Siamo fatti per condividere l'odio (e la misoginia)?

L'odio e l'ignoranza spesso camminano insieme: si odia soprattutto quello che non si conosce o non si comprende e, anziché fare lo sforzo di colmare questa mancanza, si alimentano l'ostilità e il disprezzo, fino a raggiungere livelli talmente alti da ricordare quelle esplosioni di intolleranza e aggressività diffuse che ci premuriamo di condannare ad ogni Giornata della Memoria o ricorrenza analoga. L'odio e l'ignoranza non solo camminano insieme, ma spesso si accompagnano al buon tempo che potrebbe essere investito nel superamento della bestialità, ma che viene invece impiegato nelle arene social, dove un titolo e una foto con un qualche hashtag bastano a scatenare insulti in cui la scorrettezza contenutistica è seconda solo a quella grammaticale.
Giorno dopo giorno l'odio dilaga e l'ignoranza alza la voce. Le vittime, spesso, anziché coloro che si comportano in modo scorretto o negligente, sono coloro che di questi atteggiamenti già soffrono le conseguenze. Insomma, una miriade di persone che, oltre al danno, devono scontare la beffa. Tanto più se si tratta di donne.
F. Leighton, Antigone (1882)
Questo non è un post femminista, anche se, come ha recentemente affermato Galatea Vaglio, chi mette in discussione i pregiudizi misogini che ancora dilagano nella nostra società, viene considerato tale. Gli ignoranti che si riempiono la bocca di un odio che nei confronti delle donne diventa ancor più acceso probabilmente penseranno che questo sia un post femminista e non un articolo che difende i principi di uguaglianza e parità sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione dei diritti umani.
Ebbene, se è vero che ingiurie e turpiloquio vengono quotidianamente sfoderati come uno strumento di comunicazione normale contro chiunque, tanto più contro chi osa mettere in discussione un paradosso, un'ingiustizia, un crimine o addirittura la violazione di principi sacrosanti (ché, come sempre, ci si piega facilmente al ruolo dell'Azzeccagarbugli che ammicca ai prepotenti e se ne infischia delle vittime), è però vero che quelli peggiori sono pronunciati all'indirizzo delle donne, come se il sesso femminile fosse un'aggravante per qualsiasi comportamento o, anzi, come se fosse proprio ciò che trasforma un'impresa positiva, onesta, esemplare o eroica in un atto vergognoso, ripugnante ed esecrabile.
Quasi sempre gli insulti rivolti alle donne hanno una base sessuale e mirano a farle apparire come persone da censurare, rieducare, punire. Basti pensare al fatto che, ogni volta che si parla di violenze, spuntano i cretini di turno che pensano bene di dire che compagne picchiate o donne stuprate, in qualche modo, se la sono cercata.
Ma, nel fitto pulviscolo dell'odio, voglio proporre tre casi significativi di sessismo, misoginia e odio di genere che dimostrano come sia facile ribaltare gli applausi rivolti agli uomini in gogne in cui rinchiudere le donne.
Innanzitutto c'è la giovanissima attivista Greta Thunberg, impegnata nel sensibilizzare i potenti nei confronti delle problematiche dell'inquinamento e del riscaldamento globale. Si può dibattere all'infinito sulle strategie mediatiche e sulla possibile strumentalizzazione di Greta, così come della rapidità con cui il fenomeno Thunberg è scoppiato e ritornato quasi nell'ombra (è comunque tipico del mondo dell'informazione battere per un periodo breve ma intenso su una notizia e poi passare in fretta ad altro), ma non è questo il punto. Si può anche non condividere il modo in cui la ragazza svedese si è imposta all'attenzione, si può anche essere fra quelli che minimizzano la portata dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale (pur trattandosi di fenomeni innegabili), ma non esiste giustificazione al trasformare una legittima posizione in uno sfogo d'odio. Naturalmente il caso più lampante di questo atteggiamento cieco e irrispettoso, che, però, rispecchia quanto accaduto fra le persone comuni nei social network, è quello dell'illuminato Vittorio Feltri, che, con la consueta raffinatezza e con il rispetto dell'altro che lo contraddistingue, ha usato per criticare Greta Thunberg argomenti elevati, definendola gretina, rompiballe, racchia, saccente e pure portatrice di sfiga. Si può scommettere che, se si fosse trattato di un giovane maschio, la portata della rottura di balle sarebbe stata minimizzata e non si sarebbe fatto alcun cenno all'aspetto fisico, ché, si sa, il sesso maschile può permettersi di imporsi, insistere ed essere anche brutto senza che questo ne intacchi il valore. Ma per le femmine no: bisogna essere belle e silenziose per essere (forse) esonerate da critiche e insulti.
Di recente ha perso l'occasione di tacere anche tale Camillo Langone, che, su Il Foglio, ha definito il calcio femminile una diavoleria contronatura e gli uomini che lo seguono irrispettosi verso se stessi e verso Cristo. Nel suo nauseante pezzo costui sostiene che i campionati di calcio «prescrivono alle ragazze di tutto il mondo modelli contronaturali di forza, aggressività e ambizione capaci di distruggere la più delicata femminilità». Perché, evidentemente, secondo natura una donna non può essere forte, tenace, ambiziosa e non deve neanche immaginare di invadere un campo che è considerato prettamente maschile solo perché i mezzi di informazione non danno adeguata visibilità alle competizioni femminili. Il calciatore maschio è simbolo di vigore e pratica legittimamente l'aggressività, ma una donna che pratichi tale sport è instrumentum diaboli, soprattutto se raggiunge dei livelli che i suoi colleghi uomini hanno mancato, come accaduto per gli ultimi mondiali.
