Addio alle armi - Ernest Hemingway

Fra i primi libri scritti da Ernest Hemingway figura Addio alle armi (A Farewell to Arms), pubblicato nel 1929 ma sconosciuto agli Italiani fino alla caduta del Fascismo, che ne proibì la diffusione e arrivò ad arrestare Fernanda Pivano per la semplice esistenza di un contratto di traduzione depositato presso Einaudi. 

Il romanzo, infatti, è incentrato su avvenimenti decisamente scomodi per l'ideologia guerresca e nazionalista promossa dal regime e racconta la difficile situazione sul fronte carsico fra azioni poco onorevoli come sparatorie fra membri dello stesso schieramento generate dal panico e dalla superficialità, atti di diserzione, ritirate disastrose (come quella tristemente famosa di Caporetto) e fucilazioni dei soldati disertori ormai prostrati da anni passati in trincea e del tutto alienati alla causa del conflitto. In questo senso, Addio alle armi si colloca nella linea di documentazione e denuncia di cui fanno parte anche Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque (anch'esso proibito per le medesime ragioni in Germania), Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu (non a caso pubblicato dopo il secondo conflitto mondiale e uscito dapprima in Francia) e Uomini in guerra di Andreas Latsko.
Anche nel caso di Hemingway alla base della narrazione c'è un fondamento autobiografico. Lo scrittore americano partecipò al primo conflitto mondiale come volontario, arruolandosi come autista di autoambulanze; venne inviato sul fronte italiano e rimase ferito a Fossalta di Piave. A seguito dell'intervento eseguito a Milano, rientrò nelle fila dell'esercito, ma, da valente cronista quale era, decise di trarre un romanzo dall'esperienza di guerra, nella quale infuse non soltanto le peripezie legate alle battaglie e ai soccorsi ma anche frammenti di una storia d'amore vissuta con l'infermiera Agnes von Kurowski (nella quale, però, andarono a fondersi i tratti della prima e della seconda moglie, Hadley Richardson e Pauline Pfeiffer).
Il protagonista di Addio alle armi è Frederic Henry, un tenente americano arruolato nelle forze di soccorso sul fronte italo-austriaco. Nel corso dei combattimenti rimane ferito ad un ginocchio e viene quindi mandato a Milano per le cure, l'intervento e la riabilitazione. Qui egli vive un'intensa storia d'amore con l'infermiera britannica Catherine Barkley, già conosciuta al fronte, ma ben presto deve lasciarla per ricongiungersi alle truppe in Friuli. Di fronte all'orrore della ritirata e alle dure reazioni dello stato maggiore che punisce i disertori a suon di fucilazioni, Frederic decide di strapparsi medaglie e mostrine e di abbandonare la guerra, desideroso di rimanere al fianco di Catherine e del bambino che nascerà dalla loro unione. Matura dunque la decisione dell'addio alle armi, che comporta per Frederic enormi rischi e lo costringe a rifugiarsi dapprima sul Lago Maggiore e poi, ricongiuntosi con Catherine, a tentare la via della libertà raggiungendo la sponda Svizzera.
Quella di Addio alle armi è una storia intensa e amara, raccontata attraverso lo stile essenziale che ha reso Hemingway un punto di riferimento nella narrativa contemporanea non solo americana ma mondiale, come testimonia l'esperienza letteraria di Pavese (che fu il diretto responsabile dell'amore di Fernanda Pivano per Hemingway e, in generale, per la letteratura d'oltreoceano). Addio alle armi è il testo ideale per comprendere la condizione di quel gruppo di intellettuali che vengono annoverati sotto l'etichetta di Lost generation (usata proprio da Hemingway nel romanzo Fiesta, dove è attribuito a Gertrude Stein, ospite di un fortunato cenacolo culturale parigino), caratterizzato da una sfiducia e da un anti-idealismo derivanti dalla drammatica esperienza della guerra, dalla crisi economica e dalla fine dei sogni alimentati dalla Belle Époque. Da questo disorientamento esistenziale scaturisce una narrativa scarna, asciutta, che quasi è sintomo di un'impossibilità di raccontare, di dare all'essere umano una ragione della sua presenza in un contesto che distrugge l'eroismo così come l'appagamento sentimentale, caratteristiche che portano Calvino ad affermare che «Hemingway ha capito qualcosa di come si sta al mondo con occhi aperti e asciutti, senza illusioni né misticismo, come si sta soli senza angosce e come si sta in compagnia meglio che soli: e, soprattutto, ha elaborato uno stile che esprime compiutamente la sua concezione della vita, e che se talvolta ne accentua limiti e i vizi, può nelle sue riuscite migliori essere considerato il linguaggio più secco e immediato, il più privo di sbavature e timidezze, il più limpidamente realistico della prosa moderna» (Perché leggere i classici, Hemingway e noi).
Addio alle armi mi ha permesso di riconciliarmi con Hemingway, che, alla lettura, ormai tanti anni fa, di Per chi suona la campana, mi era risultato molto pesante e difficile da seguire. A dir la verità, mentre leggevo la prima parte del romanzo questa sensazione si è momentaneamente riaffacciata, ma dal momento del ferimento di Frederic e dall'inclusione organica di Catherine nella storia la lettura si è fatta più agevole e, proprio per la mancanza di orpelli, scorrevole e rapida nell'approdo alle ultime pagine, che sono decisamente le più coinvolgenti. Dopo questa lettura, Hemingway e il suo ruolo nella letteratura occidentale mi sono più familiari e credo di essere pronta a riprendere anche Per chi suona la campana, oltre che a leggere gli altri romanzi.

Gary Cooper e Helen Hayes nel film del 1932 diretto da Frank Borzage
(nel 1957 è stato realizzato il più celebre remake di Charles Vidor)
Ma noi non eravamo mai soli e non avevamo mai paura quando eravamo insieme. So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è cominciata. Ma con Catherine non c’era quasi differenza nella notte tranne che era meglio. Se la gente porta tanto coraggio in questo mondo, il mondo deve ucciderla per spezzarla, così naturalmente la uccide. Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi.
C.M.

Commenti

  1. Sono contenta che ti sia piaciuto il romanzo! Anche per me "Addio alle Armi" ha segnato una riconciliazione con Hemingway e da allora, quando posso, ricerco i suoi testi e ho cominciato ad amare il suo personaggio con i suoi malumori, gesti folli e soprattutto l'amore per la vita. Riguardo alla traduzione, devo dire che è giunta l'ora di rinnovare i suoi testi, visto che dopo il 1950, la Pivano ha compiuto numerosi errori, arrivando ad alterare anche frasi intere. Le mancava l'aiuto di Pavese.

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    1. So poco o nulla di Fernanda Pivano, ma ho sentito spesso sollevare questa critica nei confronti delle sue traduzioni e, quindi, immagino ci sia del vero. Le traduzioni autorevoli vanno certamente discusse e superate, tuttavia la sua insostituibile esperienza di diretta conoscente di Hemingway e testimone della storia editoriale italiana è qualcosa cui è difficile rinunciare a cuor leggero.

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  2. Bella recensione. Tendo a procrastinare il momento della lettura per il fatto che poi, una volta letto, non avrò più quel particolare piacere di doverlo ancora iniziare... Insomma, penso che ci siamo capite ;-)

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    1. Eccome! Con certi libri si instaura un rapporto sacrale, si sa di essere ad un passo dal godere di una pagina di storia letteraria e che quella vigilia, una volta iniziata la lettura, non si potrà più ripetere. :)

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