Un po'di Giappone a Rovigo: riflessi di un'Europa nippomane

Chiuderà domani sera, con apertura straordinaria fino alle 23.30, la mostra che Palazzo Roverella ha dedicato alle influenze del Giappone sull'arte europea a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Giapponismo. Venti d'Oriente nell'arte europea (1860-1915) è una grande esibizione che a una settimana dalla calata del sipario ha superato i 45.000 visitatori e che si colloca sulla scia di precedenti rassegne di successo della sede espositiva rodigina, come L'ossessione nordica, I Nabis, Gauguin e la pittura d'avanguardia o quella dedicata alle Secessioni europee.

Emil Orlik, Paesaggio con il Monte Fuji in lontananza (1908), olio su tela

Da appassionata del Giappone, non potevo perdermi questo evento così vicino, ma, per un motivo o l'altro, mi sono ridotta a godermelo proprio alla fine; questo procrastinare, tuttavia, ha significato poter vedere la mostra in un giorno infrasettimanale, così da evitare l'affollamento e le lunghe code che hanno caratterizzato i weekend e il periodo delle festività natalizie.
Gustav Klimt, Tripode volante
(1897-1898), china e tempera su carta
Il percorso allestito a Palazzo Roverella grazie all'Accademia dei Concordi e alla Fondazione Cariparo in unione al Comune di Rovigo ripercorre le tappe dell'influenza della cultura nipponica sull'arte e l'artigianato del Vecchio Continente come conseguenza dell'apertura delle frontiere seguita alla fine dello shogunato Tokugawa e all'avvento del progetto di modernizzazione Meiji. 
Suddivisa in quattro sezioni (quante furono le Esposizioni Universali determinanti nell'incontro culturale), la mostra si concentra sulle varianti geografiche di questo influsso, osservandone la ricezione in Francia, Belgio e Olanda, nella Mitteleuropa, in Inghilterra e in Italia e soprattutto accostando le contaminazioni puramente pittoriche alle cosiddette arti minori, così da rendere giustizia ai motivi orientali riportati nella produzione ceramica, nei vetri, negli oggetti d'uso comune, come scrittoi, sedie, paravento e cassepanche.
Va infatti ricordato che la penetrazione di motivi, forme e suggestioni del Paese del Sol Levante non si è limitata alle arti figurative, ma si è innestata sulla riflessione anti-industriale che ha portato anche gli stessi Secessionisti o il movimento Arts and Crafts d'oltremanica a rivalutare la produzione materiale e la sua unicità.
Arricchisce il viaggio in questa esperienza di incontro artistico il passaggio in una vera e propria galleria di prodotti giapponesi che vanno dalle celeberrime xilografie ukyio-e ai quaderni di manga, dal vasellame decorato con motivi benauguranti come uccelli variopinti o carpe fino ai campionari di motivi che venivano usati per riprodurre motivi tipicamente nipponici e alle else delle spade dei samurai (tsuba), pregiati ornamenti svenduti dopo la dissoluzione del mondo feudale in cui avevano trovato il loro significato.

Jan Peske (attribuito), Donna sdraiata sotto gli alberi (1898 ca.), tempera su tela

