Allunaggi e sguardi sulla Terra: Menippo e Astolfo sulla Luna

Il 20 luglio 1969 la missione Apollo 11 culminava nel primo atterraggio di una navicella spaziale sulla Luna e qualche ora più tardi Neil Armstrong e Buzz Aldrin iniziavano la loro passeggiata sulla superficie lunare, ma i letterati hanno raggiunto con la fantasia il nostro satellite secoli e secoli fa.
La Luna, infatti, prima ancora che oggetto di osservazione scientifica, ha rappresentato, ben più del sole e di qualsiasi altro corpo celeste, un concentrato di sogni e aspirazioni, ma anche il luogo dell'ignoto o, per meglio dire, il luogo in cui si spera che l'ignoto possa essere spiegato. Questa concezione della Luna spiega perché essa sia un elemento tanto ricorrente nella letteratura e perché gli autori talvolta la scelgano anche come interlocutrice. La Luna è entrata nei modi di dire, nel computo del tempo, nell'immaginazione di bambini, adulti, idealisti e innamorati, nei libri, nei dipinti, nelle poesie e nelle ricerche scientifiche, ma tutti i tentativi dell'uomo di avvicinarsi ad essa non ne hanno sminuito il valore, anzi, lo hanno reso sempre più forte.


Alla Luna hanno alzato il loro sguardo tantissimi autori e alcuni di loro hanno immaginato addirittura di raggiungerla: nel cielo della Luna transita Dante nel suo viaggio oltremondano, Jules Verne racconta di un allunaggio nel suo romanzo Dalla Terra alla Luna e H.G.Wells sceglie come protagonista de I primi uomini sulla Luna uno scienziato capace di vincere la gravità grazie ad una sostanza chiamata cavorite, che renderà possibile camminare sulla superficie lunare.
E poi c'è Astolfo, il paladino di Carlo Magno destinato da Dio a restituire il senno ad Orlando, impazzito per amore di Angelica. Come è noto, Astolfo, dopo aver liberato il re d'Etiopia Senàpo dalle Arpie e aver inseguito i mostri fino alle porte dell'inferno, rimonta in sella all'ippogrifo e vola fino al Paradiso Terrestre, dove incontra Giovanni Evangelista; assieme a lui salirà sul carro del profeta Elia, trainato da quattro cavalli di fuoco, per raggiungere la Luna.
Ma ancor prima dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto ben due allunaggi sono descritti nel II secolo d.C. dallo scrittore e greco Luciano di Samosata. Autore prolifico e variegato, ironico e irriverente, Luciano immagina di ascendere personalmente alla Luna nel romanzo fantastico Storia Vera: a bordo di una nave sollevata da un turbine, bastano sette giorni e sette notti per approdare su quella che sembra un'isola luminosa e sferica; essa si rivela immediatamente abitata, ma occorre che scenda la notte perché i naviganti possano distinguerne i paesaggi e realizzare di essere giunti su un pianeta del tutto simile alla Terra, con fiumi, mari, montagne e città. Luciano e i suoi vengono catturati dagli ippogrifi, uomini che cavalcano dei grifi e che li conducono dal loro re Endimione, il quale rivela ai viaggiatori che sono approdati nel luogo che essi chiamano Luna. Endimione è in guerra con Fetonte, sovrano degli abitanti del Sole, e Luciano, con i suoi, si unisce allo stranissimo esercito di guerrieri con elmi di gusci di fave e corazze di gusci di lupini.
Tuttavia è nel dialogo Icaromenippo, che ha per protagonista il filosofo cinico Menippo di Gadara (III sec. a.C.), che si parla più diffusamente della Luna. Qui lo stesso satellite prende la parola, domandando a Menippo di raggiungere Zeus e riferire al re degli dèi una sua preghiera. Per il modo in cui è descritta la Luna e per certe osservazioni di carattere morale, questo brevissimo dialogo sembra quasi anticipare la riflessione ariostesca: nell'Icaromenippo come nel canto XXXIV dell'Orlando furioso la luna diventa un punto di osservazione sulla Terra, uno strumento per realizzare lo straniamento, tanto più forte quanto più il satellite somiglia al suo pianeta.
