La canzone di Achille - Madeline Miller

La mitologia ha sempre costituito una fonte inesauribile per ogni forma di produzione letteraria, dalla gloria dell'epica alle laceranti rappresentazioni tragiche, dai raffinati epigrammi di età ellenistica alla narrazione romanzesca. Ha poi saputo riversarsi nella filosofia e nelle arti figurative, correndo avanti e avanti, fino al cinema. Possono cambiare le lingue, le religioni, i sistemi politici, ma la nostra cultura è pervasa di riferimenti e modi di dire al mito e per questo motivo studiarlo non è un puro esercizio di erudizione, ma uno strumento per accedere a moltissimi mezzi espressivi e interpetativi.
Fra i miti più famosi ci sono quelli che hanno ispirato l'epica omerica, il repertorio più ampio e fortunato della narrazione classica: nell'Iliade e nell'Odissea non solo si narrano le gesta di Achille, Ettore, Odisseo, Telemaco (solo per citare alcuni dei personaggi di maggior rilievo), ma compaiono allusioni a miti corollari che precedono o seguono le vicende narrate. Non a caso i due poemi costituiscono una rappresentazione amplissima del mondo greco, che raccoglie informazioni comprese fra l'epoca micenea e l'età arcaica.
Ho già parlato di come Madeline Miller abbia affrontato questa impegnativa eredità nel romanzo Circe, nel quale ha saputo raccontare in modo affine all'uomo contemporaneo una storia di cui ha recuperato tutti i particolari disseiminati nella letteratura mitologica, al di là del celebre libro X dell'Odissea in cui la dea di Ea era protagonista. Colpita da quella narrazione, mi sono subito procurata La canzone di Achille, primo romanzo dell'autrice americana, agganciato non all'Odissea ma, come si può facilmente intuire, all'Iliade e ai fatti legati alla figura del suo portagonista.

Achille benda una ferita di Patroclo, kylix di Sosias (fine VI - inizio V secolo)

A narrare le avventure di Achille è il suo leale compagno Patroclo, che si presenta come un principe scarsamente stimato dal padre Menezio e con una madre malata di mente. Esiliato senza troppo dispiacere dal genitore in seguito ad un litigio finito male, Patroclo si ritrova a Ftia, in Tessaglia, alla corte di Peleo, celebre per la sua fortuna e per il prestigio di cui gode di fronte agli dei, che gli hanno dato in sposa la ninfa marina Teti. La dea, però, dopo aver partorito Achille, cioè dopo aver compiuto i suoi doveri di moglie, ha scelto di allontanarsi dallo sposo che è stata costretta ad accettare e si è rifugiata nel profondo degli abissi, dai quali emerge solo per incontrare il suo amato figlio. Fra tutti i giovani di Ftia, molti dei quali, come Patroclo, provenienti da diversi regni della Grecia, Achille si distingue per la sua bellezza, per i suoi capelli biondi, segno inequivocabile delle sue origini divine, per l'agilità e la grande eleganza in ogni movimento; è il miglior combattente, anche se nessuno ha il privilegio di allenarsi con lui, ed è bravissimo a cantare con l'accompagnamento della lira. Avvicinatosi timidamente ad Achille e costantemente sopraffatto dalla sua perfezione, Patroclo inizia ad accompagnarlo ovunque ed è al suo fianco anche nei mesi che Achille trascorre sul monte Pelio per essere addestrato dal centauro Chirone, prezioso dispensatore di consigli su come cacciare, su come curare le ferite e su come affrontare i grandi interrogativi della vita. Col passare del tempo il rapporto fra Achille e Patroclo evolve in un sentimento di amore che, seppur tollerato per i giovani greci, è però ostacolato da Teti, che ritiene Patroclo indegno e pericoloso per suo figlio. Quando presso la dimora di Chirone giungono gli ambasciatori che chiedono il rientro di Achille a Ftia, appare evidente che è giunto per il giovane Pelide il momento di prendere il posto che il destino gli ha riservato e che lo condurrà alla gloria eterna: quello di aristos Achaion, il migliore degli Achei. All'arrivo a Ftia, i due ragazzi apprendono che Elena, la moglie di Menelao, è stata rapita dal principe troiano Paride e che il fratello del re di Sparta, Agamennone, sta chiamando a raccolta tutti coloro che in passato, in quanto pretendenti alla mano della donna più bella della Grecia, avevano giurato di essere sempre alleati e difensori dell'onore di colui che avrebbe vinto l'ambito premio. Patroclo era solo un ragazzino imberbe quando il padre lo aveva costretto a presentarsi fra gli aspiranti alla mano di Elena e, quindi, a pronunciare il voto solenne, ma non è per lui, del tutto inabile alla guerra, che a Ftia è stata inviata una richiesta di intervento: è Achille colui che potrà davvero fare la differenza, colui che è trarrà un'immensa gloria dalle imprese della guerra troiana ma che, fatalmente, è destinato a morirvi dopo che sarà caduto il valoroso difensore della città, il principe Ettore. Per stornare questa minaccia, anche a costo di sacrificare il desiderio di fama del figlio, Teti lo manda a Sciro, facendolo nascondere fra le figlie di Licomede, ma non riesce per questo a tenerlo lontano né da Patroclo né da Odisseo, che lo persuade infine ad unirsi alla spedizione achea. Patroclo, che ben conosce la sorte di Achille, lo accompagna anche in questo viaggio: pur sapendo che nessuno può contrastare il Fato, nel suo cuore spera ogni giorno che Ettore sopravviva, perché solo questo potrà garantire che la morte non arrivi anche per Achille.
