Potenza e bellezza - Elido Fazi

«Piangi, ché ben hai donde, Italia mia, / le genti a vincer nata / e nella fausta sorte e nella ria. / Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, / mai non potrebbe il pianto / adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; / ché fosti donna, or sei povera ancella.»
Fin dall'epoca medievale il compianto per l'Italia, un tempo unita nel cuore dell'Impero romano, ha fatto palpitare le pagine della letteratura. È il 1831 quando Giacomo Leopardi scrive la sua canzone All'Italia, che riecheggia un lamento che si eleva fin dalla Commedia, passando per la poesia di Petrarca. La nota costante di questa elegia è il rammarico per la debolezza di una nazione costantemente esposta alle brame straniere, diventata a più riprese nei secoli terreno di sanguinose guerre nelle quali poco o nullo è stato il protagonismo degli Italiani, a confronto dello spadroneggiare delle armate straniere. È un'Italia divisa quella di cui canta la letteratura, ma un'Italia che cerca disperatamente la propria unità e che riconosce la propria identità nella condizione di vittima delle potenze europee da un lato e nel valore del proprio patrimonio culturale dall'altro.
Questa dicotomia fra la Potenza - ormai perduta - dell'Italia e la sua Bellezza eterna e grandiosa, di cui tutti sono invidiosi, alimenta le pagine dell'ultimo romanzo di Elido Fazi, Potenza e Bellezza, un ricco affresco dell'epoca napoleonica che si focalizza sulle vicende francesi e soprattutto su quelle della nostra penisola, in particolare sul versante marchigiano delle Campagne d'Italia. Sottotitolato Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819), il romanzo conduce il lettore nel cuore degli eventi che si snodano fra l'ascesa di Napoleone e il suo esilio sull'isola di Sant'Elena, soffermandosi sull'instabilità delle sue conquiste, condotte sotto lo stendardo di una liberazione e di una indipendenza di cui coloro che acclamavano un Napoleone in grado di affrancarli avrebbero ben presto colto le contraddizioni e i risvolti autoritari, sul subdolo gioco delle alleanze e delle amicizie (prima fra tutte quella con Gioacchino Murat) e sull'ossessione dell'imperatore di vedersi riconosciuto come legittimo sovrano di Francia e di assicurarsi una luminosa discendenza. Il teatro prediletto di questi intrighi, degli slanci del generale francese e delle sue altalenanti volontà diventa, nelle pagine di Elido Fazi, l'Italia centro-meridionale, in particolare quelle Marche nelle quali le bande di briganti ostacolano i Francesi con più efficacia di quanta non ne dimostrino gli eserciti austriaci e il papato.
Si innesta su questo terreno il secondo filone della narrazione, che ha per protagonisti Costantino, fabbricante d'armi, sensale di matrimoni e poi capofila della resistenza picena, e Monaldo Leopardi, giovane rappresentante di una comunità inditimidito dalle responsabilità politiche e nemmeno troppo oculato nella gestione del patrimonio di famiglia che gli viene precocemente affidato. All'inizio della storia, Monaldo, grazie alla mediazione di Costantino, sta per contrarre un fidanzamento che, però, scioglierà molto presto, e qualche tempo dopo sposerà Adelaide, che, con una risolutezza che eclisserà il marito, diventerà la custode dei beni di casa Leopardi. Costantino e Monaldo, così diversi nel loro ardore di resistenza all'invasione francese, hanno però in comune l'ostilità verso Napoleone e la certezza che i rispettivi figli - entrambi di nome Giacomo - porteranno avanti con successo la loro eredità, Giacomo nella lotta contro le truppe napoleoniche, Giacomino nella letteratura.
Potenza e bellezza si snoda dunque in due direzioni, approfondendo da un lato le vicende delle guerre napoleoniche in Europa e nel Mediterraneo, dall'altro entrando nei particolari degli eventi che hanno riguardato il piceno e della vita di Monaldo e Giacomo prima che quest'ultimo diventasse il poeta de L'Infinito. Il primo aspetto risulta largamente dominante rispetto al secondo, ma nel complesso restituisce visibilità a degli snodi della storia che raramente vengono approfonditi e lo fa comunque senza perdere il ritmo narrativo.
L'autore si è concesso qualche libertà, chiamando Costantino quello Sciabolone che rispondeva in realtà al nome di Giuseppe Costantini, e conferendo ad Adelaide Antici un carattere decisamente più materno e luminoso di quello che ci ha restituito Giacomo Leopardi; allo stesso modo risulta rielaborata, oltre che ragionevolmente ridotta, l'Orazione agli Italiani in occasione della liberazione del Piceno che viene riportata nelle ultime pagine, nelle quali il diciasettenne Giacomo, che ha assistito al dramma della sua terra vessata dalle ambizioni straniere, trova il proprio posto nella Storia, sottolineando come la pace e non la guerra e le conquiste siano per gli Italiani il mezzo per conseguire la grandezza, perché solo in pace si possono coltivare le arti, la poesia, l'ingegno - la Bellezza, in una parola - nei quali l'Italia può conseguire il primato. Si tratta però di adattamenti che non inficiano la storicità dell'insieme e che rientrano nelle prerogative del romanziere storico e certamente l'intera orazione non avrebbe avuto sul lettore la stessa presa che ottiene l'adattamento proposto dall'autore, che, anzi, diventa uno stimolo alla lettura integrale del testo leopardiano.
Potenza e Bellezza propone dunque un interessante connubio fra analisi storica e approfondimento biografico, collocando con precisione l'esperienza letteraria di uno dei più grandi nomi della cultura italiana nel contesto storico che ne ha alimentato le idee e il talento, e lo fa con un racconto vivace, che non lesina l'ironia e la satira, le curiosità e quegli aneddoti che a volte si ricordano più delle altisonanti vicende politico-militari.

«Voi uomini parlate tanto di Bellezza, ma spesso non sapete neanche riconoscerla. Ignorate che è un riflesso nell’ombra, un battito di palpebre, e che basta alzare gli occhi verso il cielo per trovarla. E se tentate di darle un nome essa vi sfugge, perché l’ombra non ha né corpo né sostanza. Eppure il riflesso di quell’ombra ha un potere straordinario: quello di trasformare in Bellezza ogni cosa, anche la più insignificante.»

C.M.

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