Caporetto - Alessandro Barbero

Ogni estate cerco di ritagliarmi un po'di spazio per leggere qualche saggio storiografico, un genere di testo che nei mesi di lavoro non mi è così facile avvicinare. Quest'anno per la prima volta ho letto un libro di Alessandro Barbero, studioso che ho sempre seguito con piacere nei suoi interventi televisivi, ma di cui ancora non avevo sperimentato la penna.
Il particolare interesse che da qualche anno mi ha attirata verso il primo conflitto mondiale e in particolare a quegli aspetti decisamente poco nobili e tragicamente trascurati per tanto tempo dalla storiografia e dal dibattito pubblico mi ha fatto scegliere Caporetto, pubblicato da Laterza in occasione del centenario della rotta del 1917.
In un poderoso tomo ricco di testimonianze di ogni genere, che comprendono lettere di soldati semplici e ufficiali fino agli alti gradi, interventi di testimoni e giornalisti e soprattutto dichiarazioni e ricordi di parte non solo italiana ma anche austriaca e tedesca, Alessandro Barbero ricostruisce tutte le fasi dell'attacco che il 24 ottobre provocò lo sfondamento del fronte italiano e l'avanzata delle truppe nemiche fino alla linea del Piave, partendo dal momento della pianificazione dell'offensiva e arrivando fino alle sue conseguenze.
La ricostruzione porta alla luce il complesso incastro delle responsabilità del più grande smacco subito dal Regio Esercito e, quindi, delle sue enormi ripercussioni. Si dipinge un quadro tragico e insieme grottesco, nel quale emergono alcuni punti di interesse non così noti ai non addetti ai lavori. Innanzitutto il durissimo autoritarismo di uno Stato Maggiore ormai troppo vecchio inadatto a comprendere le dinamiche di un tipo di guerra profondamente diverso da quelle del secolo precedente e, quindi, a intervenirvi in modo competente e pronto, così intransigente e viziato dalle formalità da risultare crudele all'inverosimile (è provato che nessun esercito ha punito le diserzioni o anche solo i sospetti di diserzione con la stessa durezza e sistematicità di quello italiano). Del Comando Supremo e delle sue direttive si sottolinea anche la superficialità, che portò ad ignorare e sottovalutare informazioni anche molto precise sull'offensiva nell'imminenza del suo verificarsi e a non rispondere in maniera pronta e coordinata alle diverse fasi dell'attacco, con gli artiglieri così ossessionati dall'ammonimento di non sprecare munizioni da far tacere completamente il fuoco di sbarramento e di repressione. Oltre a questo, l'incapacità di contrastare l'assalto fu determinata anche da grossi problemi logistici, dal continuo spostamento di intere brigate senza un'adeguata preparazione ad operare nelle nuove aree assegnate, dall'irreperibilità degli alti ufficiali, unici a poter dare ordini, dalle notizie contrastanti che arrivavano dalle diverse aree del fronte e dalla resa in massa di interi reparti che si trovarono accerchiati prima ancora di rendersi conto che il nemico era penetrato oltre le linee.
Tipica del racconto di Barbero anche in tv e negli incontri con i lettori è poi l'indulgere in particolari anche curiosi delle figure storiche e degli eventi di cui sono protagoniste, fatto che permette non solo di addentrarsi in alcuni aspetti della vita privata e professionale e del carattere di personaggi molto noti come Luigi Cadorna o Pietro Badoglio, ma anche di osservare di scorcio altri ufficiali, cogliendone i vizi, le crudeltà, le potenzialità e, quindi, il ruolo giocato sullo scacchiere delle battaglie dell'Isonzo.
Della rotta di Caporetto Barbero evidenzia dunque gli aspetti apocalittici e quelli carnevaleschi (le espressioni sono prese dall'ultimo capitolo), restituendo al lettore uno scenario quasi incredibile in cui imperizia, dolo, ottusità, ostinazione e incapacità si uniscono al tentativo di tutti (militari, ufficiali, sfollati, governo, giornalisto) di individuare i colpevoli della tragedia e i punti deboli di un'azione bellica che dal 1916 sembrava promettere sul fronte carsico solo successi.
A partire da queste premesse e da un quadro profondamente disastroso dei rivolgimenti della guerra, sarebbe stato interessante approfondire gli elementi che, al contrario, nel giro di pochi mesi permisero al Regio Esercito di resistere sulla linea del Piave, di ricompattarsi, di riorganizzarsi e di affrontare la riscossa culminata, a un anno dalla rotta, nella battaglia di Vittorio Veneto, ma questi argomenti costituirebbero materia di un libro autonomo, specificamente dedicato alla fase successiva del conflitto.
Caporetto è un testo a tratti molto particolareggiato e complesso (come il tema trattato), che richiede un notevole sforzo soprattutto nell'organizzazione delle informazioni sui protagonisti degli eventi su entrambi i fronti, sulle loro posizioni e sui rapporti che intercorrevano fra di loro, tuttavia le linee fondamentali del resoconto risultano evidenti anche ad un lettore distratto o smemorato, che la vivace capacità narrativa di Alessandro Barbero sa tenere avvinto nonostante la difficoltà della materia trattata.