Infine c'è il caso di Carola Rackete, la donna al comando della nave della Sea Watch che ha sfidato il blocco imposto alla ONG affinché non sbarcasse sul suolo italiano i migranti soccorsi nel Mediterraneo, affermando che le vite degli esseri umani sono più importanti di qualsiasi gioco politico. Nel sostenere la propria posizione, la Rackete è incorsa nella violazione delle leggi italiane sull'immigrazione e soprattutto nell'opposizione al ministro dell'Interno Matteo Salvini, l'unico capitano che qualcuno è disposto a riconoscere e che affronta il problema delle migrazioni di massa partecipando a comizi e sagre e sull'onda dei tweet anziché presenziare alle riunioni europee sul tema. Considerata la natura di una larga parte del seguito salviniano, che non perde occasione di dare prova di razzismo, omofobia e misoginia - ma sempre baciando il crocifisso - era purtroppo prevedibile che le polemiche e l'opposizione alla Rackete non si limitassero ad un civile dibattito fra posizioni diverse, ma degenerassero nell'insulto maschilista. Un capitano maschio sarebbe stato ingiuriato sì, ma discriminato probabilmente no. Invece alla capitana, come ormai viene chiamata sia in omaggio al suo ruolo sia in contrapposizione al titolo riconosciuto a Salvini dal suo seguito, sono stati immediatamente affibbiati insulti di carattere sessuale e contro di lei è stato invocato a più riprese, come già accaduto in passato per Laura Boldrini, lo stupro. Ecco, allora, che lo stupro diventa, secondo un purtroppo nutrito numero di persone di cui fanno parte anche molte donne, lo strumento per punire, la giusta lezione che si dà ad una donna che non rispetta un divieto, tanto più se scritto ma soprattutto incarnato da un uomo, o che si fa portavoce di un'idea sgradita a qualcuno. Lo stupro - commesso o invocato - è ciò che, secondo costoro, dovrebbe rieducare la donna ribelle, servirle da lezione, ricordandole quale è il suo posto. L'uomo, invece, può ribellarsi alle leggi, invocare rivolte contro di esse, come dimostra il fatto che in passato lo stesso Salvini ha definito legittimo (ovviamente in un tweet) ribellarsi alle leggi ingiuste. La stessa considerazione, elaborata da Carola Rackete, diventa contronatura come i calci delle nostre Azzurre.
Inutile dire che, fra questi tre casi, l'ultimo è quello più preoccupante, sia per la portata degli eventi che per le conseguenze che la Rackete sta affrontando. Molti stanno paragonando questa giovane donna ad Antigone, l'eroina greca al centro di un conflitto enorme. Come Antigone ha contravvenuto alle leggi civili imposte da Creonte per rispondere ad un dovere impostole dalla coscienza e dall'osservanza dei doveri sacrosanti dettati dagli dèi, così Carola Rackete ha violato una norma di legge per adempiere al salvataggio di vite umane, quindi per un dovere etico. Anche nella tragedia di Sofocle, significativamente, lo scontro avviene fra un personaggio femminile e uno maschile, sebbene non possiamo dire che i Greci fossero femministi e riconoscessero ai due sessi pari opportunità.
Che le migrazioni di massa siano una questione spinosa da regolamentare e gestire in modo più efficace è innegabile, ma questo non può permetterci di diventare insensibili e indifferenti alle condizioni drammatiche di chi ne è protagonista. Se i nostri politici affrontassero (e avessero affrontato in passato) nelle opportune sedi un dibattito internazionale serio, continuo e strutturato sulla questione, oggi non avremmo una legge sull'immigrazione che da più parti dà adito ad accuse di violazione dei diritti umani né una donna condannata per aver semplicemente seguito la coscienza di un essere umano, oltre che i valori dell'altruismo e della misericordia strettamente legati al cristianesimo, tanto caro a chi ha stilato la legge che impediva alla Sea Watch di attraccare in Italia.
Carola Rackete è una disobbediente e, in quanto donna, una disobbediente da violentare. Ma Carola, per fortuna, sta diventando, per chi non accetta di immergersi nel mare di odio e insulti, un'eroina della disobbedienza e della lotta non violenta. Come Rosa Parks, come gli studenti della Rosa Bianca, come Gandhi. Come tutti coloro che non si sono fatti bastare la definizione di legge per ritenere giusti e inviolabili i provvedimenti imposti nelle loro società. Ritenere un provvedimento di legge intoccabile significa accettare di vivere in un sistema dittatoriale, perché, per definizione, la democrazia accende discussioni, sostiene la perfettibilità e la modificabilità di ciò che non dovesse rivelarsi rispettoso dei suoi principi, concede la libertà di essere e di pensare. Non a caso Antigone è il frutto della democrazia ateniese che, pur diversa dalla nostra, ha sostenuto per prima la possibilità di intervenire sulle leggi e di farle dialogare con il senso comune e i valori non scritti.
Ma la politica, come certi sport, è ancora un ambito in cui, come in molti altri, si esercita un predominio maschile e, come Creonte, pochi sono disposti a prendere in considerazione il parere di una donna. Un ribelle maschio sarebbe forse osteggiato, ma non bersagliato di insulti sessisti. Ma una donna che parla come un uomo, che compete come un uomo, che reagisce come un uomo è ancora per molti un pericolo da sedare.
Nel celeberrimo confronto con Creonte, Antigone dichiara «Io sono fatta per condividere l'amore, non l'odio» e nel corso del dramma la mediazione di un altro uomo, Emone, insinua nel rigido Creonte il dubbio che sia la giovane donna a rappresentare il vero e il giusto, a costituire un modello positivo. Ma sembra che una parte fin troppo ampia della nostra società sia fatta, al contrario, per condividere l'odio e la dialettica proposta in uno dei drammi più intensi e potenti dell'antichità appare troppo moderna per noi.
«Sarebbe stupendo se gli uomini possedessero per nascita la perfetta saggezza; altrimenti, poiché questo accade raramente, è buona norma imparare da chi dice il giusto.» (Sofocle)
C.M.

