I libri VII-IX delle "Metamorfosi"

Nei libri VII e IX delle Metamorfosi di Ovidio ai più famosi episodi del mito si intrecciano molte storie minori, alcune davvero preziose: dopo la galleria degli episodi di hybris, l'autore presenta una sezione che si potrebbe definire Piccole Argonautiche, nella quale le vicende di Giasone alla conquista del vello d'oro sfumano nell'appassionato ritratto di Medea, prima giovane maga della Colchide combattuta fra la lealtà alla famiglia e l'amore per l'eroe, poi spietata vendicatrice.
Protagonista di gran parte del libro VII, Medea è osservata nel dilemma che la attanaglia, in un racconto nel quale si rivela non solo l'influsso di Apollonio Rodio ma anche quello più vicino di Virgilio e della sua Didone innamorata, a sua volta ispirata all'eroina del mito greco. Ma a Ovidio non interessa solo la Medea preda della passione o la sua controparte tradita: una grandissima attenzione è dedicata all'esercizio delle arti magiche, ai gesti che ella compie per tessere incantesimi, inganni e prodigi; fra questi si evidenziano soprattutto i ringiovanimenti di Esone, padre di Giasone, e di Pelia, antagonista dell'eroe, ingannato dalle false speranze riposte dalle figlie in Medea.
 
Peter Paul Rubens, Dedalo e Icaro (1636)

Il racconto sfuma poi col libro VIII sulle imprese di Minosse, mito eziologico della talassocrazia cretese, trasportando il lettore a Egina, con la quale Atene è in procinto di rinnovare un'alleanza; è qui che Eaco apre una digressione sulla peste che ha quasi sterminato il suo popolo, ancora una volta fornendo una prova della capacità di Ovidio di rielaborare e al tempo stesso omaggiare Virgilio e Lucrezio: la tragica rappresentazione di Egina colpita dalla pesitlenza richiama non solo il finale del III libro delle Georgiche, dedicato all'epidemia del bestiame nel Norico ma anche la peste di Atene che chiude il De rerum natura. La nota più interessante e originale della narrazione ovidiana sta però nella svolta degli eventi, con la rinascita degli esseri umani dalla trasformazione delle formiche, che rappresenta il mito di origine dei Mirmidoni, che dall'insetto prendono il nome.
Col ritorno al mito di Minosse si apre anche una ricca parentesi dedicata a Dedalo e Icaro, al loro desiderio di sfuggire alla prigionia imposta dal sovrano cretese e al volo dall'esito drammatico per il figlio dell'inventore. Il momento culminante del mito è fra i numerosi soggetti che Rubens deduce dalle Metamorfosi: in un'aura resa dorata da quel sole che causa all'avventato Icaro la rovina il vecchio Dedalo osserva sgomento la caduta del figlio, il ragazzo urla, si contorce nel cielo, con le ali ormai a brandelli che gli pendono dalle braccia, fatalmente destinato a cadere fra le onde che spumeggiano nella parte dassa del dipinto.

La vicinanza del sole ammorbidisce la cera profumata che saldava le penne ed essa be presto si scioglie: il ragazzo sbatte le braccia nude e, mancando delle ali, non può più captare l'aria e va a cadere in un mare azzrro che lo sommerge, soffocando il suo grido di invocazione al padre. Quel mare prese il nome da lui.
Il disgraziato padre, che padre ormai più non era, urlava: «Icaro, Icaro, dove sei? Dove devo venire a cercarti?». Mentre pronunciava qyel nome, vide delle penne galleggiare sulle onde e maledisse la sua invenzione. Seppellì poi il figlio in un luogo che da lui prese il nome.
[Traduzione dei vv. 225-235 di Giovanna Faranda Villa]

