L'albero della vergogna - Ramiro Pinilla

Cosa rappresenta per Rogelio Cerón l'albero il fico che ha deciso di sorvegliare per anni? E dove vanno a finire gli abbondanti frutti che ogni anno produce ma che né Rogelio né altri sono autorizzati a mangiare? E perché Ficodindia o Txominbedarra (come molti lo hanno soprannominato) ha scelto proprio quel luogo nella piana di Fadura per diventare una sorta di eremita in grado di attirare pellegrini da tutto il circondario?

Per far luce su questo mistero, che arriva alla sua conclusione negli anni '60, bisogna ascoltare le voci della maestra Mercedes Azkorra e dello stesso Rogelio, che riportano il lettore alle drammatiche vicende della guerra civile spagnola, in particolare al 1937, l'anno della caduta dei Paesi Baschi in mano ai franchisti. A Getxo Rogelio fa parte di un manipolo di falangisti che si è incaricato dell'eliminazione degli oppositori, nazionalisti baschi o socialisti che siano. A colpire in particolare Mercedes è la sparizione di Simón Solaun e del suo primogenito sedicenne Antonio, abitanti di una casa nella piana di Fadura: Mercedes, maestra di Karmele Solaun, apprende che i falangisti hanno fatto irruzione nell'abitazione, portando via i due maschi adulti con l'accusa di adesione al socialismo. Come accaduto per molti altri, di loro non si è più saputo nulla e le donne di casa Solaun si sono chiuse nel loro dolore e nella loro casa, sperando di non attirare ulteriori attenzioni da parte dei franchisti, in attesa che il delatore, Joseba Ermo, prenda possesso della loro terra in cambio della collaborazione con i ras. Solo Gabino, un bambino di dieci anni, esce regolarmente ogni notte dopo la sparizione dei familiari, portando con sé un innaffiatoio. Attraverso Rogelio scopriamo che Gabino ha trovato e sepolto da solo i cadaveri di suo padre e suo fratello, lasciati in un campo dopo l'esecuzione. Rogelio avverte come una maledizione nello sguardo di Gabino fisso su di lui dal momento della cattura dei familiari e poi ogni notte in cui lo ritrova a risistemare e proteggere la fossa e a cercare di far attechire sopra di essa delle talee o dei germogli di fico. Rogelio legge in quello sguardo un monito, la promessa di una vendetta destinata a consumarsi quando Gabino avrà l'età di suo fratello Antonio, quando, cioè, diventerà adulto. Inizia così un percorso di espiazione che Rogelio si impone da solo, notte dopo notte, al contatto con quel bambino che non parla mai; tale missione continua anche dopo l'entrata di Gabino in seminario, quando Rogelio rimane il solo ad occuparsi della fossa e dell'albero. Gli altri falangisti non capiscono cosa accada al loro compagno, ma anno dopo anno l'attaccamento di Rogelio all'appezzamento nella piana di Fadura e la sua scelta di stabilirvisi con la sola compagnia di un materasso, di una baracca, di una sedia e di una statuetta della Madonna, desta in loro sospetti e malumori, al punto che cercano in ogni modo di farlo allontanare e di riportarlo alla ragione. Il fico che cresce sulle tombe diventa, infatti, uno scomodo monito: la folla di pellegrini che giungono con offerte per farsi benedire dall'eremita dell'albero, sebbene pochissime persone siano al corrente del segreto che giace sotto il fico, mantiene viva la preghiera e la memoria di coloro che sono stati uccisi dai franchisti e, con essa, quella della guerra civile, delle vendette e delle scie di sangue.
Legioni di Aurore sono state concordi nel silenzio: nonne, madri, sorelle, zie che tenevano la bocca chiusa nell'angosciosa necessità di non nominare il terrore per cancellarlo. Oggi, molti anni dopo, il sequestro e l'assassinio di familiari continua a essere un argomento tabù nelle cucine; figli e nipoti delle nove generazioni vogliono sapere dettagli che nessuno gli racconta, e così, a loro volta, tacciono.
L'albero della vergogna di Ramiro Pinilla (1923-2014), pubblicato da Fazi nella traduzione di Raul Schenardi, rappresenta il mio secondo incontro narrativo con le vicende della guerra civile spagnola. Il primo fu, tanti anni fa, Per chi suona la campana di Ernest Hemingway, che non riuscì allora ad appassionarmi. Quella, però, era una storia di guerriglia, mentre Ramirlo Panilla, attraverso le pagine di questo romanzo, fa leva sugli strascichi degli scontri, sull'odio che agisce sugli oppositori e i nemici ma che, a conclusione delle vicende belliche, minaccia di riaccendersi nelle vittime e negli antichi aguzzini come il fuoco trattenuto dalle braci sopite.
Ramiro Pinilla, autore che ha scelto per molto tempo la riservatezza, ha però ottenuto grande successo di critica e annovera fra i suoi estimatori anche Fernando Aramburu, autore dell'acclamato romanzo Patria. L'albero della vergogna è il primo romanzo pubblicato anche in Italia e offre un'ottima presentazione del suo autore, che si rivela un narratore capace di avvincere il lettore anche in una situazione piuttosto ripetitiva, dal momento che il racconto è quasi interamente occupato dalle riflessioni di Rogelio in veste di guardiano del fico. Attraverso le pagine de L'albero della vergogna il lettore non solo ha modo di conoscere in modo più concreto le vicende della guerra civile spagnola, riuscendo a rapportarle a situazioni reali o versimili di tante persone investite dalla violenza franchista, ma si trova anche a riflettere sulle conseguenze di lunga durata delle lotte sopite, che generano sensi di colpa, delirio, recrudescenze di odio e incubi.
È il 1941 e il fico ha compiuto quattro anni. È un piacere vederlo, con i suoi due metri d’altezza e undici rami lunghi altrettanto, ciascuno che parte dal tronco alla conquista del mondo. Non mi stanco mai di guardarlo. Sposto la sedia dalla baracca e me ne sto seduto per lunghe ore ad ascoltarlo crescere. Lui contraccambia regalandomi l’ombra che scende dalle prime foglioline verdi e ruvide, a partire dal mese di marzo, o dalla fitta frondosità estiva e autunnale, dato che ha oltrepassato i confini della tomba. Gli parlo, tutti i vegetali dialogano con chi si rivolge loro da amico. A parte la tomba, io sono quello che ha più vicino a ogni ora del giorno e della notte. Anche lui mi parla: e non mi riferisco al ridicolo fruscio delle foglie agitate dalla brezza, ma a messaggi visceralmente vegetali che provengono dal suo interno, dalle sue parti più tenere, dalla sua linfa… dalla sua anima?
C.M.