Commenti

  1. Bellissimo post, Cristina. Avevo pensato anch'io di scriverne uno, perché di fatto questi tre esempi che citi sono diventati il paradigma della peggiore misoginia degli ultimi tempi. Non so, ho la sensazione che questo disprezzo sia sempre esistito, e semplicemente gli odiatori (molti dei quali sono donne) abbiano oggi trovato terreno fertile per esprimersi. Ciò mi impressiona, perché davvero non avrei mai immaginato di stare vivendo in una società così limitata e francamente brutta. Cerco di aggrapparmi a quanto di buono c'è, ma disperatamente.

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    1. Condivido la tua sensazione: la visibilità di cui godono questi odiatori di professione, gli ignoranti patentati e i provocatori più beceri (alcuni dei quali sono incredibilmente annoverati fra i giornalisti e dovrebbero essere radiati dall'ordine per rispetto dei loro colleghi) è sconvolgente, eppure sembra proprio riflettere la degenerazione della società in cui viviamo. Triste, davvero.

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  2. Il disprezzo contro le donne ha alti e bassi. Ultimamente noto un serio peggioramento e un malessere generale. La bassezza delle parole, del tono e delle urla sono preoccupanti perché potrebbero sfociare come un effetto domino difficili da controllare se non si interviene. Hai scritto un ottimo pezzo.

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    1. Quella del rispetto di genere (espressione che non dovrebbe nemmeno esistere, perché il rispetto è dovuto a chiunque e la parità non dovrebbe essere messa in discussione) è una questione che mi interessa molto e sulla quale non sono disposta a concedere sconti o attenuanti, quindi ti ringrazio.
      Il fenomeno della recrudescenza della misoginia è spaventoso, in quanto pervade diversi ambienti e viene alimentato, paradossalmente, proprio dalla facilità con cui accediamo agli strumenti di comunicazione: anziché usarli per migliorarsi e capire, molti li usano per dar sfogo alla loro idiozia.
      Oggi uno di coloro che hanno inneggiato alla violenza contro la Rackete si è scusato, dicendo che il suo commento era dovuto ad una bevuta di troppo, ma sono le solite mezze giustificazioni concesse agli uomini: se bevono loro, si deve comprendere che eccedano nell'espressione della propria virilità, mentre una donna che beve si espone alla violenza ed è quindi colpevole. Simili bestialità non si possono sentire.

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