L'altro grande mito del libro VIII, collegato attraverso la figura di Teseo, è quello dell'affollata caccia al cinghiale calidonio, terribile flagello inviato da Artemide a punire Eneo, reo di non averla onorata al pari delle altre divinità; l'eroe ateniese è fra i numerosi personaggi che rispondono alle richieste di aiuto provenienti dal popolo oppresso dalle incursioni violente della bestia e insieme a lui si distinguono Castore e Polluce, Peleo e Laerte (padri, rispettivamente, di Achille e Odisseo), Meleagro e Atalanta. Proprio quest'ultima, dopo una lotta costata numerose e sangunose perdite, riesce ad infliggere al cinghiale il colpo che lo indebolisce e lo espone alla morte, che arriva per mano di Meleagro, ma nessuno dei grandi protagonisti della caccia accetta di tributare ad una donna l'onore della vittoria, così Meleagro, che si erge in sua difesa, arriva ad uccidere i propri zii, scatenando un doloroso desiderio di vendetta da parte della madre Altea, che, per saziare le Erinni, è spinta a sacrificare il proprio figlio: prima di uccidersi, Altea getta nel fuoco il ceppo al quale le Parche hanno legato la sorte di Meleagro subito dopo la sua nascita, condannando il figlio ad essere consumato da un fuoco invisibile e ad essere ridotto in cenere insieme al legno.
Anche a questo episodio delle Metamorfosi Rubens dedica un dipinto: al centro campeggiano il cinghiale, accerchiato da alcuni cacciatori e posto al di sopra dei cani e degli uomini di cui ha fatto strage, e Meleagro, pronto a sferrare il colpo fatale; alle spalle dell'eroe, in una veste viola, si disgingue Atalanta, con la mano ancora stretta intorno all'arco e il braccio retratto per scagliare il suo dardo.
 
Peter Paul Rubens, Caccia al cinghiale calidonio (1641)
Quanto al figlio di Eneo, egli tirò le sue lance con esito diverso; delle due che aveva scagliato, la prima finì a terra ma la seconda si conficcò nel mezzo della schiena del cinghiale. Senza por tempo in mezzo, mentre quello infuriava e si dibatteva girando su se stesso e sibilando sputava schiuma insieme a caldo sangue, l'autore del colpo gli fu addosso, ne stuzzicò la rabbia e, piantandoglisi si fronte, gli conficcò una lancia splendente in mezzo alle spalle.
[Traduzione dei vv. 414-419 di Giovanna Faranda Villa]
Meno nota ma proprio per questo meritevole di attenzione è la tenera vicenda di Filemone e Bauci, inaspettatamente visitati da due viandanti sotto le cui sembianze si nascondono Mercurio e Giove. In osservanza delle sacre leggi dell'ospitalità, per le quali chi chiede cibo e un luogo in cui riposare deve essere trattato con affetto e premura in quanto protetto dagli dèi, i due anziani mettono a disposizione dei due viaggiatori tutto ciò che possiedono e che, nella loro povertà, conservavano con parsimonia; proprio quando sono sul punto di sacrificare l'oca per offrire un più degno banchetto ai due ospiti, Giove decide di premiare la loro generosità e la devozione ai precetti sacri: essi saranno salvati da un'inondazione che spazzerà via i loro vicini empi, la loro casa sarà trasformata in tempio; Giove offre loro anche la possibilità di esprimere un desiderio, così Filemone e Bauci, che non ambiscono a grandi ricompense materiali, chiedono di essere per il resto dei loro giorni i custodi del luogo sacro e di poter morire insieme per non soffrire la mancanza l'uno dell'altro.
L'artista fiammingo Jacob van Oost si concentra sul momento della rivelazione degli dèi, mostrando Filemone e Bauci ancora intenti a imbandire la tavola e pronti a sacrificare l'oca, mentre Mercurio svela i segni della propria divinità: i calzari alati, il caduceo e il petaso, rappresentato come un moderno cilindro.
Giove mantenne la promessa ed esaudì il loro desidrio. I due restarono custodi del tempio finché ebbero vita. Qando poi, consumati dall'età, stavano una volta davanti ai gradini del sacro tempio e rievocavano le vicende del luogo, Bauci si accorse che addosso a Filemone spuntavano delle fronde e il vecchio Filemone vide lo stesso capitare a Bauci. Mentre le cime dei due alberi crescevano e stavano ormai per avvolgere i loro volti, si scambiarono ancora delle parole, finché poterono, poi si dissero addio contemporaneamente: e contemporaneamente la corteccia ricoprì i loro visi, facendoli scomparire.
[Traduzione dei vv. 711-719 di Giovanna Faranda Villa]
Jacob van Oost, Filemone e Bauci (XVII sec.)

