Nell'imminenza del nuovo anno scolastico

Domani inizierà ufficialmente l'anno scolastico 2020/2021, incerto e spaventoso, vittima, prima ancora di nascere, di una crisi che sta investendo tutto il pianeta e delle polemiche che sempre si accompagnano a qualsiasi discorso che, anche in tempi non sospetti, coinvolga la scuola. E abbiamo visto come, nell'era della pandemia da Covid-19, la tendenza a gridare, criticare, protestare e insultare si sia accresciuta - sempre perché si doveva uscirne migliori.
La scuola, da marzo ad oggi, è stata quel non-luogo che ha portato tanti a urlare contro i docenti che, a dir loro, sono stati in ferie pagate per sei mesi, contro il plexiglas che non è mai stato inserito in alcun documento ministeriale inerente la ripresa delle attività, contro i compiti assegnati, contro i compiti non assegnati, contro il troppo lavoro piombato sugli studenti e, al contempo, nel Paese in cui vale tutto e il contrario di tutto, contro il troppo poco lavoro svolto, contro i banchi a rotelle, contro l'ammissione plenaria e contro le insufficienze non recuperate, contro la didattica a distanza e contro la riapertura delle scuole. Si sono susseguite e stanno ruggendo ancora violente polemiche contro qualsiasi azione e contro qualsiasi ipotesi o soluzione contraria. Si vogliono riaprire le scuole - eh, ma senza mascherine; la riapertura non garantisce sicurezza - eh, ma basta con la didattica a distanza - e poi chi bada ai pargoli?
E quindi? Vogliamo far ripartire la scuola oppure vogliamo tornare a insegnare e apprendere seduti alla scrivania di casa, soli, senza poter realmente comunicare? O addirittura vogliamo rinunciare anche a questo?
I media, in questi giorni particolarmente difficili, non hanno aiutato a stabilire un clima sereno o, almeno, positivo per la necessaria ripartenza. Il nuovo focolaio di polemiche scaturisce dalle notizie secondo cui numerosi insegnanti rifiuterebbero di sottoporsi ai test sierologici suggeriti dal Ministero e che molti non sarebbero disposti a rientrare in servizio per scarsa fiducia nelle misure di sicurezza adottate. Ora, è vero che il test sierologico può aiutare a identificare alcuni malati asintomatici, ma, ahinoi, non dice nulla sulla possibilità di contrarre o ri-contrarre il virus nel futuro e, come strumento di screening, sarebbe molto più efficace se coinvolgesse tutti coloro che orbitano intorno alla scuola, quindi anche alunni e familiari stretti, una platea ben più numerosa del personale (a scanso di equivoci su queste affermazioni, io l'ho già fatto). Ben più inutile è l'attacco al secondo gruppo di docenti, sbattuti sulle prime pagine, salvo essere poi oggetto di doverosa precisazione nei testi degli articoli (che, però, sappiamo essere meno frequentati dei titoli): gli insegnanti tacciati di codardia o di scarso senso del dovere per aver espresso perplessità sul rientro sono i cosiddetti lavoratori fragili, immunodepressi, malati o reduci da cure oncologiche e/o persone sopra la soglia fatidica dei 60 anni. E non si capisce perché si debba contestare il loro diritto di godere delle stesse misure di tutela pensate per altri lavoratori dipendenti nelle medesime condizioni, così come non è chiaro perché debba essere oggetto di dibattito il trattamento da riservare al docente che fosse costretto all'isolamento cautelare o alla quarantena perché entrato in contatto con un malato e considerato a rischio di contagio o malato asintomatico. I docenti non vanno trattati diversamente dalle altre categorie di lavoratori e di una polemica a questo proposito oggi non abbiamo davvero bisogno.
Impegniamoci, invece, a capire come possiamo rendere meno doloroso possibile l'anno scolastico nel quale stiamo per entrare, nel rispetto di tutti coloro che affronteranno le difficoltà maggiori. Perché non c'è insegnante che preferirebbe la didattica a distanza a quella in presenza, anche se in molti abbiamo spremuto i nostri spiriti - sperimentando, sbagliando, migliorando - per far sì che anche la prima risultasse produttiva e i nostri alunni non fossero lasciati soli. Ci sarà stato chi, dalla fine di febbraio, ha tirato i remi in barca, trascinandosi a giugno in qualche modo e sentendosi come assolto da molti dei propri doveri di docente e ci saranno coloro che accamperanno qualche scusa per sottrarsi alle incombenze più gravose che ci aspettano. Ma si tratta di una minoranza e non è giusto che i vizi di pochi diventino i vizi di tutti e che chi ha reali problemi di salute sia assimilato a chi, indipendentemente dalla pandemia, pratica l'assenteismo come sport. Distinguiamo coloro che hanno una voglia viscerale di riprendere il loro normale lavoro e coloro che hanno problemi veri di fronte alla ripresa dagli svogliati e da chi si limita a lagnarsi di dover portare una mascherina (atto doveroso come in qualsiasi altro ambiente lavorativo) per nascondere la scarsa voglia di lavorare.