Il romanzo di Madeline Miller tocca gli episodi salienti della vita di Achille, dal suo apprendistato presso Chirone all'ascesa di suo figlio Pirro o Neottolemo, soffermandosi sui passaggi in cui la presenza o il ricordo di Patroclo diventano fondamentali. Infatti è il rapporto fra il giovane figlio di Menezio e il Pelide il vero fulcro della storia: è per amore di Achille che Patroclo lo segue in guerra e gli dà consigli per emergere non solo per l'abilità guerriera ma anche per il valore delle sue scelte, come quando gli chiede di reclamare per sé Briseide, così da sottrarla alla violenza di altri Achei o come quando lo implora di mettere in secondo piano il suo disprezzo per Agamennone per salvare migliaia di commilitoni. Allo stesso modo, è per amore di Patroclo che Achille riprenderà a combattere, trascinandosi stancamente ma inesorabilmente verso la morte, unica speranza di ricongiungersi a lui.
Ancora una volta Madeline Miller trae dal mito materia di un racconto che per molti aspetti ricalca le vicende note a chi abbia letto o conosca almeno gli episodi cruciali dell'Iliade, per altri se ne distacca, così da raccontare non una storia di guerra ma una storia d'amore, di lealtà e di abnegazione. 
Se è raro che fra i banchi di scuola o nelle trasposizioni cinematografiche si presentino Achille e Patroclo come due adolescenti e la loro relazione come un rapporto fra amanti, è però vero che questa è la comune interpretazione che già in età classica si dava del loro rapporto. Nel Simposio (179-180) di Platone, mentre affronta una riflesione su come l'amore renda più valorosi e più onesti, arrivando ad affermare che un esercito composto di amanti sarebbe stimolato a compiere azioni coraggiose e onorevoli, Fedro dichiara che solo gli amanti accettando di morire per gli amanti, portando come esempi l'amore coniugale di Alcesti per Admeto e la relazione omoerotica fra Achille e Patroclo.
<Gli dei> resero onore ad Achille, il figlio di Teti, e lo mandarono alle isole dei beati, perché, nonostante avesse saputo dalla madre che sarebbe morto dopo aver ucciso Ettore, mentre, se non l’avesse fatto, sarebbe tornato in patria e avrebbe finito la sua vecchiaia e i suoi giorni, osò preferire, porgendo aiuto all’amante Patroclo e vendicandolo, non solo di morire per la sua salvezza, ma di morire per lui già morto: onde gli dei, altamente ammirati, gli resero singolare onore, giacché aveva fatto così gran conto del proprio amante. [Traduzione di G. Calogero]
Subito dopo Fedro intende precisare un errore in cui è caduto il tragediografo Eschilo, che, nel dramma I Mirmidoni, ha invertito i ruoli di Achille e di Patroclo nel descrivere la loro relazione. Il rapporto omoerotico greco, infatti, prevedeva che un uomo più vecchio, in quanto amante (ἐραστής) rappresentasse la guida e il punto di riferimento di un giovane, l'amato (ἐρώμενος), solitamente caratterizzato da fascino e bellezza.  Alla descrizione di Fedro corrispondono quelle di Omero nell'Iliade: l'eccezionale bellezza di Achille è più volte ricordata, ma nel libro XI (vv. 786-789) viene ricordato un monito di Peleo a Patroclo, nel quale si evince che, proprio per la sua maggiore età, il figlio di Menezio avrebbe dovuto essere un saggio consigliere e una guida per Achille durante la guerra.
