La scuola al tempo del coronavirus

In questi giorni di mesto ma necessario isolamento ci siamo tutti abituati all'espressione Didattica a distanza, l'ennesima prova che il nostro sistema educativo deve affrontare, stavolta con una pesante ricaduta sull'intera società, con intere famiglie coinvolte nell'assistenza a bambini e ragazzi nello studio, anche in quella parte della giornata che prima era gestita interamente dagli insegnanti.
Non stiamo a scomodare personaggi come Alessandro Barbero o Enrico Galiano, fra i primi a sottolineare in questo frangente straordinario che non esiste equivalenza fra insegnamento a distanza e in presenza, per argomentare la necessità di un contatto col discente per produrre una vera, efficiente e continua azione educativa. Si tratta di un'evidenza, di un dato di fatto che, tuttavia, è bene rimanga al centro dell'attenzione, perché il rischio, se ci lasciamo troppo prendere la mano - anche in questo campo - dalla tecnologia è che un domani bastino degli schermi luminosi, videoconferenze e chat a sostituire le classi reali.
Nonostante tutto, però, l'azione virtuale si è resa necessaria ed è doveroso per noi insegnanti fare tutto il possibile per far sì che, mentre la scuola come edificio è chiusa, la scuola come comunità continui la propria attività. L'importante è sottolineare che si deve fare, appunto, il possibile e che ci sono limiti personali, strumentali ed economici che ostacolano le azioni didattiche a distanza.
 

