria.
Guardando però anche alla vena di malinconia che si inserisce nell'immaginaria gara di Eracle, con quella scelta drammaturgica che non poteva che gettare in un profondo sconforto il pubblico abituato ai trionfi del figlio di Zeus, ci ricorda forse anche il grande incubo dell'eroe come dello sportivo: quello di essere, prima o poi, sconfitto da un avversario più potente, sia esso una persona che si confronta alla pari o una forza incontrastabile come la sfortuna, la follia, la malattia, un incidente. Ecco, allora, che Eracle cessa di essere il semidio e diventa uno specchio per l'essere umano, la medaglia che su una faccia porta la gloria e sull'altra la paura.


C.M.

NOTE: La parte di questo articolo relativa all'Eracle dell'Alcesti è tratta da una sezione della mia tesi di laurea triennale, intitolata Profilo di un quarto dramma. L'Alcesti di Euripide fra sperimentalismo e definizione di genere nella bibliografia critica recente.

Commenti

  1. Davvero un bel post, Cristina, approfondito e interessante. Anche Platone, non ricordo adesso in quale dei suoi Dialoghi, fa una distinzione tra due tipi di Olimpiade, quella di intrattenimento della folla degli stadi e quella "veramente olimpica" della conoscenza di sé.

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    1. Nella Repubblica, in effetti, Platone tratta anche alcune questioni relative all'esercizio fisico, forse parla delle Olimpiadi in quel contesto (ma sulle attività ginniche torna in vari momenti, sempre mettendole in relazione al bene comune e al ruolo del cittadino). Pare, tra l'altro, che sia lui che Euripide abbiano gareggiato nella lotta e nel pugilato a Delfi, Corinto ed Eleusi.
      Grazie di essere passato, sono contenta che abbia apprezzato il post!

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  2. Brava. Molto interessante e non superficiale.

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    1. Ti ringrazio. L'approfondimento è stato possibile proprio perché mi sono concentrata sul tema per ragioni di studio: sono contenta che anche un lavoro di carattere accademico, necessariamente compresso per la comunicazione nel web, possa essere apprezzato.

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