La comunità scolastica - ma, più in generale, tutta la comunità sociale, economica e culturale cui apparteniamo - ha bisogno di collaborazione e di fiducia, non di polemiche, odio e lagnanze. La mascherina sarà un lieve disagio da sopportare a fronte della possibilità di tornare a vivere insieme l'apprendimento, nella sua irrinunciabile connotazione sociale. Dovremo tutti stare più attenti, avere la coscienza di proteggere noi stessi e gli altri e di non sottovalutare i segni di malessere cui prima non davamo gran peso; dovremo accettare di mantenere le distanze, di rinunciare alle attività in gruppo, ci dovremo ingegnare per trovare mezzi alternativi, ancora una volta dopo il disorientamento di marzo; dovremo osservare un numero maggiore di regole, essere più pazienti, abituarci a nuovi spazi e nuovi tempi. Ma sarà un sacrificio inferiore a quello che comporterebbe una nuova interruzione delle normali attività e, soprattutto, sarà un piccolo prezzo da pagare a fronte della ricostruzione, poco a poco, di una quotidianità perduta.
Se sarà necessario ricorrere ancora alla didattica a distanza, anche solo in forma integrativa rispetto a quella normale, come previsto nella Scuola secondaria di secondo grado, lo faremo con più consapevolezza, avendone sperimentato potenzialità e limiti. Certo, rimarremo in costante attesa di chiarimenti ministeriali, in un anno che non potrà essere caratterizzato, come lo scorso, da soluzioni di ripiego.
Ma abbiamo bisogno di riprendere e per farlo occorre la collaborazione di tutti, dentro la scuola e fuori: evitare assembramenti nei locali, nei parchi, nelle piazze e proteggerci con la mascherina e con la frequente igenizzazione significa anche proteggere la comunità scolastica che tanto faticosamente si ricostituirà dal 14 settembre. No-mask, negazionisti e polemisti vari non fanno il bene della scuola né della società in generale, anzi, generano sfiducia e insofferenza verso le norme: dobbiamo recuperare il senso dell'equilibrio, del compromesso e, soprattutto, del rispetto dell'altro, quella coscienza che dovrebbe portare ciascuno a sentirsi parte del grande progetto per il bene comune, in questo contesto come sempre dovrebbe essere, rispettando delle regole che in qualsiasi gruppo sono necessarie per mescere diritti e doveri.
Ormai ci siamo: nelle prossime due settimane noi insegnanti saremo chiamati a immaginare e attuare scenari diversi, ad organizzare la vita scolastica, a gestire gli imprevisti e a dar prova di coraggio. Siamo spaventati da quello che potrebbe accadere e forse, più che il virus, a terrorizzarci è la possibilità di dover di nuovo improvvisamente cambiare le carte in tavola e riassemblare ciò che sarà stato faticosamente costruito. Ma quella di non riprendere, al momento, è una paura più grande: abbiamo bisogno della scuola come luogo fisico, anche per non far diventare le nostre case un campo indistinto di lavoro/studio e svago, dove sia gli uni che l'altro rischiano di perdere di significato. Sappiamo tutti che allenarsi in casa con un tappetino steso sul pavimento o una cyclette è preferibile alla totale inattività ma che non potrà mai dare gli stessi risultati di un impegno costante in palestra, dove tempi e modalità di lavoro sono scanditi precisamente e con attenzione, con l'assistenza di professionisti e con la possibilità di una chiacchiera o di un gesto d'intesa con gli altri iscritti, che rendono l'esercizio meno faticoso e più piacevole. Ecco, la scuola funziona allo stesso modo: è i suoi spazi, è i suoi tempi, è, sopra ogni cosa, la sua comunità in dialogo. Sforziamoci di preservarla e, magari, di apprezzarla un po'di più.

