Le braci - Sándor Márai

«L'uomo vive finché ha qualcosa da fare su questa terra». Questa è la convinzione che Sándor Márai mette in bocca al potagonista del romanzo Le braci. E ciò che ha da fare Henrik, quasi sempre nominato come il generale, è incontrare il suo vecchio amico Konrad, che in passato è stato per lui più che un fratello, ma che non vede da decenni. Deve incontrarlo - sa che è scritto nel suo destino - per porgli soltanto due domande e rivelargli ciò che ha riempito per tanti anni la sua solitudine.

Possiamo comprendere l’essenziale solo partendo dai particolari, questa è l’esperienza che ho tratto sia dai libri che dalla vita. Bisogna conoscere tutti i particolari, perché non possiamo sapere quale sarà importante in seguito, quali parole metteranno in luce qualcosa. Bisogna raccontare con ordine.
Il mattino del 14 agosto 1940, quando Henrik riceve la lettera di Konrad in cui si annuncia il suo arrivo al castello, sono trascorsi quarantuno anni e quarantatré giorni dal loro ultimo incontro, il 2 luglio 1899. Da quarantun anni la vita del generale ruota attorno alla giornata di caccia in cui fra i due si è aperta una frattura dalla quale sono scaturiti i mille interrogativi di Henrik. Konrad, improvvisamente sparito senza alcuna spiegazione, sarà ospite nel castello dell'amico e per costui si prospetta finalmente la possibilità di trovare pace nelle risposte dell'ospite.
In realtà Konrad parlerà molto poco e l'incontro si tradurrà in un lungo monologo del generale, che, di fronte al lettore, racconterà le trasformazioni del suo modo di intendere la relazione con Konrad, dall'incondizionata fiducia e dal profondo affetto che li ha legati in gioventù e durante il servizio militare a Vienna fino alle lunghe chiacchierate nel castello fra i due e Krisztina, la moglie di Henrik. Nel mezzo le zone d'ombra in cui l'amicizia non può arrivare, date dal cozzare della sensibilità artistica di Korad e del rigore nobiliare del generale, ma anche - per quanto sospetta Henrik - dalla differente condizione dei due, dal momento che Konrad è figlio di un barone ormai decaduto che affronta enormi sacrifici per garantirgli ottimi studi e una buona carriera nell'esercito, mentre Henrik lo accoglie nella sua agiatissima famiglia e gli apre le porte del castello nel quale sarà poi condannato alla solitudine.
E dunque ora, nel 1940, Henrik è pronto a ricostruire davanti a Konrad tutto ciò che ha dipinto nella sua mente in quei quarantuno anni trascorsi senza Konrad e senza Krisztina, da quando l'amico è scomparso e il generale si è ritirato a vivere nel casino di caccia, fino alla morte della moglie, rimasta la sola abitante del castello per gli otto anni successivi alla fatidica giornata di luglio. Henrik non vuole sapere cosa sia accaduto quel giorno, perché è certo di averlo capito benissimo e il suo interlocutore non pare intenzionato a negarlo. Desidera, semmai, comprendere il ruolo di Krisztina negli avvenimenti della mattinata di caccia e, soprattutto, cercare con Konrad di dare un senso alle vicende, al loro rapporto, alla sua inevitabile conclusione, che non coincide però con la fine dell'amicizia stessa, che continua a vivere delle ombre che se ne sono impadronite.
Cosa si può domandare con le parole? E quanto vale la risposta che una persona affida alle parole, invece di esprimerla con la realtà della sua vita?... Vale ben poco. Sono estremamente rare le persone le cui parole coincidono alla perfezione con la realtà della loro vita. Forse è il fenomeno più raro che esista al mondo. A quei tempi non lo sapevo ancora. Non intendo dire che il mondo sia fatto di bugiardi. Penso però che è inutile accumulare esperienze, conoscere la verità, perché non siamo in grado di cambiare la nostra natura di fondo. Forse il massimo che possiamo fare nella vita è adattare alla realtà del mondo, con intelligenza e cautela, la realtà immutabile della nostra natura. Di più non possiamo fare. E neanche questo ci renderà più saggi o più resistenti.
Pubblicato per la prima volta nel 1942, il romanzo di Sándor Márai si ascrive al clima di grandi cambiamenti storici e culturali che segnarono la Finis Austriae e i rivolgimenti successivi, anche se non nella prospettiva viennese cui ci hanno abituati Joseph Roth o Stefan Zweig, bensì nell'ottica di un uomo ungherese. Le braci non è però un romanzo storico, come si evince dalla trama: è una storia di individualità che si incontrano e si scontrano, ma sottende una relazione fra modi diversi di intendere l'esistenza, se è vero che il generale ha sempre riconosciuto nel passato dell'Impero austroungarico e dei suoi valori un baluardo di certezze e nel suo castello la rappresentazione dei suoi ideali, mentre Konrad si è sempre rivelato insofferente a quella vita e ha lasciato che i sentimenti individuali, l'impeto e il desiderio di cambiare erodessero anche un rapporto che per l'altro era sacro quanto il mondo che lo ha dato alla luce. Nella sua brevità, Le braci esplora un caleidoscopio di sentimenti, regala una storia di grandi passioni, di straordinario affetto e di indescrivibile odio, dipana in una prosa ineccepibile, accurata e precisa il moto dei dubbi, delle ipotesi, della ricerca continua che qualsiasi essere umano deve prima o poi affrontare.
Le cose non ci accadono così, per caso. […] Gli uomini contribuiscono al loro destino, a determinare certi eventi. Invocano il loro destino, lo stringono a sé e non se ne separano più. Agiscono così pur sapendo fin dall’inizio che il loro modo di agire porterà a risultati nefasti. L’uomo e il suo destino si realizzano reciprocamente modellandosi l’uno sull’altro. Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo a entrare. Non c’è infatti essere umano abbastanza forte e intelligente da saper allontanare, con le parole o con i fatti, il destino infausto che deriva, secondo una legge ferrea, dalla sua indole e dal suo carattere.
C.M.

Commenti

  1. l' ho adorato. Davvero un ottima lettura.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Spero di trovare altrettanta qualità in altri romanzi di Márai.

      Elimina
  2. L'ho amato, molto. Sono contenta che tu lo abbia poi letto e apprezzato. Se desideri continuare a scoprire questo autore, ti consiglio il bellissimo La donna giusta.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie del suggerimento, sicuramente leggerò ancora Márai. :)

      Elimina
  3. Ti pare che potrei perdermi questo libro? Assolutamente no... ;-)
    Grazie per le tue riflessioni, certo la fine dell'Impero deve essere stato per Márai un evento anche più tremendo rispetto agli scrittori che hai citato, Zweig o Roth e forse perché visto dalla causa ungherese.
    Quanto mi piace la tua foto è proprio scenografica!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono sicura che lo adoreresti, ha tutti gli ingredienti giusti per colpirti.
      Quanto alla foto, mi dispiace non essere brava con il controluce, perché sia l'orologio in primo piano che la casa sullo sfondo erano meravigliosi (scatto rubato alla Germania)! :)

      Elimina

Posta un commento

La tua opinione è importante: condividila!