Ercole, Deianira e il centauro Nesso sono i personaggi monumentali del IX libro, per il resto riempito di miti minori. Ovidio racconta della lotta del figlio di Giove con il mostro che, dopo essersi offerto di aiutarlo a trasportare la futura sposa oltre un fiume, ha tentato di rapirla, e proseguie poi fino all'inganno perpetrato dal centauro morente nei confronti delle sue vittime. Di Ercole, infatti, si racconta anche la fine, inconsapevolmente causata dalla stessa Deianira, convinta che la veste impregnata del sangue di Nesso le avrebbe permesso di riconquistare l'amore dello sposo ma ignara del fatto che il liquido si era contaminato dal veleno dell'idra ancora asperso sulla freccia di Ercole che aveva provocato la morte del centauro: la donna invia all'amato, per mano di Lica, l'abito intriso di quello che crede essere un filtro d'amore Ispirato al mito portato in scena da Sofocle, l'episodio è impreziosito da un cameo di Giove, che, di fronte a chi si stupisce del suo mancato intervento in favore del figlio, si mostra sicuro: la parte umana di Ercole morirà in modo atroce, ma la sua parte divina ascenderà al cielo e riscatterà questa soffrenza terrena. Ecco, dunque, che Ercole muore atrocemente sulla scena, preda di un delirio che lo porta anche ad uccidere Lica, innocente messaggero che viene scagliato in mare e qui tramutato in uno scoglio sul quale nessuno, per reverenza, osa navigare. Dopo la disfatta dell'eroe, la madre, Alcmena, ricorda i patimenti legati alla sua nascita, che Giunone, offesa dal tradimento, ha tentato di impedire: la dea Ilizia/Lucina, protettrice delle partorienti, era stata sorpresa da Galantide, ancella di Alcmena, a presidiare il luogo del travaglio con le gambe e le dita delle mani incrociate, così da bloccare l'uscita di Eracle dal ventre materno, e l'aveva ingannata, facendole credere che il bambino fosse già nato, così da spingerla, per lo stupore, ad abbandonare la sua posizione; adirata per l'inganno, Lucina aveva però trasformato Galantide in una donnola.
Nel 1631 Guido Reni dipinge il rapimento di Deinaira ad opera di Nesso, immaginando il centauro che trattiene la donna stringendo i nastri delle sue vesti mentre si addentra nell'acqua, inseguito da Ercole, che, sullo sfondo, si appresta ad imbracciare l'arco per mettere fine al suo gesto e per procacciare alla sposa lo strumento col quale gli darà la morte. Gli abiti di Deianira volteggiano intorno a lei in un panneggio che, superando il terreno del virtuosismo, sembra presagire che ad opera di un abito insanguinato si compirà la morte del semidio.
Non appena Nesso l'ebbe strappata, da ambedue i fori schizzò sangue misto al veleno dell'idra di Lerna. Egli lo raccolse e mormorado tra sé: «Non morirà invendicato!» immerse la veste nel caldo sangue e la diede in dono a colei che aveva rapito,illudendola che avesse il potere di eccitare l'amore.
[Traduzione dei vv. 128-133 di Giovanna Faranda Villa]
Guido Reni, Nesso rapisce Deianira (1631)

Sintesi dei contenuti del libro VII delle Metamorfosi:
vv. 1-99: Gli Argonauti in Colchide; passione di Medea
vv. 100-158: Giasone affronta le prove di Eeta
vv. 159-296: Ringiovanimento di Esone
vv. 297-349: Medea e le Peliadi
vv. 350-393: Fuga di Medea
vv. 394-452: Vendetta su Giasone e attentato alla vita di Teseo
vv. 453-489: Espansione e conquiste di Minosse
vv. 490-865: Rinnovamento dell’alleanza fra Atene ed Egina
vv. 523-660: La peste di Egina
   vv. 614-660: Nascita dei Mirmidoni
   vv. 661-865: Cefalo e Procri

Sintesi dei contenuti del libro VIII delle Metamorfosi:
vv. 1-151: Guerra fra Minosse e i Lelegi; passione di Scilla
vv. 152-259: Dedalo e Icaro
   vv. 169-182: Teseo e Arianna
vv. 260-444: Il cinghiale calidonio
vv. 445-546: Altea e il ceppo di Meleagro
vv. 546-884: Teseo e Acheloo
   vv. 576-610: Nascita delle Echinadi
   vv. 620-724: Filemone e Bauci
   vv. 738-878: Empietà di Erisittone

Sintesi dei contenuti del libro IX delle Metamorfosi:
vv. 1-102: Acheloo contende ad Eracle la mano di Deianira
vv. 103-133: Eracle e Nesso
vv. 134-272: Morte e divinizzazione di Eracle
vv. 273-323: Nascita di Eracle
   vv. 306-323: Trasformazione di Galantide in donnola
vv. 324-393: Trasformazione di Driope
vv. 394-446: Iolao ringiovanito
vv.447-665: L’amore incestuoso di Bibli per Cauno
vv. 666-797: Ifi mutata in maschio

C.M.

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