Santa Evita - Tomás Eloy Martínez

La storia sudamericana, che raramente (per non dire mai) fa capolino nei nostri programmi scolastici, è ricca di avvenimenti scarsamente illuminati, gigantesche personalità e situazioni altamente controverse. Non solo vicende come quella dei desaparecidos o dei golpe sono conosciute per sprazzi e frammenti, ma talvolta è difficile arrivare al fulcro dei fenomeni e ricavare giudizi ben chiari sui loro protagonisti.

Io, per esempio, di Evita Duarte, meglio nota come Evita Perón, non sono mai riuscita ad avere un'idea ben definita, a comprendere se sia stata una benefattrice o una demagoga, se il governo rappresentato da suo marito Juan Domingo Perón sia stato democratico o populista. Ancora oggi, del resto, il mito di Evita e del peronismo è ben vivo e rappresenta l'antitesi alla dittatura militare di Jorge Rafael Videla.
Ma non è certo una soluzione a questo genere di domande che il lettore può trovare fra le pagine di Santa Evita, il romanzo di maggior successo della letteratura argentina, tradotto in italiano da Silvia Meucci per Sur. Del resto il suo autore, Tomás Eloy Martínez, rivendica con forza all'interno del testo, così come le interviste che ha rilasciato, che la sua è un'opera di creazione. Santa Evita si ispira a fatti reali, ma li trasfigura in un racconto che ha del rocambolesco, del fantastico, del surreale, eppure rimane sempre squisitamente verosimile, a insinuare continuamente il dubbio sugli equilibri fra realtà e finzione.
Questa, pensavo, è la disgrazia del linguaggio scritto. Può resuscitare i sentimenti, il tempo perduto, la casualità che allaccia un fatto con l’altro, ma non può resuscitare la realtà. Io ancora non sapevo - e mancava ancora molto perché me ne rendessi conto - che la realtà non resuscita: nasce in un altro modo, si trasforma, reinventa se stessa nei romanzi. Non sapevo che la sintassi o la voce dei personaggi tornano con suoni diversi e che, passando attraverso i setacci della lingua scritta, diventano un’altra cosa.
Le vicende iniziano nel 1952, quando, alla morte, a soli trentatré anni, di Evita, il marito affida al dottor Pedro Ara l'incarico di renderne eterna la bellezza e la giovinezza, imbalsamandone il corpo. Il cadavere di Evita, periodicamente trattato chimicamente per impedirne la corruzione, viene esposto nella sede della Confederación Nacional del Trabajo e diventa ben presto oggetto di venerazione. Per questo motivo quando, nel 1955, la rivoluzione depose Perón, il corpo di Evita fu preso in custodia dal Carlos Eugenio Moori Koening e per diversi anni non trovò una definitiva sepoltura, trasportato da una parte all'altra e condotto fino in Europa, prima di essere restituito a Perón al suo ritorno in Argentina e, infine, nel periodo della dittatura, alle sorelle della donna.
In Santa Evita Tomás Eloy Martínez ricostruisce una ipotetica storia di queste traslazioni pensate per sottrarre ai peronisti un pericoloso oggetto di culto, intervallando il racconto degli ingombranti trasferimenti del corpo imbalsamato a interviste, colloqui, consultazione di appunti e documenti. Ne emerge una narrazione vivace, a tratti incredibile eppure tanto più appigliata alla realtà in quei punti in cui sembrerebbe maggiormente distaccarsene. Nel frattempo viene raccontata anche la storia di una ragazza dai modi rozzi, di un'attrice mediocre, di una oratrice di pessima qualità, di una madre del popolo, di una fortissima icona politica, cioè di tutte quelle identità che ha assunto Evita da quando, giovanissima, ha iniziato a recitare in produzioni cinematografiche scadenti fino al suo ultimo respiro. Nel mezzo, naturalmente, ci sono l'incontro con Juan Domingo Perón, gli incontri della donna con la folla, le ondate di odio che si scatenano contro di lei e i tentativi di beatificazione mai andati in porto.
Ancora una volta, dopo Purgatorio (che però è successivo a Santa Evita), Tomás Eloy Martínez mi ha catturato con la sua capacità affabulatoria, con l'abilità attraverso la quale connette realtà e mito - ché tale è da considerare la fulminante e controversa ascesa della prima donna argentina. Il romanzo è avvincente e scorre capitolo dopo capitolo nelle vite di Eva, del colonnello Moori Koening, della madre di lei, dei collaboratori del militare e, al contempo, in quelle dell'intero popolo argentino, sia di quella parte che l'ha amata e ancora oggi la ricorda come un'eroina nazionale sia di coloro che l'hanno insultata e avversata ma che, molto spesso, hanno scontato la maledizione del suo fascino.

Le anime hanno una loro forza di gravità: non amano la velocità, l'aria aperta, l'ansia. Se qualcuno rompe i vetri della loro lentezza, si disorientano e sviluppano una forza di maleficio che non sono in grado di controllare. Le anime hanno abitudini, manie, antipatie, momenti di fame e di noia, desiderio di andare a dormire, di stare sole. Non vogliono che le si tiri fuori dalla loro routine perché l'eternità è questo: routine, frasi che si incatenato senza fine, ancore che le ormeggiano a cose sconosciute. Ma così come detestano essere spostate da un luogo all'altro, le anime aspirano a qualcuno che le scriva. Vogliono essere raccontate, tatuate sulle vette dell'eternità. Un'anima che non è stata scritta è come se non fosse mai esistita. Contro la fugacità la scrittura. Contro la morte, il racconto.
C.M.

Commenti

  1. Questo libro per me è indispensabile per capire l'Argentina!

    Magnetico!

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    1. Hai ragione, infatti una collega di origini argentine mi ha spiegato quanto l'esperienza del peronismo, in positivo o in negativo che la si intenda, segni ancora oggi il dibattito socio-politico del Paese. È una lettura importante per addentrarsi in vicende ancora poco note a noi Europei.

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