Ed Eschilo vaneggia, quando dice che era Achille l’amante di Patroclo: Achille era più bello non solo di Patroclo ma anche di tutti gli altri eroi, ed era tuttora imberbe, e poi assai giovane, come afferma Omero. Sta di fatto, invece, che gli dei, apprezzando al massimo grado questa virtù d’amore, provano tuttavia più stupore ed ammirazione, e maggior favore concedono, di fronte all’amore dell’amato verso l’amante che non di fronte a quello dell’amante verso il suo fanciullo. Giacché, dell’amato, è qualcosa di più divino l’amante: è pieno, infatti, del dio. [Traduzione di G. Calogero]
Madeline Miller rende Patroclo il leale compagno di Achille e spesso gli affida, come già scritto, il ruolo di consigliere, mentre Achille rimane il bellissimo e agile guerriero che suscita nel compagno un'ammirazione e un amore incondizionati, tuttavia sceglie di non distinguere l'età dei due giovani, forse anche per evitare fraintendimenti nell'associazione della pederastia antica con la pedofilia. Fra le pagine de La canzone di Achille, anzi, Patroclo appare come il protagonista di una storia di formazione che, come spesso accade in questo genere narrativo, trova nell'amore l'esperienza centrale della sua maturazione, il momento in cui impara a confrontarsi con i grandi dilemmi, le scelte più impegnative e i sacrifici più dolorosi. Per gran parte del racconto Patroclo è un adolescente ingenuo, timido, imbarazzato, goffo, soverchiato dalla perfezione di Achille, che continua a intimidirlo, anche per l'ostilità che Teti dimostra sempre nei suoi confronti, fino all'arrivo in guerra. Patroclo non è un guerriero, ma, al massimo, un bravo scudiero e un testimone nella mischia delle imprese di Achille: diventa soldato solo nella battaglia in cui è destinato a morire per mano di Ettore.
In questi due aspetti la Miller si allontana dal racconto omerico, e in questi aspetti la caratterizzazione del protagonista ha i suoi punti deboli: per troppo tempo Patroclo è un ragazzo inadeguato, una spalla, una figura che sarebbe marginale nella società greca, se non trovasse la sua funzione nel rapporto con Achille; anche la sua discesa in battaglia sembra verificarsi per un'improvvisa metamorfosi che rende un combattente dilettante un sanguinario guerriero. Nel definire il personaggio di Patroclo, la Miller adotta la prospettiva dell'emarginato che, poco alla volta, si riscatta e trova il senso della propria esistenza, così come accade in Circe, e mi domando se, qualora avessi letto prima La canzone di Achille e poi il romanzo della maga di Ea, la sensazione del già letto si sarebbe ripetuta. Ho infatti apprezzato molto la figura della Circe esule, ma quella di Patroclo, per molti aspetti simile, mi ha dapprima delusa, perché eccessivamente incline all'autocommiserazione, laddove, invece, Circe dimostra una determinazione affascinante. Il protagonista e narratore inizia a diventare interessante dalla metà del romanzo in avanti, quando inizia a vivere da pari il rapporto con Achille e smette di temerne le conseguenze, quando agisce consapevolmente, quando prende parola come figura autonoma e non più subordinata ad Achille, quando, insomma, torna ad avvicinarsi al ritratto omerico.
Al di là di questa perplessità, che, come già detto, è limitata alla prima parte del libro, La canzone di Achille si rivela una buona riscrittura delle imprese di Achille, in una prospettiva, quella del suo innamorato, che ne esalta ancora di più lo spessore e la magnficenza. L'aspetto più potente del racconto sta nella descrizione di una relazione totalizzante, al di fuori della quale nulla sembra contare, che basta ai suoi protagonisti e che ne motiva le azioni più incisive. Patroclo che si rivela consapevole di come solo il suo amore possa smuovere Achille dall'orgoglio e Achille che reputa nulla la sua vita senza l'amato sono due figure magnetiche, destinate a trovare gloria l'una grazie all'altra e a lottare per rimanere uniti sempre, anche dopo la morte, nella memoria.
«Non credo che poteri mai sopportarlo» disse Achille, alla fine. I suoi occhi erano chiusi, come per lasciare fuori l’orrore. Sapevo che non stava parlando della sua morte, ma dell’incubo che Odisseo aveva intessuto per lui, la sua luce perduta per sempre, la sua grazia appassita. Avevo visto quanta gioia gli dava la sua stessa abilità, la vitalità ruggente che era sempre appena al di sotto della superficie. Cos’era lui, se non prodigioso e radioso? Cos’era lui, se non predestinato alla gloria?
C.M.

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