Molti degli istituti che già prima del fatidico 23 febbraio si erano organizzati promuovendo l'uso di social network, piattaforme di e-learning e webinar, sono partiti immediatamente con proposte di didattica a distanza, talvolta incrementando dei sistemi già collaudati e utilizzati. Tuttavia non tutte le scuole d'Italia hanno lo stesso grado di aggiornamento tecnologico, non tutte dispongono di abbonamenti a piattaforme specifiche per l'apprendimento a distanza o di repertori di risorse già noti in tutte le loro potenzialità. E anche fra gli insegnanti si presentano situazioni molto diverse: da una parte coloro che hanno una grande esperienza e un'alta formazione nell'utilizzo di questo tipo di strumenti, dall'altra coloro che non hanno mai avuto occasione di entrarvi in contatto. Nel mezzo, un grande insieme di insegnanti che in autonomia e da autodidatti hanno già una qualche pratica con singoli software o piattaforme, che non sempre è così facile mettere a disposizione degli alunni da un giorno all'altro.
Penso che sia necessario far chiarezza su cosa significhi per un docente e per alunni (e famiglie) non preparati alla didattica a distanza trovarsi all'improvviso a gestire attraverso un pc quel complesso insieme di azioni educative che partono con la progettazione e finiscono con la valutazione. Sì, perché da fuori, soprattutto nei primi giorni di ferma delle attività scolastiche, sembrava che tutto stesse alla buona volontà dei docenti. Ma la questione non è così semplice.
Escludiamo immediatamente l'argomento valutazione dalla nostra riflessione, innanzitutto perché nella scuola del 2020 forse sarebbe tempo di riflettere su cosa viene valutato, allargando il concetto, ma evitando di includervi certe prove da parco giochi tanto in voga negli ultimi anni, in secondo luogo perché la questione è estremamente delicata, dato che a distanza intervengono supporti di ogni genere nello svolgimento di prove, scritte o orali che siano. La questione, immagino, si presenterà a giungo con tutte le sue spine.
Concentriamoci dunque sulla progettazione e lo svolgimento degli interventi. Il piano di lavoro che i docenti stilano all'inizio dell'anno scolastico è diventato indubbiamente inefficiente in questo nuovo contesto: le previsioni degli argomenti da affrontare e della loro scansione sono subito andate a farsi friggere, mettendo in crisi gli insegnanti e di certo molto meno gli alunni. Il primo problema che ci poniamo, dunque, è la scelta di ciò che si può sacrificare, rimandando all'anno prossimo o sopprimendo contenuti, esercizi, esperienze e progetti.
Ma contenere il programma non è poi la difficoltà maggiore. Individuate le attività da svolgere, si comincia a fare i conti con i problemi tecnologici: davvero stiamo usando la piattaforma più giusta per gli scopi che vogliamo raggiungere? E i nostri alunni, senza che li possiamo affiancare, saranno in grado di accedere ai portali e ai materiali segnalati? Per non parlare dell'instabilità della connessione e dei blocchi dei servizi di social-learning, dei luoghi virtuali più frequentati per il caricamento di risorse didattiche e degli stessi registri elettronici: ogni sito normalmente utilizzato nella vita scolastica è in questo periodo preso d'assalto e non è raro che sia impossibile accedervi.
C'è chi prepara sintesi e dispense di appunti, chi si dà alle letture registrate, chi sacheggia youtube e chi si improvvisa youtuber, chi acquista corsi per piattaforme di webinar, chi si ingegna con skype, chi assegna e corregge febbrilmente, uno per uno, tutti gli esercizi fondamentali almeno a mentenere oliati gli ingranaggi della mente.
In tutto questo c'è chi riesce meglio e più velocemente, chi lotta contro la tecnologia e l'inesperienza. Questo momento di stallo sta mettendo in evidenza le fraglità strutturali dei servizi pubblici del Paese: sappiamo bene quanto siano in sofferenza gli ospedali e insufficiente il numero degli operatori, dai medici agli infermieri; vediamo come le forze dell'ordine e l'esercito fatichino a mantenere il controllo e la sicurezza di strade e ambienti delicati come le carceri. Insieme a tutto questo vediamo anche l'inadeguatezza del sistema scolastico. Stiamo vedendo, insomma, tutti gli effetti dei tagli alla spesa pubblica in settori dei quali per tanto tempo ci è stato detto che avevamo meno bisogno di quanto effettivamente ne avessimo. Quelle per la sanità, la sicurezza e la scuola sono state per tanto tempo spese inutili e via ai tagli. Non sto dicendo che insegnanti, medici, infermieri, poliziotti o carabinieri siano personalmente inadeguati, ma che il problema è strutturale: della scuola, della sanità, della sicurezza.
Il problema è che gli insegnanti, con l'eccezione di poche virtuose realtà, sono stati lasciati a se stessi nella formazione: quasi tutti hanno seguito corsi o intrapreso singolarmente l'uso di questo o quello strumento, ma sono mancate iniziative pervasive di formazione e non si è ancora affrontato seriamente il problema della privacy nell'uso dei servizi digitali. Ogni casa editrice propone strumenti digitali, il web è pieno di piattaforme gratuite di condivisione, basta digitare tre parole su google perché si apra un mondo, ma è improponibile che in una stessa scuola ciascun docente usi gli strumenti che lui conosce, gli strumenti abbinati al libro di testo che lui ha adottato, i software che lui preferisce, senza una rete di condivisione, senza delle linee comuni, senza una riflessione che porti a capire quale risorsa sia più utile in ciascun contesto. Non è neanche pensabile riempire gli studenti di link e costringerli a iscriversi a tutti i portali per l'accesso ai contenuti digitali dei libri.
Questo è solo un piccolo assaggio della difficoltà di selezione degli strumenti, difficoltà nuove e tanto più grandi ora che si è bombardati da offerte diverse e dalla necessità di scegliere quella da utilizzare in poco tempo.
Proprio il tempo è un altro problema: ciò che si sarebbe fatto in una normale lezione si dilata in un numero indefinito e imprevedibile di ore fra preparazione del materiale, tentativi di condivisione, risposte, e feedback di questo o quell'alunno che non li ha trovati, non è riuscito a scaricarli o non ha il programma giusto per aprire file o video. Ma le richieste di chiarimento e aiuto arrivano a rilento, ore o giorni dopo la condivisione, qualcuno si perde nel marasma di ciò che viene condiviso, perché sì, dobbiamo tutti regolarci e darci dei limiti rispettosi dei ritmi di lavoro dei nostri ragazzi, ma, allo stesso tempo, ci viene chiesto di dimostrare ciò che facciamo e il mondo esterno crede che molti di noi siano in vacanza.
E questi sono solo alcuni dei problemi dei docenti. Poi ci sono quelli degli alunni e delle famiglie, spesso disorientati perché manca una scansione normale del lavoro che comunque va svolto, perché sul registro si rischia che qualcosa di condiviso sfugga (succede in presenza, figuriamoci a distanza), perché qualcuno, senza l'appoggio quotidiano dell'insegnante che legge nel suo volto un'eventuale richiesta di aiuto, non ce la fa. E, al lato pratico, non solo non è salutare rimanere ore e ore davanti ad un pc (quanto ci lamentiamo della dipendenza dei giovanissimi dalla tecnologia?) ma non è nemmeno scontato che tutti ne possiedano uno e che si possano connettere in qualsiasi momento per assistere ad una videolezione, specialmente se uno stesso dispositivo è condiviso fra più fratelli richiamati contemporaneamente dal docente in videolezione. Per i più piccoli, poi, è necessaria la presenza di un adulto sia per l'esecuzione pratica delle azioni digitali sia per il controllo che è bene esercitare sulle attività in rete dei minori.
Insomma, la scuola al tempo del coronavirus è un grosso punto interrogativo per tutti, un dilemma che si cerca di fronteggiare al meglio e che fa sentire molti di noi inadeguati, altri onnipotenti. Alcuni insegnanti soffrono per la frustrazione tecnologica (dopo tante ore al pc, basta un file che non si apre per far scattare i nervi), ma il grande dolore è quello della lontananza dai nostri studenti, anche dagli scavezzacollo, anche da quelli che vanno sempre richiamati. Manca la routine, manca la condivisione reale, personale, mancano i sorrisi e gli sguardi, parti fondamentali dell'azione educativa. Come per molte realtà, anche in quella della scuola si sono allentati dei rapporti e dei ritmi che erano un punto di riferimento essenziale per tante persone.
Quindi perdonateci se commettiamo qualche errore in questa esperienza di didattica a distanza, ma comprendeteci anche: la gran parte di noi insegnanti sta facendo del proprio meglio e si trova a convivere con la consapevolezza che le mille domande sulla bontà dell'azione didattica che si pone ogni giorno - perché questo vuol dire essere insegnanti - in questo frangente emergenziale diventano ancora più assillanti e lasciano scivolare le risposte sempre più lontano.

