Eugenia - Lionel Duroy

Poco meno di due anni fa mi imbattevo per la prima volta nel versante romeno della Shoah, leggendo attraverso le pagine del romanzo Da duemila anni di Mihail Sebastian dell'antisemitismo e dell'affermazione del movimento fascista della Guardia di ferro, cui avrebbe fatto seguito il colpo di stato del generale Ion Antonescu.
Mihail Sebastian è uno dei personaggi di Eugenia, il romanzo di Lionel Duroy che si cala nello stesso scenario storico, presentandoci una coraggiosa studentessa che, nel pieno della dittatura e della guerra, diventa consapevole degli orrori e dei crimini commessi dal regime romeno e prende parte attivamente alla resistenza quando si rende conto che da semplice giornalista non può contribuire ad alcun cambiamento. Il libro, recentemente pubblicato da Fazi editore e tradotto dal francese da Silvia Turato, contribuisce a farci conoscere una pagina di storia marginale rispetto agli eventi più noti degli anni del nazifascicmo, ma non meno cruda.
Il romanzo si apre con la notizia della morte di Mihail Sebastian in un incidente stradale, nel 1945. Eugenia riceve la notizia da suo fratello e subito si mette a scrivere le sue memorie, con accanto il diario di Sebastian, ricostruendo le vicende personali e storiche dal momento in cui la sua strada si è incrociata con quella dello scrittore. Inizia così un lungo flashback intervallato da qualche riflessione successiva alla morte di Sebastian.
Quella scena mi lasciò dentro un’emozione, o una rabbia, che non ero capace di arginare. Tremavo. Dovetti scendere dalla bicicletta e sedermi sul bordo del marciapiede. Come faceva la gente a credere… E io, come avevo fatto, a sedici o diciassette anni, a non trovare niente di strano nel fatto che un ebreo della mia età potesse farsi massacrare di calci su un marciapiede? Come avevo fatto, in un momento della mia vita, a pensare che gli ebrei non fossero nostri eguali, che non fossero a tutti gli effetti persone come noi, che li si potesse picchiare impunemente, quando non addirittura uccidere? Come se alla fine non fossero altro che cani. Se non avessi incontrato Irina, sarei forse stata in mezzo a quella folla a insultarli?
Crediamo ciecamente alle parole dei nostri genitori, e a nostra volta crescendo le riprendiamo per trasmetterle ai nostri figli. Perché è così difficile andare contro quelle parole, risvegliarsi al dubbio e poco alla volta alla coscienza di una “verità” diversa?
Nel 1935 Eugenia è una giovane studentessa proveniente da una famiglia di commercianti di Iași (cittadina romena oggi al confine con la Moldavia), cresciuta con la testa piena di luoghi comuni sugli ebrei: i Romeni tengono a precisare che gli ebrei non sono come loro, che hanno interessi diversi, che costituiscono una nazione nella nazione. Anche se nel corso della prima guerra mondiale hanno combattuto e sono morti come tutti gli altri Romeni. Anche se in città come Iași costituiscono la metà o oltre della popolazione e sono parte della familiare quotidianità di tante famiglie come quella di Eugenia (Jana, come la chiamano i genitori e i fratelli), i Rădulescu. Un giorno la professoressa di letteratura romena Irina Costinas invita ad una lezione Mihail Sebastian, che ha già pubblicato Da duemila anni; l'intervento di Sebastian viene interrotto dall'irruzione in aula di un gruppo di giovani armati di bastone che gridano «Fuori i giudei! A morte gli ebrei e chi li protegge!», che insultano e picchiano lo scrittore, salvato solo dall'intervento dell'insegnante e di Eugenia. Fra i facinorosi Jana riconosce alcuni amici di suo fratello Ştefan, acceso simpatizzante della Guardia di ferro di Corneliu Codreanu e, di fronte alla violenza, avverte che le idee antisemite che fino a quel momento ha udito circolare in casa sua ma che non sembravano altro che dei pregiudizi senza ripercussioni reali stanno ormai diventando carburante di odio, pestaggi e azioni cruente capaci di produrre stragi come il pogrom russo di Chișinău all'inizio del secolo. Al termine degli studi Eugenia trova lavoro in un'agenzia di stampa e stringe sempre di più i rapporti con Mihail, nei confronti del quale matura un amore che - lei lo sa benissimo - non potrà mai essere ricambiato, perché nell'animo di Mihail c'è solo la bellissima e volubile attrice Leny. Da giornalista, Eugenia segue da vicino la politica romena: documenta le inefficaci azioni del re nei confronti dei sostenitori di Codreanu e dei suoi avversari, l'indulgenza di cui i fascisti della Guardia di ferro godono anche dopo la morte del loro leader, l'atteggiamento ambiguo di Antonescu e il ribaltamento della monarchia da parte del dittatore, infine l'alleanza della Romania con Hitler e il contributo che Antonescu decide di dare all'Operazione Barbarossa, al