Commenti

  1. Devo dire che presenti sempre letture interessanti e con uno sfondo rilevante; non ho mai letto nulla di ambientato nella guerra civile spagnola, nemmeno appunto Per chi suona la campana di Ernest Hemingway

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    1. Le vicende delle dittature iberiche sono marginali rispetto alla storia che ci abituiamo a studiare a scuola, eppure l'intreccio con le maggiori dittature nazionaliste del nazismo e del fascismo dovrebbe renderle più interessanti ai nostri occhi: in un certo senso, è come se fossero considerate esperienze meno gravi di quelle vissute dal resto d'Europa, quindi è positivo che la narrativa le riporti al centro dell'attenzione e restituisca loro lo spessore che hanno purtroppo avuto. In questo romanzo, poi, c'è una particolare attenzione all'area basca, quella che Picasso ci ha fatto conoscere con Guernica, della quale mi è sembrato importante sapere di più. Chissà che un giorno non riprovi con Hemingway...

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  2. A me è piaciuto, anche se non mi ha entusiasmato.
    Non conoscere bene la storia spagnola mi ha reso la lettura un po' ostica all'inizio...

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    1. Anch'io ho avuto qualche difficoltà a comprendere i ruoli dei vari personaggi, con quei riferimenti ai socialisti, ai nazionalisti baschi e ai ras franchisti: è una parte di storia con la quale quasi tutti noi abbiamo poca confidenza, soprattutto se la confrontiamo con le coeve vicende che si sono svolte fra la Francia, la Germania e l'Italia, per questo il romanzo di Pinilla mi ha dato lo stimolo di informarmi un po'di più.

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