Lions - Bonnie Nadzam

Della narrativa americana contemporanea e dei film ambientati negli Stati Uniti apprezzo soprattutto le apparizioni di località sperdute, cittadine in cui il tempo sembra essersi fermato e che vivono attorno ad una biblioteca, ad una tavola calda, ad una piccola scuola o lungo strade percorse da pick-up. Quei racconti in cui la tecnologia quasi non esiste e nei quali la polvere delle vie sterrate si sedimenta su tetti di lamiera e carrozzerie arrugginite. Quelle storie i cui protagonisti sembrano evanescenti apparizioni incapaci di collocarsi altrove, tanto sono radicati a questi scenari surreali.

Ecco perché Lions, romanzo di Bonnie Nadzam recentemente pubblicato dalla neonata casa editrice Black Coffee, mi ha attratta immediatamente con la promessa di queste atmosfere, con il suo intreccio di realismo e ghost-story, con la proposta di un'ambientazione che è un luogo interiore, prima che uno scenario fisico.
Rimanere a Lions? Impensabile. Non solo era quasi disabitata, ma anche maledetta, un luogo pervaso di luce accecante e mulinelli di polvere. Non c’era niente, tranne il vento e un sole bianco. Era come non essere da nessuna parte, persi nel nulla. Sotto i piedi il vuoto. A Lions non c’era futuro. Non importava quanti aneddoti ti avessero raccontato sugli anni passati, quanti piani avessi in serbo per il domani: eri prigioniero di un eterno presente.
Lions è proprio una di quelle cittadine americane che, tagliate fuori dal tracciato delle nuove strade veloci, si spopola settimana dopo settimana. Gli abitanti in carne ed ossa lasciano sempre più spazio alle presenze favoleggiate nei locali o che albergano nello zuccherificio abbandonato. Fra coloro che sperano di lasciare la soffocante vita di Lions c'è Leigh, una diciassettenne che non vede l'ora di partire per il college assieme al fidanzato Gordon, che, però, sembra sempre meno convinto di voler davvero abbandonare il luogo in cui entrambi sono cresciuti. Mentre Leigh ha fame del mondo e possiede una sicurezza che la spinge a cercare tutto ciò che Lions non è e non offre, per Gordon l'officina lasciatagli in eredità dal padre, morto dopo l'arrivo di un misterioso uomo con un lungo cappotto e un cane al seguito, è il centro di un mondo, il luogo in cui sente di potersi realizzare e nel quale trova un senso. Un senso che, tuttavia, non sa razionalmente spiegare e che ci suggerisce che Lions altro non è che un sinonimo di destino, un'inspiegabile forza magnetica che organizza l'esistenza di tutti coloro che si identificano nei suoi edifici, nei suoi campi insteriliti, nel diner di May Ransom e nel negozio di cianfrusaglie di Marybeth Sharpe. Gordon Walker, come suo padre John, è così legato a Lions che, mentre lavora nell'officina, sembra che non stia solo saldando pezzi di metallo, ma la sua stessa esistenza a quel luogo sperduto e alle storie di fantasmi che vi albergano, come quella di Boggs, che, secondo le leggende locali, è il motivo per cui John si recava tanto spesso sulle montagne.
Il mondo di Lions, un microcosmo esistenziale, mi ha ricordato la Winesburg di Sherwood Anderson (fra l'altro anche l'autrice è originaria dell'Ohio), un piccolo luogo pieno di esistenze in cui il tempo è scandito da una convivenza fra presente e passato, intersecato a contrastanti slanci verso il futuro, ora carico di speranze, ora minaccioso. Se Leigh rappresenta infatti il naturale bisogno di inseguire le proprie aspirazioni e non di rado agisce animata da quell'egoismo e da quell'invidia che sono per lei l'unica garanzia di potersi liberare delle scomode limitazioni imposte da Lions e dalla sua comunità, le diverse scelte fatte da Gordon trasudano una ricerca di sicurezze che, sebbene sembrino tener ancorati all'infelicità, tuttavia rappresentano «un ramo offerto a uno che sta annegando» e, quindi, costituiscono un appiglio sicuro certo contro le paure. Bonnie Nadzam ci ricorda che nessuno di questi due orientamenti è tuttavia privo di rimpianti: tutto quanto decidiamo di abbracciare o di lasciarci alle spalle ci presenterà un giorno un conto pesante, nel quale le scelte che non abbiamo fatto appaiono ben più rigogliose di quanto non sembrassero in precedenza.
Lions si è confermato quel forte romanzo che avevo vagheggiato fin dall'annuncio della sua pubblicazione. La narrazione è articolata, complessa, fatta di dialoghi, discorsi indiretti liberi e ampie riflessioni, oltre che di vivide descrizioni che fanno sentire il lettore nel luogo in cui si svolgono le vicende. Non è una lettura leggera, perché le storie della Lions passata si intrecciano a quelle del presente e la ricchezza dei significati che questa costruzione assume risulta molto impegnativa, ma la bella prosa della Nadzam, nella traduzione di Leonardo Taiuti, rende il cammino fra le esistenze dei cittadini di questa città fantasma un'esperienza imperdibile.
Dunque la vita era dolce da un lato e amara dall’altro. L’avrebbe abbracciata nella sua totalità, senza condizioni né riserve, e senza desiderare che fosse diversa. Non perché fosse un uomo virtuoso o buono, ma perché era stanco, a mani vuote e non aveva la forza di fare altrimenti. Il mondo pulsava intorno a lui e in esso non c’erano poi troppe cose che, a suo parere, valesse la pena di inseguire.
C.M.

Commenti