La camicia nera va ancora di moda

Assistiamo ormai quotidianamente a manifestazioni pubbliche di disprezzo, a dichiarazioni che non solo veicolano un pensiero intollerante, ma sono piene di aggressività e giudizi discriminanti: ne sono artefici gli innumerevoli leoni da tastiera che si nascondono nell'anonimato del web e che dall'apertura della rete traggono presunte giustificazioni a quella che, per loro, è libertà di espressione; ma non si astengono da questi comportamenti nemmeno quei politici che urlano nelle piazze slogan contro le minoranze etniche o la comunità LGBT e traggono una sorniona soddisfazione dalle condivisioni dei contenuti dei loro discorsi che, diffusi con l'intenzione di ridicolizzarli, finiscono però per diventare virali e raggiungere un pubblico più vasto di quello originario.
Ma il nero che è tornato di moda non è solo il colore di voci e urla, perché è sempre di più un nero fatto di gesti e di atti intimidatori concreti, come l'incendio, due volte a distanza di pochi mesi, della libreria La pecora elettrica di Centocelle, nota come locale antifascista: dopo il primo attentato nella notte fra il 24 e il 25 aprile (una data non casuale), il negozio è stato nuovamente colpito il 6 novembre, a un giorno dalla riapertura resa possibile dall'ingente mobilitazione di raccolta fondi a livello nazionale. Se questo secondo atto ha fatto sorgere il sospetto che, più che una matrice politica ci sia alla base dei crimini la volontà di controllo mafioso del territorio, la constatazione di fondo non cambia: i luoghi di cultura e aggregazione intellettuale fanno paura e il rogo dei libri continua ad avere lo stesso significato che ha sempre avuto, fin dai tempi dell'Inquisizione, cioè quello del contrasto alla libertà e alla possibilità di informarsi e scegliere. Quella libertà, insomma, che che è incompatibile con la scelta della massa che si raduna ad ascoltare comizi pieni di luoghi comuni e piogge di insulti mascherate dietro la facciata di qualche valore tradizionale o che se ne sta rintanata dietro uno schermo luminoso a condividere video, tweet e slogan intrisi di qualunquismo, generalizzazioni e pregiudizi.
Questo stesso nero di tendenza ha costretto Liliana Segre a vivere sotto scorta, perché la società italiana è diventata un pericolo per una donna che ha, agli occhi di molti, la colpa di essere sopravvissuta ad Auschwitz, di aver scelto di far conoscere la propria testimonianza e di essere in prima linea per la difesa dei diritti umani, della tolleranza e della lotta all'odio verso le minoranze. La sacrosanta scelta di proteggere la senatrice è però una limitazione della sua libertà, mentre ad essere limitati dovrebbero essere l'azione e gli interventi di chi continuamente la bersaglia di insulti di cui l'antisemitismo è solo una delle tante sfaccettature. Critiche a Liliana Segre perché senatrice a vita pagata con fondi pubblici (formulate, peraltro, da ignoranti che non hanno idea di cosa significhi avere questa carica), aggressioni verbali ad una persona che fin dall'infanzia porta nell'animo i segni della peggiore discriminazione, odio per una portavoce del dovere della memoria e, naturalmente, polemiche per la scelta e i costi della scorta, come se fosse una risoluzione immotivata.
E la notizia della scorta è solo il coronamento di una settimana che ha visto nascere in Senato, su proposta della stessa Segre, una commissione contro il razzismo, l'antisemitismo e le istigazioni all'odio, proposta alla quale sono però mancati i voti dei partiti del centro-destra. Se nemmeno un'iniziativa come questa riceve l'unanimità dei senatori, come si può negare che il problema dell'intolleranza e del negazionismo sia effettivo?
Piazze acclamanti che adottano comportamenti e slogan omologati, roghi, incitamenti all'odio, campagne nazionaliste e demonizzazione di qualsiasi minoranza non sono sufficienti a destare preoccupazione?
Per alcuni parlare di fascismo in relazione alle vicende dell'attualità italiana è fuori luogo, un'esagerazione, uno strumento retorico. Ma dobbiamo ricordare che il fascismo non si è manifestato solo in situazioni chiaramente individuabili e materialmente definite come le leggi razziali, le imprese belliche nazionaliste, le segregazioni e i campi di sterminio, ma anche in atteggiamenti molto più subdoli e penetranti, come l'esaltazione del leader, la propaganda a suon di motti e frasi fatte, la continua ricerca di capri espiatori da accusare delle peggiori sventure, la fomentazione di espressioni verbali violente, la repressione della libertà intellettuale e la spinta all'omologazione. Tutti comportamenti che non lasciano lividi, ma che insinuano il nero nel profondo dell'animo.
Restare indifferenti a queste manifestazioni, minimizzarle o ritenerle fantasia di qualche mitomane disturbato e desideroso di resuscitare vecchi fantasmi o lo spirito partigiano significa contribuire alla loro diffusione. 