Menippo sta fra sé e sé ricordando le distanze percorse in un viaggio recente, quando viene interrotto da un amico convinto che egli si stia dedicando all'astrologare tanto di moda. Menippo, infatti, dice di aver percorso tremila stadi in volo dalla Terra alla Luna e traccia le distanze percorse fra il sole e la luna e la luna e la casa di Giove. All'amico confuso spiega di essersi fatto novello Icaro e di essersi levato in cielo usando l'ala destra di un'aquila e quella sinistra di un avvoltoio: stanco di occuparsi di questioni futili come le ricchezze, il potere e i regni, ha alzato lo sguardo e ha iniziato a chiedersi come sia nato il mondo e quali siano le dinamiche sottese ai fenomeni naturali; rivoltosi ai filosofi, non ha tratto altra conclusione della loro ignoranza, dell'incapacità di trattare di fisica e astronomia, dei paroloni e delle frottole inventate per dare spiegazioni inconsistenti e inverificabili.
Giunto sulla Luna grazie alle ali che si è fabbricato, Menippo incontra il filosofo Empedocle, che gli spiega come, in virtù della sua parte aquilina, abbia acquisito anche la vista del volatile, cosicché, dopo un primo sguardo poco chiaro sulla Terra, ridotta ad una dimensione ancor più piccola di quella che per i terrestri ha la Luna, il viaggiatore può scorgere anche i più piccoli particolari della vita sul proprio pianeta.
All'inizio la Terra mi apparve piccolissima, molto più piccola della Luna, al punto che, guardando giù, non sapevo più dove fossero questi monti il nostro grande mare e, se non avessi scorto il colosso di Rodi e la torre del Faro, non l'avrei proprio distinta. Ma queste due opere altissime, e l'Oceano che tranquillo rifletteva i raggi del sole mi fecero capire che io vedevo la terra. Non appena vi fissai gli occhi attenti, mi si parò innanzi tutta la vita umana, non solo i regni e le città, ma gli uomini stessi: chi navigava, chi guerreggiava, chi coltivava i campi, chi esercitava la giustizia, le faccende delle donne, gli animali, e tutto ciò che la terra nutre. [...]
Volsi giù lo sguardo alla Terra, e vidi chiaramente le città, gli uomini, e tutto ciò che essi facevano non solo alla luce del sole, ma nelle case dove credono che nessuno li veda. Tolomeo giaceva con la sorella, Lisimaco era insidiato dal figlio, Antioco, figlio di Seleuco, faceva d'occhio alla madrigna Stratonica, Alessandro il tessalo veniva ucciso dalla moglie, Antigono commetteva adulterio con la moglie del figlio; il figlio di Attalo gli porgeva un veleno; altrove Arsace uccideva la sua donna e l'eunuco Arbace lo colpiva con la spada, Spatino il Medo veniva trascinato via dal banchetto dalle sue stesse guardie, con un ciglio spaccato da una tazza d'oro. Cose del genere vedevo in Libia, fra gli Sciti, fra i Traci: palazzi regali si consumavano stupri, massacri, seduzioni, rapimenti, spergiuri, terrori, tradimenti da parte dei cari. Questo spettacolo veniva dai potenti: le persone comuni, invece, mi facevano ridere. Vedevo Ermodoro l'Epicureo giurare il falso per mille dracme, Agatocle lo stoico litigare col discepolo per la paga, Clinia il retore rubare una coppa dal tempio di Asclepio, ed Erofilo il cinico dormire in un bordello. Che potrei dirti degli altri? Chi rubava, chi scassinava, chi corrompeva, chi prestava denaro a usura, chi mendicava. [...]
Insomma tutte le cose svariatissime che si rappresentano su questo gran teatro mi sembravano sciocchezze e più di ogni cosa mi facevano ridere coloro che litigano per un pezzo di terra, che intendono coltivare le pianure di Sicione o di possedere quella di Maratona presso il monte Enoe o mille iugeri in Acarnania; perché tutta la Grecia, da lassù, non mi pareva più grande di quattro dita, e l'Attica era ben più piccola.
Menippo, dall'alto della Luna, si rende conto ancor più che sulla Terra della vanità delle occupazioni e delle angosce di cui gli esseri umani riempiono le loro vite: essi gli appaiono come formiche indaffarate intorno al formicaio, inconsapevoli della loro piccolezza e superbi nelle loro ricchezze. Quello descritto da Luciano è un mondo in preda ad una follia che si declina però anche in modo più preoccupante, se è vero che omicidi, imbrogli e tradimenti si consumano ovunque, specialmente fra coloro che dovrebbero guidare i popoli.

