Alla sacra montagna di Nikkō - Pierre Loti

Oggi vi devo confessare di avere una smisurata fascinazione nei confronti del Giappone, dei suoi paesaggi e della sua cultura... una passione che condivido con moltissime persone: magari anche voi avete deciso di leggere questo articolo per lo stesso motivo. L'arcipelago nipponico, che ha conquistato molti di noi fin dall'avvento dei manga e degli anime, per poi imporsi attraverso il cinema, la fotografia e la letteratura, è un'attrattiva sempre più forte, come dimostra il suo successo fra i turisti.

Da qualche anno, dunque, sono preda di un incantesimo che non avrebbe potuto far passare inosservata la nuova pubblicazione della collana Bambù di Lindau, Alla sacra montagna di Nikkō, un estratto del carnet de vojage di Pierre Loti (al secolo Julien Viaud, 1850-1923) dedicato alla descrizione del suo viaggio nella necropoli degli shōgun Tokugawa, un meraviglioso complesso architettonico immerso nelle foreste di cedri che l'Unesco ha dichiarato Patrimonio dell'Umanità nel 1999.
È sotto il manto di una fitta foresta, lungo le pendici della Sacra Montagna di Nikkō, tra cascate che producono il loro eterno rumore all’ombra dei cedri, che una serie di templi incantati, di bronzo e legno laccato e dai tetti d’oro, sembra apparsa come per magia tra le felci e il muschio, nella verde umidità, sotto la volta di fronde ombrose, nel cuore della natura selvaggia.
Nikkō appare così, come un fiabesco reame in cui le forme dei santuari, i torō e le sculture si fondono con la natura circostante e appaiono come fantasmi dalle nebbie mattutine. Pierre Loti racconta prima, brevemente, il suo viaggio in treno da Yokohama a Utsonomiya, poi lo spostamento, possibile solo su un carretto trainato da agili potatori, attraverso i sentieri di pietra che si snodano fra i boschi e portano nel cuore del complesso sacro di epoca Edo, che comprende anche il mausoleo Ieyasu Tokugawa, fondatore dello shogunato, morto nel 1617. Il cuore del libro è certamente costituito dalla descrizione del grandioso jinja, ma ciò che più colpisce sono le sensazioni suscitate dal viaggio stesso. Infatti, mentre si inoltra nelle foreste che separano la città dall'altipiano di Nikkō, l'autore si sofferma sulle impressioni che scaturiscono dall'incontro dei villaggi e dei loro abitanti, dalla scomparsa delle strade in sentieri fangosi e pieni di buche, dagli stupefacenti giochi della luce del sole che tramonta e conferisce ai luoghi visitati un'aura magica.  
«Di villaggio in villaggio, sembra che il carattere dell'antico Giappone si accentui sempre di più» scrive Pierre Loti mentre sobbalza sul carro. E il suo entusiasmo, la sua curiosità, il suo impeto sono tanto forti che non concede ai portatori nemmeno una notte di riposo. Abituato alle maniere dei Giapponesi di città, Loti appare immediatamente stupito dal fare cerimonioso degli abitanti del villaggio di Nikkō, dai loro inchini, dalla solerzia delle cameriere e dagli sguardi delle musmè, dal candore di stuoie e camere, dal profluvio di tazzine e piattini in cui è servita la cena. Egli, insomma, vive l'incanto della scoperta delle tradizioni autentiche della terra nipponica, esattamente come accade ogni giorno ai viaggiatori che si lasciano catturare dal fascino del Sol Levante.
Dopo aver esibito lo speciale permesso ottenuto in ambasciata dal Mikado, Pierre Loti narra l'attraversamento di un ponte attiguo al ponte sacro in lacca rossa, con la musica eterna delle cascate in sottofondo: leggendo le sue memorie, sembra di entrare nelle immagini di Hiroshige.
La natura ingloba il complesso architettonico, ogni edificio è descritto con dovizia di particolari, con attenzione alle facciate, ai colonnati, ai rilievi con motivi zoomorfi o vegetali, agli elementi laccati in oro, alle sembianze delle divinità, all'intreccio dei rami degli alberi del giardino più singolare del mondo. E non mancano le descrizioni dei rituali dei bonzi e delle sacerdotesse, intenti a salmodiare in modo malinconico, sospirando ad ogni inchino scandito dal tamburo. 
Immerso in questo complesso templare, l'autore si sente nel cuore stesso del Giappone, «nel suo cuore vivo, nel pieno del suo agire artistico, rituale e religioso». Uno spettacolo di fronte al quale si potrebbe rimanere per giorni e giorni, che fa nascere nel lettore il desiderio di mettersi in viaggio a sua volta per provare quelle stesse emozioni, per saziarsi di tanta bellezza.
Alla sacra montagna di Nikkō è un piccolo gioiello narrativo oltre che uno scrigno di descrizioni mozzafiato, che rendono in maniera incisiva e struggente le impressioni dello scrittore e di ogni persona che, spinta dal desiderio di scoprire nuove culture ed esplorare luoghi sconosciuti e avvolti nel mistero della leggenda, si lascia guidare dal proprio entusiasmo e assapora ogni istante del suo percorso. Il diario di Loti ha reso ancor più forte la curiosità di visitare il Giappone, di viverne le tradizioni, di lasciarsi conquistare da una cultura completamente diversa, che, inevitabilmente, si finisce per paragonare alla propria, come fa l'autore, per individuare quei punti di riferimento che permettono di cucire il noto e il non noto e di essere a proprio agio anche nel respirare una cultura diversissima.
Anche se non visiterò Nikkō, è proprio questo che mi aspetto dal Giappone, ciò che spero di trovarvi l'estate prossima, quando volerò proprio in quella terra per il mio viaggio di nozze. Ecco svelato il segreto che mi rende ancor più caro l'arcipelago nipponico, del quale spero di scrivervi, in futuro, oltre che da lettrice di altrui memorie, da diretta testimone della sua grandezza.