C.M.

Commenti

  1. Se questa cosa fosse successa tanti anni fa, quando ero uno studente scavezzacollo (uso un termine politicamente corretto, come hai fatto tu), l'avrei chiamata "manna dal cielo". Immagino già mille scenari, attraverso i quali avrei potuto farmi beffe della mia povera insegnante, ottenendo da lei, così lontan dagli occhi, il massimo del risultato con il minino sforzo.
    Ovviamente sto scherzando! Sono sicuro che nessuno di quei mille scenari sia mai potuto venire in mente ai tuoi studenti.... ^_^
    Sulla questione tecnologica hai completamente ragione: siamo non molto oltre il Medioevo rispetto ad altri paesi industrializzati. Me ne rendo conto in questi giorni, lavorando da casa in modalità "smart", quanto siano complesse certe operazioni che fino a una settimana fa davo per scontate. E ho anche il vanto di lavorare in un'azienda che vende tecnologia.... figurati se vendevamo patate.

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    1. Non preoccuparti, anche i miei scavezzacollo ci hanno provato, senza pensare che anch'io dispongo di Internet. Il guaio è che si sono lasciati pesantemente tentare anche alcuni degli "insospettabili", quindi questa situazione si sta rivelando ulteriormente deleteria.
      Quanto all'aggiornamento tecnologico, temo non sia solo un problema della scuola ma anche un limite privato, perché non tutti gli alunni dispongono di strumenti informatici affidabili... molti svolgono i compiti con lo smartphone per varie ragioni, tanto per rendere l'idea.

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  2. Condivido quello che scrivi, vivendolo anch'io in prima persona. Ci è stato chiesto di procedere con questa didattica a distanza ma senza mezzi, o con mezzi molto limitati. Stiamo letteralmente inventando un percorso decente. E sì che io non sono tipo da lasciarmi prendere dal panico o dall'ansia. Ma ci sono colleghe che, poco avvezze, alla tecnologia, stanno cadendo in una forma di depressione. Hai ragione, c'è molto da sacrificare del programma, dobbiamo cominciare a pensarlo fermamente, e fare quello che si può, punto. È andata così, ci è stato dato in destino di vivere questo periodo allucinante. Affrontiamolo con la serenità dovuta, hai ragione, concentrandoci su chi i problemi ce li ha davvero, in prima linea a lottare negli ospedali.

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    1. Esatto, per molti non avvezzi alla tecnologia subentra l'ansia, ma ti dirò che mi sento molto inquieta anch'io che ho una discreta confidenza con molti strumenti: gestirli a distanza, senza aver prima preparato la classe in laboratorio informatico o su altri aspetti del lavoro in autonomia tipici delle modalità che stiamo attuando e soprattutto non avere un riscontro immediato sull'efficacia della comunicazione mi mette in grosse difficoltà e sicuramente per qualcosa di giusto che posso fare ci sono anche scelte sbagliate o inefficaci che non posso correggere perché manca il feedback... che a volte è un semplice sguardo. Non è il problema maggiore dell'emergenza, ma è un problema con cui dovremo fare i conti alla fine di questo anno scolastico e per migliorare in generale il nostro approccio in futuro. Basta che poi non inizi la corsa ad una formazione "di facciata", che porti a perdere di vista la didattica autentica, quella che facciamo in classe.

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