Immagine tratta da Pixabay

C.M.

Commenti

  1. Avremmo mai immaginato di vivere questo inizio immersi nella più totale incertezza? Stamattina ho iniziato i corsi di recupero, ovviamente online. Di due alunni, di altra classe, che mi sono stati assegnati, se n'è presentata una. E alle altre colleghe è andata anche peggio. Insomma, già cominciamo malissimo, ma tant'è. Come scrivevamo mesi fa, si naviga a vista, in una situazione da inventare giorno dopo giorno, consapevoli, come scrivi tu, che la scuola in quanto luogo fisico non si può fare realmente a distanza. Cosa ci attende solo il tempo può dirlo, quello che è certo non si potrà tornare alle modalità di mesi fa solo sulla base di una prudenza da prevenzione, se ci torneremo sarà perché saremo costretti, e davvero speriamo di no. Noi professori, come scrivi tu, saremo sempre additati come inabili al nostro mestiere, quelli imperfetti a prescindere, ma poco importa. Dovremo procedere ancora e ancora, adeguandoci come abbia sempre fatto a modalità che piovono dall'alto.

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    1. I tanto decantati recuperi si stanno rivelando (come prevedibile) inutili, dato che conoscenze, abilità e competenze non acquisite non produrranno alcun effetto sugli studenti automaticamente ammessi alle classi successive, inoltre non siamo così ingenui da pensare che in una o due settimane si possano rattoppare le carenze di mesi e mesi (quando non addirittura dell'intero anno scolastico passato); aggiungo che l'esperienza sarà, in molti casi, del tutto fallimentare, proprio perché gli alunni non sono obbligati a seguire e perché svolti online, con una modalità che già fra marzo e giugno ha dato a molti il pretesto per la diserzione, senza contare coloro che avevano difficoltà vere. Ovviamente se ne uscirà con la solita conclusione che i docenti non sanno lavorare, ma, come dici tu, ci siamo abituati a lavorare duramente e con dedizione nonostante l'ostilità che ci circonda. E sì, continueremo a navigare a vista e a incrociare le dita, sperando che la passione dell'insegnamento e la voglia degli alunni di apprendere insieme ci facciano avvertire meno il peso della situazione, pur nella consapevolezza della cautela sempre richiesta.

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  2. Un bellissimo post, che condivido in pieno. A me, nel mio piccolo, nella mia piccola scuola, basterebbe che ci dessero gli insegnanti. Abbiamo 8 classi, di ruolo siano in 6, di cui 3 spalmati su più scuole. Per il 14 la vedo durissima.

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    1. Penso che un po'in tutte le scuole si presenterà il problema del personale numericamente inferiore alle necessità, come, del resto, accade da anni, infatti non ricordo che si sia mai iniziato con l'organico al completo e senza la necessità di mandare a casa prima o far entrare dopo le classi (soluzione praticabile solo alla secondaria di secondo grado). Quest'anno la partenza sarà particolarmente sofferta e probabilmente lo sarà anche la continuazione... Speriamo solo che la situazione non precipiti al punto da doverci separare di nuovo dai nostri studenti.

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  3. Ciao Cristina.
    Proprio ieri sera ho parlato con un professore di musica delle medie (non so come si chiamano ora). Mi raccontava che una mamma gli ha telefonato a casa er dirgli che il figlio non riprenderà la scuola in quanto hanno tutti paura del contagio.
    La stessa mamma ha infierito sugli insegnanti perchè non vogliono fare il test sierologico.
    Lui le ha risposto che avendo avuto in infaarto in estate lo ha fatto. Che in quel momento era negativo. Che però domani sono sa come sarà perchè se studenti e genitori non faranno i test sierologici potrebbero contagiarlo,. In casa ha un papà con 91 anni compiuti.

    Niente da dire. Il discorso fila eccome! I test e le misure di prevenzione vanno fatti e seguite da tutti indiscriminatamente, altrimenti è inutile.

    La paura di questo professore è che a fine settembre le scuole siano di nuovo chiuse perchè al primo sternuto ci sarà il terrore. Spero di no anche se non ho più figli in età scolare.
    La cultura è importante. Ritengo che viso a viso, guardandosi negli occhi e senza poter fare trucchetti vafri sia il metodo migliore. Però....

    Certo che non vi invidio. State iniziando è già vi creano problemi a non finire.
    Io non capisco come la gente possa sottovalutare così la cultura. Svalutare il lavoro di docenti che ci mettono l'anima e il cuore perchè non ci sono solo docenti negativi. Nel percorso scolastico mio e della figlia ne ho trovati tantissimi validi e i risultati si vedono.