«Nel mondo reale gli armati esistono, costruiscono Auschwitz, e gli onesti ed inermi spianano loro la strada; perciò di Auschwitz deve rispondere ogni tedesco, anzi, ogni uomo, e dopo Auschwitz non è più lecito essere inermi.» (Primo Levi)
C.M.

Commenti

  1. Purtroppo questi episodi sono il segno del dilagare progressivo di tanta ignoranza e cattiveria che non ha né colore né partito politico o genere che sia e lo si vede anche negli ambienti più piccoli. Già quando esco di casa mi rendo conto che gran parte di quella cultura (che quando era piccola ancora resisteva un poco), ora non c'è più.
    Riguardo alla brutta situazione di Roma posso dire che i politici (tutti e intendo tutti perché Roma ne ha visti "di tutti i colori") sono anche contenti di "bollare" questi fatti come "razzismo o discriminazione" in modo da potersene lavare le mani (non rinunciando comunque alla pubblicità) e lasciare il territorio in balìa di bande criminali che se ne contendono le parti. Hai ragione, la situazione è preoccupante perché quando uno Stato è assente tutto può diventare legale.

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    1. Hai giustamente evidenziato che il problema è culturale: ormai nessuna voce autorevole in fatto di storia, memoria e diritti (come tutte le voci autorevoli in genere, ahinoi) viene più ascoltata, oggi tutti possono parlare impunemente di qualsiasi cosa e arrivare ad offendere chiunque, senza limiti. Manca un'educazione etica e questo fa comodo a molti che stanno in alto e che, anzi, dovrebbero impegnarsi a contrastare questi fenomeni allarmanti. Ciò che mi preoccupa è che, mentre negli anni del fascismo e degli oscurantismi di ogni epoca e provenienza si poteva ricondurre una parte della responsabilità all'ignoranza di quasi tutti coloro che sono stati indifferenti o complici di fronte a discriminazione e attività varie, oggi gli strumenti per uscire da questa nebbia di coscienza esistono tutti, ma tanti si fanno vanto della scelta di rifiutarli e, quindi, cadono fra le braccia dei peggiori fomentatori di odio.

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  2. Ho letto questo tuo post agli alunni, perché descrive in modo chiaro ciò che stiamo vivendo. È come se fosse stata sdoganata quella parte di cittadini italiani che da sempre, per più generazioni, sono state simpatizzanti del fascismo. E noi lo ignoravamo. Siamo stati ingenui, i social hanno dato voce alla realtà di questi fanatici, aizzati da capipopolo della peggiore specie. Avremmo mai immaginato di trovarci in queste ambasce? Sembra ancora tutto così incredibile, eppure sta succedendo.

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    1. Io no, non avrei mai immaginato un simile degrado culturale. Qualche anno fa pensavo che il male più grande proveniente dai social fosse la tentazione delle frivolezze e di qualche personaggio di dubbio talento che irretiva masse di giovani e giovanissimi scimmiottando qualche tormentone demenziale. Temevo, insomma, che il maggior pericolo fosse l'essere distolti da ciò che è davvero importante in favore di cumuli di sciocchezze. Invece ora mi accorgo che queste piazze virtuali hanno assunto una pretesa di serietà e si spacciano per fonti autorevoli e influenti di pseudo-informazioni politiche e sociali, insulti e pregiudizi più o meno evidenti. In poco tempo il web ha dato voce a persone incapaci di misurare la portata delle loro azioni comunicative e ad altre fin troppo brave a prevederla.
      Grazie per esserti fermata a dare il tuo contribuito e per aver avuto tanta fiducia da portare questo intervento fra i banchi.

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  3. In genere, quando mi confido con qualche conoscente, esternando tutta la mia preoccupazione per quel "nero" di cui parli, ricevo risposte di sufficienza, che nascondono l'idea del mio interlocutore che io mi stia preoccupando senza motivo.
    Invece no, sono preoccupato, e molto, e vorrei che molta più gente lo fosse. I prodromi che autorizzano a pensare che si possa ripetere ciò che è successo settant'anni fa ci sono tutti, e solo chi non li vuol vedere (o non riesce a vedere) non li vede.

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    1. Condivido questa preoccupazione non solo per questa aggressività ma anche per l'indifferenza e la tendenza a minimizzare i segni di allarme, anch'esse, purtroppo, molto diffuse.

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