Festivaletteratura 2017: a caccia degli autori internazionali

Quest'anno il mio Festivaletteratura è stato azzoppato da una novità, cioè il fatto di essere per la prima volta impegnata nelle attività scolastiche fin dal primo giorno di settembre (anziché dall'inizio delle lezioni) perché durante l'estate sono entrata in ruolo. Ho quindi dovuto escludere dai miei piani mantovani gli eventi della mattinata e del primo pomeriggio, ma ho trovato comunque degli incontri di mio interesse, che hanno reso speciale anche quest'altra edizione.

Piazza Sordello, il cuore di Festivaletteratura

La ritualità del Festivaletteratura inizia nel cuore dell'estate, con la proclamazione degli ospiti prima e l'uscita del programma poi. Aggiungo che, nelle ultime edizioni, alla curiosità di sapere chi avrebbe partecipato agli incontri letterari si è sommata quella per la grafica del programma, che quest'anno, nella ventunesima edizione, celebra alcuni illustri personaggi mantovani: nella cornice dei palchetti del Teatro Scientifico Bibiena Andrea Antinori ha inserito il poeta Virgilio, il filosofo Pietro Pomponazzi, il letterato Baldassar Castiglione e il cartografo Gabriele Bertazzolo, creando un'immagine così accattivante che ho ceduto anch'io al fascino della shopper di tela.
Ma veniamo a noi. Ho partecipato al festival nel pomeriggio di venerdì 8 e nella serata di sabato 9 settembre. Dei numerosi eventi puntati, ho dovuto selezionarne una manciata e, come al solito, fare in modo di prenotare alle 9.00 del giorno di apertura delle prenotazioni per i non soci, ché alle 9.05 già si rischia di trovare tutti i biglietti polverizzati. A tal proposito, sono rimasta sgomenta di fronte all'immediato esaurimento dell'evento con Elizabeth Strout, ma, se non altro, sono riuscita subito a prenotare gli incontri con George Saunders e Jan Brokken. Ecco, il sistema di accaparramento dei biglietti rimane una pecca del Festivaletteratura: oltre ad avere un costo non indifferente (dai 6 ai 15 euro a seconda degli eventi), che obbliga a fare un'accurata selezione in aggiunta a quella già operata dalle fisiologiche sovrapposizioni, la corsa genera un'ansia non indifferente, ma, soprattutto, l'obbligo di ritirare i biglietti prenotati entro due ore dall'inizio dell'evento rende non proprio agevole la serena partecipazione; sia lo scorso anno che in questa edizione ho dovuto recarmi appositamente a Mantova il giorno precedente per l'impossibilità di essere in loco con un tale anticipo il giorno stesso (poter acquistare l'ingresso al momento stesso della prenotazione non sarebbe male).
Passata l'ansia del ticketing, comunque, il Festivaletteratura è andato alla grande. Non ho potuto partecipare all'evento Stasera ti racconto le bambine ribelli con Francesca Cavallo, Elena Favilli e Federico Taddia di mercoledì pomeriggio, sebbene la raccolta di biografie Storie della buonanotte per bambine ribelli mi incuriosisca parecchio e ci tenessi a sapere di più sulla sua nascita e sulla selezione di pezzi (ma anche a farmene autografare una copia); ho dovuto poi farmi una ragione della rinuncia all'incontro La gente mi moriva attorno con Pietro Grasso e Giovanni Bianconi, che sarebbe stata l'occasione di dare un'impronta storico-sociale molto forte alla mia esperienza al festival, ma che cadeva nella mattinata di venerdì.
Ma insomma, vi chiederete, ormai spazientiti da questi miei rimorsi letterari, a quali eventi ho partecipato alla fine? Ebbene, ho operato una selezione a beneficio di ospiti internazionali che chissà mai quando mi sarebbe ricapitato di incontrare.

George Saunders

Gorge Saunders, innanzitutto. L'autore ha appena pubblicato con Feltrinelli il suo primo romanzo, Lincoln nel Bardo, e questa sua svolta narrativa mi ha convinto a conoscerlo meglio, perché non osavo buttarmi alla cieca nel mondo dei ruoi racconti. Inoltre l'evento di venerdì pomeriggio prevedeva la partecipazione di Marco Malvaldi nelle vesti di intervistatore e non potevo perdermi l'occasione di veder dialogare due scrittori con uno spiccato senso dell'ironia; se anche avessi avuto dei dubbi sulla scelta dell'evento, sarebbe bastato a convincermi il titolo: Scrivere è far parlare i fantasmi. Nel corso dell'oretta trascorsa nel cortile di Palazzo San Sebastiano, Saunders ha parlato della sua scelta di dedicarsi ad una storia di ampio respiro, della necessità di mediare i dati storici e le riflessioni sulla vita e sulla morte con qualche sano accento di ironia, con la conseguente creazione di due piani stilistici che si sovrappongono a due piani contenutistici, corripondenti alla storia di Lincoln e del lutto per la perdita del figlio e ai dialoghi delle anime confinate nel Bardo, un intermundia in cui gli spiriti devono prendere coscienza del loro nuovo stato. L'autore ha anche parlato dei suoi scrittori preferiti e dei libri che non gli piacciono, dell'uso delle fonti nella costruzione del suo Lincoln e del ricevimento che offre proprio nella notte della morte di suo figlio, della costante attenzione al lettore e al bisogno di non farlo annoiare, di porsi continuamente le domande giuste per rispondere al suo interlocutore come se lo avesse di fronte. E non ha fatto mancare un sorriso, una parola e una stretta di mano a tutti coloro che lo hanno raggiunto per farsi autografare il libro.