La convivenza di muschi, felci, capelveneri e licheni, un po’alla rinfusa, ma con grazia, insieme alla lacca e all’oro, a delicati ricami di rame e bronzo appena intaccati dal tempo, è qualcosa che non si vede da nessun’altra parte. La comunione completa con la natura incontaminata è ciò che conferisce a questi edifici il loro aspetto magico, incantato.
C.M.

Commenti

  1. Finalmente, una passione in comune!
    La mia è stata travagliata. Per tanti motivi, ho amato subito, da ragazzina, la Cina. Ho letto i grandi classici cinesi. E ne sono stata ancòra più affascinata. Da quelle letture, più che dalla storia ufficiale, si evincevano l'odio sotterraneo e il disprezzo per il Giappone. Diciamo che il Giappone stava alla Cina come gli Stati Uniti stanno all'Europa e l'Australia agli Stati Uniti.I Giapponesi ricambiavano l'ostilità ma si inchinavano all'antichità e alla raffinatezza della cultura cinese. Segno di distinzione era studiare il Cinese, seguire le "mode" cinesi, possedere oggetti, mobili e quadri cinesi.
    Poi, lessi Genji monogatari,scritto nell'undicesimo secolo dalla dama di corte Murasaki Shikibu. Fu amore, ovvio. Come poteva essere diversamente? Quindi, lessi "Diari di Dame di Corte nell'Antico Giappone", perché includeva il bel diario di Murasaki Shikibu. E, fra i restanti tre, quello dell'autrice de "I Racconti del Cuscino".
    Così, ho imparato a far convivere dentro di me due Paesi che si detestano. (La Cina è sempre al primo posto)

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    1. Ecco, io dovrei tentare il passo verso la Cina, che mi attrae molto meno, nonostante la totale fiducia nei confronti della sua grande tradizione culturale. Anche in questo caso credo che dovrò affidarmi alla letteratura.

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  2. Te lo consiglio tanto. Anche quello è un bel viaggio.