solo scopo di riguadagnare i territori strappati dai Sovietici nella Bessarabia. Eugenia è sempre più preoccupata per Mihail, che, mentre monta l'antisemitismo, si rintana in casa e si affida a dei prestanome per continuare a far pubblicare e mettere in scena i suoi drammi. Nel maggio del 1941, mentre si prepara l'invasione tedesca della Russia, Eugenia viene mandata a Iași per seguire i preparativi, ma si trova a documentare non tanto l'impresa militare cui i suoi connazionali (fra i quali l'amato fratello Andrei) partecipano, bensì le violenze contro gli ebrei che, accusati di essere la quinta colonna dei sovietici e di guidare con torce e contatti clandestini le incursioni aeree, vengono sottoposti ad una feroce strage. Eugenia firma immediatamente un articolo in cui parla di pogrom, ma si trova subito dalla parte del torto, perché nessun altro giornalista fornisce quella versione dei fatti, infatti tutti, persino l'autorevole Curzio Malaparte, che alla fine dell'Operazione Barbarossa avrebbe documentato in Kaputt il massacro antisemita, sostengono la versione ufficiale delle autorità: gli ebrei morti a Iași hanno aperto il fuoco sulle forze armate romene e sono stati uccisi di conseguenza. Jana intraprende una dura battaglia per l'affermazione della verità, ma nemmeno la sua famiglia, profondamente scossa dall'accaduto, è disposta a riconoscere che quello che si è consumato è un vero e proprio pogrom.
Lionel Duroy firma un appassionante romanzo che delinea con chiarezza lo sviluppo delle vicende attraversate dalla Romania negli anni '30-'40, compreso l'altalenante atteggiamento del regime di Antonescu nei confronti della Germania di Hitler, scelta come male minore e tradita non appena le sorti della guerra si sono volte a favore degli Alleati. Eugenia costituisce un solido complemento a quella visione della società romena che Mihail Sebastian offre nel suo romanzo Da duemila anni, trovandosi, come il protagonista di quel libro, a documentare la silenziosa e inesorabile affermazione dell'antisemitismo e l'impossibilità degli ebrei di definirsi davvero connazionali dei Romeni perché da questi rifiutati, nonostante la condivisione di luoghi, ricordi e sofferenze. 
Se nella prima metà del romanzo sembra quasi che Eugenia sia solo il pretesto per introdurre nel romanzo la figura di Sebastian, si capisce poi che la relazione della giovane donna con lo scrittore è fondamentale affinché ella diventi cosciente della necessità di agire. Jana non riesce a spiegarsi come Mihail e tanti altri ebrei rimangano in attesa, immobili, arrendevoli di fronte ad un odio che cresce e ad una violenza che diventa sempre più grande; non comprende perché non si uniscano tutti alla resistenza, perché per lei morire cercando di fermare i fascisti è preferibile ad aspettare di essere massacrati. L'immobilismo di Mihail la spinge ad affrontare a testa alta Ştefan, la madre che lo difende, coloro che hanno ordinato il pogrom e che negano che di pogrom si tratti, i generali che il lasciapassare di giornalista le permette di incontrare.
Il lettore di Eugenia non potrà non chiedersi come una verità tanto evidente sia stata mascherata e come le popolazioni di intere città abbiano potuto convincersi che le uccisioni e le deportazioni di massa non fossero le conseguenze delle idee antisemite che hanno a lungo ritenuto innocue. Eugenia è allibita di fronte all'ostinazione di chi, come i suoi stessi genitori, nega che quelle frasi sugli ebrei diversi, sui giudei che non possono essere connazionali possano essere l'anticamera di efferati crimini che coinvolgono uomini, donne e bambini. Del resto lo stesso Mihail è circondato da intellettuali ai quali è molto legato e che ricambiano la stima, ma che non perdono occasione per profondersi in interventi antisemiti, come fanno Mircea Eliade e Nae Ionescu, quest'ultimo capace di firmare una prefazione antigiudaica a Da duemila anni nonostante Sebastian sia stato suo allievo. E così restiamo allibiti noi lettori, che davvero non possiamo più credere che quanto accadeva nell'Europa fascistizzata degli anni '30 e '40 passasse inosservato, che le responsabilità non fossero ben più diffuse di quanto si è disposti ad ammettere.

Ebrei arrestati a Iași nel giugno 1941
«Mi aggrappo al dolore, hai ragione, perché non posso sopportare l'idea di dimenticare questi anni per me così indissolubilmente legati a Mihail. Dimenticare la nostra disumanità, con la scusa che la Storia si è improvvisamente rovesciata e che di sicuro non succederà più. Non succederà più che uccideremo gli ebrei perché sono ebrei e gli zingari perché sono zingari, e così via. Vorrei tanto crederci, ma sono cose davvero successe, e sotto ai nostri occhi.»
C.M.

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