Gustave Doré, Astolfo sulla Luna

Non dissimile è la Terra descritta da Ariosto per contrasto con quanto Astolfo trova sulla Luna. Come i personaggi di Luciano, il paladino si ritrova in un paesaggio che gli ricorda la terra, un paesaggio difficile da distinguere per mancanza di luce, ma in cui si notano fiumi, laghi, foreste, pianure, valli, fortezze e città. Sulla luna ariostesca va a finire tutto ciò che si perde sulla terra e, prima di trovare l'ampolla contenente il senno di Orlando, la più grande fra tutte quelle che contengono il senno perduto dagli esseri umani, Astolfo passa in rassegna tutto ciò che ha abbandonato la Terra.
Non stette il duca a ricercare il tutto;
che lá non era asceso a quello effetto.
Da l’apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, lá si raguna.

Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch’in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è lá su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giú divora:
lá su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.

Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desidèri sono tanti,
che la piú parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giú perdesti mai,
lá su salendo ritrovar potrai.
Le ottave 73-75 qui riportate introducono la riflessione sulla vanità delle cose terrene che verrà poi sviluppata fino all'ottava 81: alcune cose si perdono a causa della sorte, che un giorno rende l'uomo ricco e fortunato ma il successivo può togliergli tutto, altre si smarriscono per la stoltezza, che porta i più a dilapidare tempo ed energie in attività futili. Le ottave 76-79 sono dedicate alla vanità del desiderio di potere, delle onorificenze, delle alleanze fra i signori, delle guerre, che hanno condotto alla distruzione fortezze e città e prodotto violazioni di accordi e tradimenti; si passa poi alla critica contro il materialismo che spinge gli uomini ad attaccarsi al denaro (ottava 80) e due versi sono dedicati anche alla bellezza delle donne, strumento di malia, prima che la rassegna si chiuda con una generica menzione di molte altre cose ammucchiate nella valle lunare. Questa descrizione, che precede il momento in cui Astolfo giunge finalmente al reparto senno, ricorda quella dell'Icaromenippo: in entrambi i casi chi sta sulla Luna prende coscienza, grazie al punto di vista distaccato, dell'insensatezza delle preoccupazioni che si hanno sulla terra: tutto è destinato a svanire, consumando il tempo e le forze dei mortali, e la giostra di questa follia sembra non dover finire mai. Colpisce inoltre che Ariosto, come Luciano, dedichi ampio spazio al versante politico del delirio, a sottolineare i torti commessi nelle case dei potenti, anche se l'affondo di Menippo è decisamente più impietoso e cupo.
La terra, insomma, è in preda ad una cieca follia e la stessa situazione descritta da Menippo viene rilevata da Astolfo, dal momento che il bene raccolto in maggior quantità sulla luna è il senno: le ampolle contenenti la ragione, un liquor suttile e molle / atto a esalar, se non si tien ben chiuso, formano una montagna più alta di quella di tutte le altre cose smarrite e Astolfo stesso ritrova una boccetta contenente un po'del suo senno.
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, richezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
et altri in altro che piú d’altro aprezze.
Di sofisti e d’astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n’era molto.
Secondo Ariosto non c'è mortale che sia del tutto ragionevole, per quanto sia creduto savio e rispettabile, e questa considerazione non risparmia neanche gli intellettuali, come si evince dall'ottava 85 sopra riportata. Ecco un nuovo punto di convergenza fra Luciano e Ariosto, entrambi convinti che molti di coloro che vogliono apparire sapienti siano in realtà, almeno in parte, sciocchi, e che, quindi, nessuno possa dispensare delle verità.
Ricordiamo che proprio per sottrarsi al pomposo intellettualismo dei filosofi Menippo ha intrapreso il suo viaggio, ma aggiungiamo ora che l'intervento della Luna stessa, che dialoga con Menippo, accentua questa polemica (20-21).
Io sono stufa, Menippo, di sentire tutto quello che i filosofi dicono di me. Non si curano d'altro che dei fatti miei: chi sono, quanto son grande, perché ora sono divisa a metà e ora sono intera: chi dice che sono abitata, e chi dice che sono come uno specchio sospeso sul mare... tutti i loro pensieri sono per me. Hanno persino affermato che questa luce non è mia, ma è rubata, che l'ho presa al Sole; e non la finiscono, e per questo mi faranno litigare con mio fratello; non si accontentano di sparlare del Sole, una pietra rovente. Eppure io conosco molti dei loro affari e quanti atti vergognosi compiono di notte coloro che di giorno sembrano rispettabili nell'aspetto e traggono in inganno. Io vedo tutto, ma taccio, perchè penso che non mi si addica smascherare e illuminare gli affari notturni ed esibire come sulla scena le vite di ciascuno: anzi se ne vedo qualcuno che commette adulterio, ruba o compie altre imprese adatte al buio della notte, subito afferro una nube e mi copro con essa, per non mostrare a molti questi vecchi uomini si comportano in modo inadeguato all'età e al valore.