La japonaiserie, termine coniato da Edmond de Goncourt nel 1884, influenzò sia gli impressionisti che gli esponenti dell'Art Nouveau, ma riuscì anche a mettere d'accordo entrambe queste correnti con le più ardite e impetuose, come il Futurismo. Gli Europei entrarono in contatto con le arti figurative giapponesi grazie alle xilografie ukyio-e già negli anni '20 dell'Ottocento, ma fu nella seconda metà del secolo che nacque una vera e propria moda orientaleggiante. 
Gustav Henri Jossot, L'onda
(1894) litografia
Pare che il merito dell'esplosione dell'interesse verso il mondo nipponico sia da ricondurre alla fortuita scoperta di un libro di manga di Katsushika Hokusai le cui pagine, particolarmente elastiche, sarebbero state usate per incartare delle porcellane giapponesi e che avrebbero offerto lo spunto per riprodurre temi, figure e motivi orientali agli artisti francesi; sarebbe stato però il pittore americano James Whistler, acquirente di ceramiche e kimono a Parigi, a inserire per primo nei suoi dipinti oggetti e sfondi giapponesi.
Il Japonisme fu inizialmente una moda che portò all'introduzione di singoli oggetti o motivi nei dipinti: dal 1860 le tele si riempirono di ventagli, paravento, abiti di foggia orientale, kakemono o stampe riconducibili ai soggetti dei maestri Hokusai e Hiroshige, poi, gradualmente, delle xilografie orientali vennero riprodotti anche gli stili e le pose, con ritratti femminili che rievocano la geishe delle stampe nipponiche e animali come pesci, passeri, pavoni e gru ripresi secondi gli scorci energici e simbolici delle scuole d'arte dell'Estremo Oriente.
Anselmo Bucci, Il kimono (1919), olio su tela
Se gli impressionisti furono attratti soprattutto dall'attenzione per la natura e i paesaggi che hanno generato serie di rappresentazioni come le immumerevoli Vedute di Edo, i modernisti rimasero colpiti più dall'essenzialità e dalla pulizia grafica, che li portò ad applicare la calligrafia giapponese alle arti minori, alla cartellonistica pubblicitaria e ai frontespizi di materiali a stampa. Fu così che, da un avvicinamento cauto e vezzoso, il Giapponismo divenne uno spunto adattato da ciascun movimento e da ciascun artista secondo una visione e una funzione personali, tali da adattarsi sia all'innovazione di forme neoclassiche e preraffaelite così come al simbolismo Nabis o alla stilizzazione Art Nouveau.
La mostra accoglie artisti più e meno noti, giapponesi ed europei, dipinti, manifesti e oggetti artigianali. Fra i capolavori esposti, per citarne solo alcuni, si trovano opere di Vincent van Gogh, Paul Gauguin, Claude Monet, Gustav Klimt, Albert Joseph Moore, Emil Orlik, Galileo Chini, Felice Casorati, Giuseppe De Nittis, Giacomo Balla, Katsushika Hokusai, Utagawa Toyokuni e Kamisaka Sekka.

Vincent van Gogh, Ulivi a Montmajour (1888), inchiostro su carta

Giapponismo è stata l'esperienza più bella fra i percorsi d'arte organizzati negli ultimi anni a Palazzo Roverella: mi ha fatto respirare di nuovo la cultura giapponese, mi ha permesso di addentrarmi nelle pieghe di un incontro culturale di cui sapevo prima molto poco e che non immaginavo così articolato, vario e complesso. 

Achille Laugé, Rami di melo in fiore (1905-1910), olio su tela

C.M.

Commenti

  1. È un peccato che quest'arte non venga studiata a scuola (o perlomeno parlo per quanto concerne il mio percorso...); traspare proprio un modo diverso di osservare le cose rispetto ad artisti di periodi affini presenti in Europa

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    1. Ah, questo è l'annoso problema dell'incompatibilità fra i tempi scolastici e la vastità degli stimoli culturali che meritano di essere trattati. Io ho un lontano ricordo di vaghi accenni ad una moda orientaleggiante (ma più che altro in riferimento alle "cineserie") ed è un peccato non aver avuto modo di approfondire le influenze giapponesi su dipinti anche molto famosi degli Impressionisti o sul Modernismo. Ciò nonostante non posso lamentarmi dei miei studi liceali di storia dell'arte: a volte basta una buona impostazione per far sì che, di fronte a sollecitazioni come mostre di questo tipo, le connessioni si creino da sole.

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  2. L'ho vista qualche tempo fa e mi è piaciuta moltissimo!

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    1. È davvero un progetto affascinante, merita tutto il successo che ha avuto!

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