Jan Brokken
Subito dopo mi sono precipitata a Palazzo d'Arco per ascoltare Jan Brokken che dialogava con Bruno Gambarotta sull'argomento Il filo rosso degli uomini illustri, in relazione all'uscita del nuovo romanzo Bagliori a San Pietroburgo ma anche ai precedenti libri dell'autore olandese, in particolare il meraviglioso Anime baltiche, forse citato anche più di quello che doveva essere l'oggetto della presentazione. Se ero rimasta estasiata dalla capacità di Jan Brokken di raccontare la storia e la cultura dell'Europa settentrionale, poter sentire direttamente la sua voce e cogliere il trasporto delle sue parole (perfettamente fruibile anche grazie alla traduttrice) ha fatto nascere in me una sconfinata ammirazione per la cultura, la curiosità e la capacità di comunicare di questo scrittore, che si è dimostrato capace di passare dal racconto degli artisti perseguitati da Stalin e dei reduci dell'Olocausto alle sue esperienze di conoscitore del mondo e ai ricordi della giovinezza e dell'apprendistato da pianista con una naturalezza commovente. Si capisce che Jan Brokken non scrive per vendere libri, ma per un innato desiderio di raccontare e di raccontarsi, così forte da mettere sulla sua strada personaggi e luoghi ricchi di storie, come se essi avessero bisogno di farsi narrare e scegliessero la sua penna e la sua voce. Brokken ha raccontato (o ri-raccontato, perché già nei suoi libri ne parla) aneddoti sugli incontri con la comunità yiddish di Vilnius, sul suo particolare approccio a Dostoevskij, che lo ha portato a seguire i passi di Raskol'nikov nelle strade di San Pietriburgo, sulla sua passione per la musica.
Il terzo evento che non avrei voluto perdermi era quello, già nominato, con Elizabeth Strout, alla presenza di Lella Costa come intervistatrice e, anzi, conduttrice dell'evento. L'amica ritrovata, però, ha registrato il tutto esaurito appena aperte le prenotazioni, cosicché ho potuto soltanto tentare l'impresa di entrare approfittando di eventuali rinunciatari o dei posti in piedi venduti in loco. Dovevo provare a entrare in Piazza Castello, in caso contrario avevo già individuato l'intervento di Nicola Gardini Che me ne faccio del latino? in Tenda Sordello, che sarebbe stato comunque utile per riflettere sull'annosa questione che viene posta molti studenti (compresi quelli che il latino se lo sono scelto) e dai media.

Elizabeth Strout
Ma ce l'ho fatta: dopo una lunga attesa, ho guadagnato il mio posticino e mi sono goduta un'ora di dialogo frizzante, divertente eppure molto profondo fra Lella Costa ed Elizabeth Strout, nel quale non sono mancati dei piccoli reading nel quale è emerso il reale traspoto di Lella Costa, che Elizabeth Strout ha definito addirittura la sua lettrice ideale. L'incontro, dedicato principalmente alla presentazione del nuovo romanzo Tutto è possibile, ha naturalmente coinvolto tutti i romanzi della Strout (soprattutto il precedente Mi chiamo Lucy Barton e l'accalamato Olive Kitteridge), alla ricerca delle particolarità della sua tecnica narrativa, dell'intreccio delle storie, dei temi cruciali. Elizabeth Strout ha raccontato le apparizioni dei suoi personaggi, una scrittura che vuole essere la pura registrazione di storie che le vengono offerte e che lei non intende intaccare con giudizi morali o indicazioni etiche; questo bisogno di mettere nero su bianco delle esperienze nasce dalla curiosa insistenza della madre affinché, da bambina, scrivesse tutto quanto le capitava: ciò ha permesso all'autrice di maturare la sua peculiare attenzione ai particolari, alle sfumature, ai sentimenti, a personaggi diversissimi che vengono trattati come conoscenti reali. Si è discusso molto anche del carattere preattemente femminile di certe scelte (l'attenzione al rapporto madre-figlia, l'uso del pettegolezzo come espediente narratologico ma anche come veicolo per la comunicazione), ma anche della capacità della Strout di esplorare la condizione del dolore e dar voce alla dignità delle persone che sopportano la sofferenza. Si è parlato di storie amare, intrise di rimpianti e di rimorsi, di rabbia, di esperienze difficili, eppure il sorriso di queste due donne, l'ironia, le battute e le emozioni hanno reso il colloquio indimenticabile.
Sarei tornata anche ieri per ascoltare Nicola Gardini parlare di Ovidio all'Archivio di Stato (Per tutti i secoli vivrò, per la mia fama) o, in alternativa, per l'incontro in Piazza Alberti con Fabrizio Illuminati sul confronto fra la fisica classica e quella quantistica, un argomento che mi ha stuzzicato durante gli Esami di Stato.
Finisco sempre per parlare di scuola, ma è inevitabile, perché Festivaletteratura è cultura e non solo cultura letteraria: lascia spazio alla storia, alle scienze, alle tradizioni, a questioni di legalità, tutti aspetti che per un insegnante dovrebbero essere estremamente stimolanti. Per questo motivo mi dispiace che Festivaletteratura si tenga proprio in settembre: certo, è un bel modo per chiudere l'estate, ma il periodo è certamente poco pratico per noi docenti che, comunque, appena possiamo corriamo ad affollare Mantova.

C.M.

Commenti

  1. sono anni che vorrei andare al Festival della letteratura di Mantova, ed anche quest'anno già so che non ci andrò...
    dannatissima me

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    1. Il bello di Festivaletteratura è che si tiene ogni anno, quindi prima o poi troverai l'occasione di gustarlo!

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