    L'unica cosa che trovo assurda veramente, sono i banchi con le ruote. Non è che serviranno ai ragazzi e bambini per giocare e spostarsi impunemente?
    Insomma! Questi docenti li lasciamo fare il loro lavoro o li costringiamo a diventare cani da guardia per tutta la mattina?

    Che dirvi? Un abbraccio e un grande in bocca al lupo!

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    1. Grazie della comprensione e del supporto, Patricia.

      Io veramente non so come siamo arrivati ad un simile disprezzo per la scuola e i docenti: è vero che in passato la scuola era fortemente classista, arcigna e legata ad un vuoto nozionismo, eppure da tempo non è più così, si cercano il dialogo e l'inclusione e i percorsi di formazione e aggiornamento sono sempre più specifici, prima e dopo l'ingresso a scuola, quindi l'attenzione ai bisogni degli studenti e al loro interesse (educativo, culturale, medico) è altissima. Io, come te, ho trovato sulla mia strada bravissimi docenti, prima da alunna e poi da collega, quindi davvero non mi spiego questa opinione pubblica arrabbiata e velenosa, anche se è ben vero che ormai l'astio, il pregiudizio e la condanna fanno parte del linguaggio quotidiano: ormai sembra che si debba cruticare tutto e tutti, meglio se senza darsi il disturbo di informarsi e argomentare.

      La testimonianza del professore di cui parli è illuminante: intanto fotografa una situazione (in passato inconcepibile e anche oggi a mio avviso grottesca) per cui i genitori prendono contatti privati con i docenti (che poi, nonostante questo, vengono accusati di essere poco disponibili e presenti), in secondo luogo dimostra come ciascuno si senta in diritto di criticare, a prescindere dalle motivazioni che vengono esposte (e chissà se i genitori in questione di saranno preoccupati dello stato di salute di un un insegnante reduce da un infarto, al di là del sierologico). Io stessa mi sono sottoposta al test e so di tanti colleghi che hanno fatto lo stesso, senza problemi o lamentele, ma anche senza illusioni, dato che nulla impedisce che nel futuro possa veicolare, a mia insaputa, la malattia. E, comunque, additare i docenti come presunti untori quando gli alunni hanno molti più contatti fra loro sia dentro la scuola che fuori (e magari frequentano locali affollati o altri spazi di intensa promiscuità) e gli stessi genitori si spostano necessariamente fra luoghi di lavoro, negozi e altri spazi di comunità mi sembra un pretesto per trovare il nuovo bersaglio su cui scaricare la frustrazione. Tutti siamo a rischio e a tutti è richiesto di osservare delle semplici regole: proviamo a partire da lì, dato che è tutto ciò che possiamo fare per provare a ripristinare la normalità.

      Quanto alle sedie con le ruote, nemmeno io le vedo di buon occhio (per questioni pratiche, di sicurezza e di postura), ma, come per i plexiglas, è stato fatto molto rumore per nulla: agli Istituti era richiesto soltanto di dotarsi di postazioni singole (nel mio territorio, quasi ovunque quella del banco singolo è una pratica consolidata, con eccezioni limitate ai laboratori) ed era poi a discrezione dei singoli chiedere i classici banchi o le famose sedie mobili, laddove risultasse necessario provvedere a nuovi acquisti. Penso che ben pochi abbiamo optato per queste ultime, che comunque, se utili in qualche attività e per brevi tempi, di certo non assolvono al loro scopo in una scuola che prevede, nel rispetto delle norme anti-Covid, che nessun arredo sia spostato dalla posizione assegnata.

      Spero davvero che sapremo andare oltre le polemiche e le paure: questa spiacevole situazione potrebbe darci l'occasione per riflettere sull'importanza delle regole, dei diritti e dei doveri, nonché dei ruoli. Purtroppo il lockdown ha interrotto prima di tutto l'attività primaria della scuola, che è proprio il microcosmo in cui si formano i cittadini, la coscienza civica e il pensiero critico: bisognerà prima di tutto ristabilire l'ordine, far pulizia dei pregiudizi e delle falsità che hanno avuto corso facile per tanti mesi e aiutare i nostri ragazzi a riabituarsi alla vita di comunità in un contesto che probabilmente, per quanti rischi possa presentare, sarà comunque più sicuro per loro di tanti altri ambienti.

      Grazie ancora per l'incoraggiamento e a presto!

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