Stoner - John Williams

Doveva arrivare il nuovo anno con i suoi buoni propositi perché mi decidessi a colmare quella che mi sembrava ormai una lacuna letteraria. Dopo aver amato Augustus, non potevo più evitare di conoscere il romanzo che ne ha reso celebre l'autore, John Williams, in Italia e in Europa. Pubblicato nel 1965, il romanzo è stato quasi ignorato per mezzo secolo, fino a quando non se n'è interessata la scrittrice francese Anna Gavalda, che ha procurato a Stoner la curiosità delle case editrici. Tradotto da Stefano Tummolini, Stoner è arrivato anche in Italia con Fazi editore ed è diventato in poco tempo un caso editoriale anche nel nostro Paese: dopo tanti anni, finalmente il romanzo ha ottenuto il successo che meritava.

Quella di William Stoner è una storia comune, forse fin troppo. Nato da una famiglia di agricoltori a Booneville, nel Missouri, Stoner inizia a frequentare il corso universitario di agraria nella speranza che possa acquisire competenze importanti per continuare l'attività paterna. Nel corso di una lezione di letteratura, inglese, però, il glaciale professor Archer Sloae lo interroga a proposito del significato del sonetto settantatré di Shakespeare. Stoner ammutolisce, ma realizza ben presto che le domande incalzanti di Sloane e i suoi balbettii di risposta sono il segno del manifestarsi di una rivelazione: diventerà un insegnante. Consapevole della delusione che causerà ai genitori, Stoner abbandona gli studi di agraria e consegue la laurea in Lettere, poi prosegue il percorso verso il dottorato negli anni in cui la facoltà di svuota per l'arruolamento di tanti studenti, volenterosi di prendere parte al primo conflitto mondiale. Stoner diventa un docente, scopre poco alla volta, mentre insegna alle matricole, le infinite risorse della grammatica e della letteratura, acquisisce sempre più entusiasmo e, sebbene si giudichi un professore mediocre e non goda della stima dei colleghi, rimane fedele alla propria vocazione, acquisendo sempre più passione per il proprio lavoro. Nel frattempo si sposa con Edith, una ragazza che lo incanta ma che già durante il viaggio di nozze si rivela distaccata, fredda e ostile; Stoner comprende fin dall'inizio della propria vita coniugale che il suo matrimonio è un fallimento e l'unica luce che ne scaturisce, la nascita della figlia Grace, di cui inizialmente lui si occupa da solo, gli viene portata via quando Edith decide, improvvisamente, di gestire da sola l'educazione e la vita sociale della bambina. La carriera universitaria non riserva a Stoner maggiori soddisfazioni: nonostante l'affluenza ai suoi seminari e la stima incondizionata del decano, suo grande amico, uno studente accettato al seminario su pressione del relatore Hollis Lomax lo porta ad un conflitto con il collega; una volta che Lomax diventa direttore del dipartimento, anche la vita privata di Stoner viene presa di mira, eppure questi decide di rimanere ancorato al proprio mondo anche quando sopraggiunge il termine della pensione.
Mentre sistemava la stanza, che lentamente cominciava a prendere forma, si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un’immagine dentro di sé. Un’immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio. Mentre smerigliava le vecchie assi per la libreria e vedeva attenuarsi la ruvidezza della superficie e la patina grigia sfaldarsi per scoprire finalmente il legno in tutta la purezza della grana e della tessitura. Mentre restaurava i mobili e li disponeva nella stanza, era se stesso che lentamente ridisegnava, era se stesso che rimetteva in ordine, era a se stesso che dava una possibilità.
In questo romanzo Williams segue le vicende di Stoner dalla sua iscrizione all'università fino al momento della morte. Nessuno spoiler, dal momento che l'autore stesso riassume in pochissime righe il corso della sua vita già nella prima pagina, lasciando che il lettore possa avventurarsi nelle pieghe di un'esistenza come tante che, pure, ha molto da comunicare. Se, infatti, è vero che Stoner non è protagonista di alcuna avventura particolare e che, al contrario, conduce un'esistenza a dir poco comune, se non deprimente, il romanzo ha in sé un fascino tale da riuscire a catturare come un magnete l'interesse del lettore, che di quell'esistenza si sente partecipe.
Se la storia di Stoner fosse, semplicemente, una storia triste, per il suo protagonista si proverebbe compassione, invece è un sentimento ben diverso quello che ci tiene attaccati alle pagine. Forse è proprio la normalità - verrebbe da dire la banalità - della vita di Stoner ad allettare il lettore, a renderlo partecipe, a blandirlo con la garanzia che una vita come tante non è necessariamente una vita mal spesa. Stoner, infatti, acquisisce da ogni esperienza che attraversa un maggior grado di consapevolezza; resta amareggiato, umiliato, avvilito, frustrato più e più volte, sia nel suo cammino professionale che in quello personale, gli viene a più riprese negata qualsiasi possibilità di gioia privata, eppure lui è in grado di trovare appagamento in ciò che di positivo ha trovato: la singolare cortesia che si stabilisce con Edith quando ella scopre della sua relazione con Katherine Driscoll, i momenti che vive con quest'ultima, in una relazione che non è fatta solo di passione ma di una intimità profonda, il ricordo della figlia che gioca nel suo studio, la motivazione che lo porta a scrivere il libro che terrà in vita un pezzo di lui anche dopo la sua morte. Fra le pagine di Stoner ciò cui assistiamo è la definizione di una identità, un cammino verso una maggiore consapevolezza di sé: William Stoner avverte più volte, in momenti di estrema prosasticità come quelli in cui assembla gli scaffali dello studio, durante una passeggiata o mentre insegna, che sta comprendendo qualcosa di se stesso, che riesce a cogliere una parte della propria identità che prima gli era nascosta, che ogni momento è un momento prezioso e irripetibile di costruzione e di autoconoscenza.
Su Stoner sono stati scritti articoli su articoli nel tentativo di spiegare i motivi del suo successo, della sua presa sul pubblico dei lettori (una interessante rassegna è accessibile attraverso il sito dell'editore Fazi). Non è certo di secondaria importanza l'amore di Stoner per la letteratura e per i libri, che sicuramente gli procura la simpatia di chi ha la sua stessa passione, tuttavia Stoner non è semplicemente un insegnante di letteratura o un appassionato di poesia e non basterebbe questo a renderlo indimenticabile. Un valore aggiunto sta nel suo essere un uomo qualsiasi contro il quale sembrano accanirsi una moglie, i colleghi, gli studenti che inseguono i pettegolezzi su di lui e, infine, la malattia, eppure l'assoluta verosimiglianza della sua storia personale non è ancora, da sola, sufficiente a spiegare il fascino di Stoner.
Quello che ha colpito me è il modo in cui John Williams ha saputo raccontare una storia come tante, di tradurla in una prosa equilibrata, capace di grande sensibilità, in grado di creare chiare rappresentazioni di personaggi e luoghi e abile nell'assumere lo slancio del lirismo e, nel giro di poche righe, di farsi asciutta e incisiva, impietosa. La magia narrativa trasforma un'esistenza che potremmo percorrere senza particolare interesse in un'esperienza autentica: la penna di Williams ci porta a vivere con Stoner, a provare le sue emozioni ad un grado di intensità fortissimo, a tratti con la sensazione di provarle al posto suo, perché sembra impossibile che riesca a rimanere impassibile di fronte alle provocazioni della moglie e di Lomax, che accetti il destino amaro di Grace e la separazione da Katherine senza un moto di protesta.
«Se fossi stato al posto suo...»: credo sia questa la molla della lettura. Mi sono trovata nella continua attesa di una reazione da parte di Stoner, avvinta in modo così energico al suo destino da voler quasi agire e parlare quando lui non agiva e non parlava. Eppure, a conclusione di questo cammino, ho accettato, senza avvertire alcun senso di sconfitta, di lasciarmi prendere per mano e di scoprire assieme a Stoner il senso stesso della sua credibile vita.
Quand’era giovanissimo, Stoner pensava che l’amore fosse uno stato assoluto dell’essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l’aveva invece liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia. Arrivato alla mezza età, cominciava a capire che non era né un’illusione né uno stato di grazia: lo vedeva come una parte del divenire umano, una condizione inventata e modificata momento per momento, e giorno dopo giorno, dalla volontà, dall’intelligenza e dal cuore.
C.M.