C.M.

Commenti

  1. Di Barbero ho preso "Alabama", che spero di leggere presto. Interessante questo percorso in una delle battaglie e in generale degli eventi più sofferti della Grande Guerra. Sì, la disorganizzazione e approssimazione degli alti comandi fu la rovina e io ogni volta immagino le migliaia di soldati italiani impegnati sul fronte in queste guerre difficili. Qualcuno dice che quelle sono state le VERE guerre della Storia contemporanea, come dargli torto? Migliaia di giovani mandati allo sbando, in condizioni pietose, indegne. Le tante lettere arrivate dal fronte testimoniano il dolore, il disagio, la struggente malinconia. Trattando di questi temi a scuola, cerco di arrivare al cuore di questi eventi partendo dalle persone, altrimenti sembreranno per sempre eventi registrati sulla carta, nulla di più. La memoria storica è invece sempre anche memoria dell'umanità impegnata nella Storia.

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    1. Fai bene, anche perché, scavando nel passato delle famiglie, delle città e dei piccoli paesi, si trovano testimonianze che possono essere molto più penetranti dei resoconti dei manuali di storia: sono le storie delle persone e non lo scacchiere bellico a dare la dimensione reale degli eventi. A me sta particolarmente a cuore la questione dei disertori, spesso bollati come tali senza prove o validi motivi.

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  2. Conosco l'autore solo di fama, non ho mai ancora letto nulla di suo ma questo libro sembra interessante soprattutto perché tutti abbiamo studiato la battaglia di Caporetto sui libri di storia ma senza mai davvero approfondire!

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    1. Infatti dai libri di storia io non ho mai veramente capito la portata della "disfatta": il pesante arretramento del fronte è evidente, ma i motivi per cui si parla di un tracollo vanno ricercati ben più a fondo. Qui si riesce a capire davvero la portata di questo evento, che non coinvolge solo la dislocazione delle truppe ma problemi più profondi, le cui conseguenze si trascinate ben oltre la fine della guerra.

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  3. Ho letto da qualche parte che la parola "Caporetto" in epoca fascista e anche in seguito nei primi anni della Repubblica (poi tu mi saprai dire meglio) non si poteva nemmeno pronunciare. Ammiro il coraggio di Barbero si trattare un argomento della storia italiana ancora spinoso e celato.

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    1. Il fascismo ha contribuito a produrre il vessillo della prima guerra mondiale come "terza guerra di indipendenza", sminuendo pesantemente eventi e tragedie come questa e costruendo un'epopea nazionale sul mito bellico. E pensare che in piena guerra su "L'Avanti" si era affacciato l'interesse per i prigionieri (molti dei quali equiparati dal Comando Supremo ai disertori senza alcuna distinzione), un motivo evidentemente non più di interesse dopo la vittoria, quando il combattente (non l'ex prigioniero) diventa per Mussolini l'individuo su cui fondare il nuovo ideale di Italiano.

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  4. Anch'io seguo con piacere Barbero, lo considero un bravissimo storico ma soprattutto un ottimo oratore (nelle conferenze può andare più a braccio e usare espressioni che in un saggio storico non si potrebbe permettere).

    Caporetto fu la somma di tanti piccoli errori che il nostro esercito (catena di comando troppo dipendente dagli ordini a cascata, disposizione delle forze prettamente offensiva e senza nessun piano per un eventuale attacco avversario, condizioni pessime della truppa e fucilazioni anche per le più piccole delle insubordinazioni), però bisogna anche dire che noi erravano un avversario alla pari per gli austriaci; ma eravamo decisamente inferiori per preparazione e mezzi rispetto ai tedeschi (e a Caporetto ci basto un piccolo assaggio delle loro tattiche per andare in rotta).

    Forse il crimine più grave di Caporetto fu che quella bella batosta ci permise di capire i nostri errori e migliorare l'addestramento e i mezzi dell'esercito, portandoci alla vittoria finale, ma fu un breve lampo di umiltà. Dalla vittoria di Vittorio Veneto in poi gli alti papaveri militari furono talmente accecati dalla conclusione positiva del conflitto, da farla diventare una sorta di mito intoccabile, e bloccare sul nascere ogni sviluppo militare che ne potesse mettere in contrasto il mito (complice il fascismo). Una illusione che ci costò carissimo nella seconda guerra mondiale.

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    1. Concordo con te su ogni parola: sulle cause di Caporetto si è smesso di riflettere troppo in fretta e del resto anche l'inchiesta di cui rende conto Barbero non ha mai prodotto un chiaro quadro delle responsabilità, quindi non ha nemmeno innescato una reazione o correzione adeguata verso i comportamenti e le pratiche fallimentari più evidenti oggi, a un secolo di distanza. Vittorio Veneto ha rilanciato un mito e insabbiato colpe, errori e conseguenze nazionali e sociali di Caporetto, infatti in apertura al libro di Barbero è posta una citazione di Prezzolini che indica in Caporetto una vittoria e in Vittorio Veneto una sconfitta, proprio perché «si diventa piccoli gonfiandosi con le menzogne e facendo risorgere i cattivi istinti per il fatto di vincere».

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