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  3. Tu sai che accostarsi ad un genere o ad una letteratura straniera è un po' Sliding Doors. Da buona lettrice onnivora, ogni tanto, avendo per le mani un libro di un autore amato che ti delude, o un classico di una letteratura esotica tanto cercato ma altrettanto deludente, ti capita di pensare: "E se quel giorno avessi letto la Allende e non Marquez? Sepúlveda e non Galeano?" Brividi.
    Così, ti consiglierei "Chin P'ing Mei" se hai amato Lanterne Rosse. Non per trovarvi la fonte del film, anzi, per scoprire quanto se ne discosti, pur raccontando la vita in una Grande Casa e analoghe crudeltà fra mogli e concubine.
    Se ami il viaggio fantastico e sai o vuoi conoscere qualcosa sulla mitologia cinese: "Lo Scimmiotto", conosciuto anche come "Viaggio in Occidente".
    E, naturalmente, il mio preferito: "Il Sogno nella Camera Rossa". Una saga famigliare.
    Purtroppo, le traduzioni di questi classici non ci arrivano direttamente dal Cinese. E non sapremo mai cosa abbiamo effettivamente letto. Le più affidabili, come sempre, sono quelle delle edizioni Einaudi. Io ho i classici cinesi (ma anche l'amato "Genji") della collana dei Millenni. Li amo come figli, so che puoi capirmi :-)
    Sempre nei Millenni comprai sulla fiducia due volumoni di racconti fantastici, credo del sedicesimo secolo,ovvero Fantasmi Cinesi, ovvero storie di affascinanti donne-volpi, ecc.
    So che dovrebbe essere uscita, ormai da tempo, una traduzione più aderente al testo de La Camera Rossa. Ho certamente un appunto. Trovarlo è un altro discorso.
    p.s.
    Rileggerai Gengji o i Diari prima del viaggio? Se, passando da queste parti, non ti leggerò più, capirò che lo hai fatto e ti darò ufficialmente per dispersa.

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  4. Dimenticavo. I classici, ovviamente, sono i Cinesi che si raccontano ad una parte della propria gente. Poi c'è chi racconta la Cina all'Occidente. In genere, non amo affatto queste mediazioni. Per la Cina faccio un'eccezione. C'è un gruppo di scrittrici eurasiatiche, Pearl S. Buck, Marguerite Duras, e Han Suyn - eurasiatiche per nascita e/o per essere cresciute in Cina - che la raccontano con grande pulizia.
    Pearl S. Buck, a parte un immeritato Nobel, è cresciuta in Cina, figlia di missionari. Ha il merito di non lasciar trapelare questa circostanza dai suoi scritti. È molto rigorosa su mentalità, usanze, superstizioni e pregiudizi. Li ha vissuti. "La Buona Terra" (che le ha dato il Nobel) e "Stirpe di Drago" sono imperdibili. Romanzi-romanzi, dai quali ti duole staccarti. Saga famigliare anche qui, ma in un'ottica molto diversa rispetto a quella dei classici.
    È discontinua. Molti dei suoi libri non mi piacciono. Non ha ceduto alla religione, ma alla propaganda sì.
    Comunque, c'è un altro libro che potrebbe interessarti: "Un Amore di Ai-Uan". L'impensabile: un uomo cinese che sposa una giapponese. Capirai sul rapporto Cina-Giappone molto più che da dieci saggi.
    Marguerite Duras, figlia di coloni francesi in Vietnam. Tratti asiatici innegabilmente mescolati a quelli caucasici, eppure, lei ha sempre, tignosamente, negato. "L'Amante". E l'amante della giovanissima Marguerite è cinese. E questa circostanza pesa sull'evoluzione e la fine della storia
    Han Suyn, cino-belga. "L'Albero Ferito". Scoperto da ragazzina, letto venti volte. Alterna un capitolo autobiografico ad uno sulla "biografia" della Cina. Un altro imperdibile.
    Credo di averti moquettato il blog.
    Sarei felice se leggessi almeno uno dei libri citati. Anche due, va'...

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    1. Quanti spunti, chissà se potrò essere fedele al proposito di sfruttarli il più possibile! In realtà avrei voluto dedicare i mesi precedenti alla partenza ad una full immersion nella letteratura giapponese, ma ultimamente il tempo è carente e, in generale, riesco a leggere pochissimo. Grazie per i suggerimenti!

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