Commenti

  1. Ciao! Questo è uno di quei libri che voglio leggere da una vita ma che non mi sono ancora decisa a recuperare. Devo assolutamente darmi una mossa.

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    1. Ciao, Gaia! Anch'io ho rimandato all'infinito questa lettura e, dal momento in cui mi sono immersa fra le pagine, non ho fatto altro che chiedermi come avessi potuto privarmi tanto a lungo di questo capolavoro.

      P.S. Scusami per il ritardo nel rispondere al commento, ma non avevo ricevuto notifica della richiesta di moderare il tuo intervento (un problema che ormai Blogger mi sta dando da qualche mese).

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  2. Il romanzo creato da Williams è un capolavoro stilistico e intellettuale di grande levatura: il dibattito culturale tra Stoner e Walker è tra i miei pezzi più belli.

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    1. Le pagine dedicate alle dinamiche del mondo universitario sono molto attuali, Williams ha davvero portato la realtà nel romanzo.

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  3. Dite bene, e sintetizzi bene nel post: in fondo si tratta di un romanzo realista, che affascina e piace perché la vera intuizione sta tutta nell'aver reso del tutto epica una vita comune.
    Ho amato moltissimo questo romanzo. Come ho amato "Augustus". Manca solo "Butcher's Crossing" all'appello. :)

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    1. Bisogna assolutamente recuperare anche quello, a questo punto sono una vera fan di John Williams! :)

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