Menippo riferirà la preghiera della Luna a Giove e questi, di fronte all'assemblea degli dèi, manifesterà il suo totale accordo nella visione degli esseri umani. Accolto Menippo, lo invita al banchetto degli immortali e subito dopo comunica che quanto riferito dal viaggiatore non ha fatto altro che rafforzare la sua idea a proposito dei filosofi, che fanno mostra ci curarsi degli uomini ma perdono tempo in dissertazioni inutili, non di prodigano realmente per il prossimo quando è in difficoltà, non tengono in debita considerazione nemmeno gli dèi, fanno mostra di fronte ai discepoli di essere parsimoniosi e modesti ma poi fra loro si danno al lusso e ai banchetti e per giunta si ergono a moralisti e fanno a gara a chi sbraita più forte, convinti di vedersi così riconisciuta una maggiore autorevolezza.
Gli esiti dei due viaggi non sono del tutto diversi, dal momento Astolfo avrà raggiunto l'obiettivo di far rinsavire Orlando e quindi di far vincere la guerra contro i saraceni a Carlo Magno, mentre Menippo, ricondotto da Ermes nel Ceramico, saprà che gli dèi sono intenzionati a sterminare i filosofi per porre fine al loro vuoto intellettualismo. Insomma, nella prospettiva dei due personaggi, l'esito del loro viaggio è positivo, in quanto produce gli effetti desiderati non solo per loro ma, nella prospettiva culturale dei loro autori (ricordiamo che Luciano era cinico), anche tutto il mondo: il loro piccolo passo di uomini sarà considerato dall'uno e dall'altro un grande passo per l'umanità.
Terra e Luna, così come si scambiano dimensioni e immagine, così invertono le loro funzioni: vista di quassù, è la Terra che può esser detta il mondo della Luna; se la ragione degli uomini è quassu che si conserva, vuol dire che sulla Terra non è rimasta che pazzia. (Italo Calvino)
C.M.

Commenti

  1. Post molto interessante. Non conoscevo l'opera "Icaromenippo" e l'ho trovata molto interessante.

    L'allunaggio fantastico è probabilmente uno delle prime forse di fuga dalla realtà gretta e vile con cui siamo costantemente costretti a confrontarci.

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    1. Sono contenta di aver contribuito a far conoscere questo curioso brano letterario, che si può leggere liberamente online in una discreta traduzione.
      Quanto al bisogno di evasione, si tratta forse di una condizione universale, rispetto alla quale non siamo lontani dai Greci.

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  2. Uno dei tuoi migliori post. Veramente stupendo.
    Anche a me sfuggiva questo "Icaromenippo", devo averlo dimenticato dagli studi classici.
    Ho messo da parte il monologo della Luna per il mio laboratorio ragazzi. :)
    Quanto può essere affascinante la Luna, che attraversa secoli di letteratura sempre da protagonista. Ogni epoca ha prodotto qualcosa a riguardo. Ed è estremamente bello pensare che sia la stessa immagine che vediamo noi quella che ha ispirato tutti i grandi che citi.

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    1. A dire il vero nemmeno io al tempo degli studi ho approfondito questo dialogo in particolare, perché delle avventure di Menippo narrate da Luciano si parla sempre in modo molto generico e soprattutto richiamando i dialoghi con i morti, ma a dedicargli più attenzione si trovano molte cose interessanti e questo testo sulla Luna cadeva alla perfezione per la ricorrenza, così l'ho tenuto in caldo appositamente e sono quindi particolarmente felice che sia piaciuto. Sono proprio io curiosa di sapere cosa ne ricaverai nel tuo laboratorio! :)

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  3. Leggendo questo tuo post (stupendo complimenti!), mi sovviene una frase delle "Memorie di Adriano", quella in cui l'imperatore affermava il fatto che già essere arrivati col pensiero così tanto lontani significava possedere una mente aperta e moderna e gli antichi ci hanno dimostrato proprio questo.

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    1. Una lezione che troppo spesso viene sottovalutata, sebbene gli antichi fossero per molti aspetti più moderni di noi...

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    2. Infatti, se mi dicessero che sono antica, non mi offenderei... anzi! :)

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