Parlarvi della mia ultima lettura è davvero difficile. L'albero
della nostra vita di Joyce Maynard (NN editore, traduzione di Silvia
Castoldi) è uno di quei romanzi che travolgono e disorientano:
appassionante, tumultuoso, struggente, ha tutto ciò che serve per
considerarlo un capolavoro di narrativa.
Fin dalle prime pagine mi sono resa conto di avere di fronte un testo fuori dall'ordinario, forte e delicato al tempo stesso. Mi sono subito sentita legata ad Eleanor, che entra in scena ormai nonna, in occasione del matrimonio del figlio maggiore, e nel giro di poche pagine torna la ragazza orfana che ha dovuto farsi largo nella vita da sola, col suo talento per il disegno e il desiderio di cominciare una nuova vita nella fattoria scovata per caso nel New Hampshire.
Fin dalle prime pagine mi sono resa conto di avere di fronte un testo fuori dall'ordinario, forte e delicato al tempo stesso. Mi sono subito sentita legata ad Eleanor, che entra in scena ormai nonna, in occasione del matrimonio del figlio maggiore, e nel giro di poche pagine torna la ragazza orfana che ha dovuto farsi largo nella vita da sola, col suo talento per il disegno e il desiderio di cominciare una nuova vita nella fattoria scovata per caso nel New Hampshire.
Il romanzo ripercorre tutta
la storia di Eleanor dai tempi del college fino a riallacciarsi alla
scena di apertura. La vediamo incontrare Cameron - Cam, l'amore della
sua vita, iniziare subito una storia di passione lì, nella fattoria in
cui metterà al mondo tre figli, Alison, Ursula e Toby, e costruirà per
loro l'infanzia perfetta; la vediamo tollerare il fatto che Cam non
abbia un vero lavoro e che tocchi sempre a lei trovare le soluzioni per
far entrare in casa del denaro ed evitare che ne esca troppo insieme,
alimentata dall'amore incondizionato per la sua meravigliosa famiglia.
Finché un giorno qualcosa - qualcuno si rompe, cessa di essere quello
che era, a seguito di un incidente che porta nella vita di Eleanor il
rancore, la frustrazione, l'ira e l'incapacità di rimanere attaccata
alla dolce e rumorosa routine faticosamente ma affettuosamente costruita
ad Akersville, poco lontano dalla cascata dove ogni anno, al disgelo, i
bambini e i genitori calavano in acqua le barchette con gli omini di
sughero. Per Eleanor rimanere alla fattoria diventa insostenibile, ma
lontano dalla sua casa perde entusiasmo, motivazione, si trascina nella
speranza di trovare un po'dell'affetto perduto e nel tentativo di non
precipitare a Follilandia, lo stato di agitazione convulsa e rabbiosa a
cui troppo spesso l'hanno fatta assistere i genitori, egoisticamente
impegnati nelle loro liti e in un rapporto che sembrava volerla
estromettere sempre di più.
Come dicevo, è difficile spiegare cosa sia L'albero della nostra vita. L'avvolgente famiglia di Eleanor diventa per tutto il tempo della lettura un ambiente consueto, accogliente, del quale si finisce per sentirsi parte. Sembra di essere nell'unico bagno della fattoria, accanto a Toby che suona il suo piccolo violino, sembra di poter indossare i pattini insieme a Cam e ai bambini per pattinare sul laghetto, sembra di osservare le tavole illustrate di Eleanor spuntando alle sue spalle; si vorrebbe poter dire qualcosa che allevi il disagio di Alison dopo la sua decisione di farsi chiamare Al e di rimarcare la sua non appartenenza al sesso col quale è nata, ci si lascia contagiare dall'ottimismo di Ursula, finendo però per chiedersi quanto del suo entusiasmo sia autentico e quanto, invece, uno struemento pensato per riempire le crepe che sente aprirsi. Ma è di certo Eleanor a raccogliere più di tutti l'affetto del lettore, pur con i suoi errori, le sue imperfezioni, le scelte che compie anche nella consapevolezza che la danneggiano, perché l'unica cosa che vede è il bene dei suoi figli, al quale è disposta a sacrificare tutto. Eleanor fa propria, non senza un lacerante conflitto, una rassegnata accettazione, che la condurrà a comprendere che a tutto si sopravvive, anche quando sembra di dover essere annientati, e a trovare il suo modo per fare pace con il proprio passato, con un grido di rivalsa o con il perdono.
Con questo romanzo Joyce Maynard dà voce a sentimenti diversissimi e apparentemente incompatibili, riuscendo a farli affermare anche attraverso la prospettiva dell'unica protagonista, Eleanor. Da questo complesso personaggio si sprigiona un'interiorità fatta di contrasti, tormenti, vortici generati dal succedersi di sogni, aspettative, delusioni e successi, in un delicato equilibrio che sembra doversi spezzare da un momento all'altro e che, una volta infranto, pare impossibile da ricomporre. Eppure Eleanor va avanti, vacilla, ma rimane in piedi, come il Vecchio Signor Frassino che veglia sulla fattoria e, anzi, ancor più di lui.
Ogni altra parola finirebbe per annacquare una storia perfetta. Leggetelo. Leggete L'albero della nostra vita e preparatevi a non capire più le vostre stesse emozioni.
Come dicevo, è difficile spiegare cosa sia L'albero della nostra vita. L'avvolgente famiglia di Eleanor diventa per tutto il tempo della lettura un ambiente consueto, accogliente, del quale si finisce per sentirsi parte. Sembra di essere nell'unico bagno della fattoria, accanto a Toby che suona il suo piccolo violino, sembra di poter indossare i pattini insieme a Cam e ai bambini per pattinare sul laghetto, sembra di osservare le tavole illustrate di Eleanor spuntando alle sue spalle; si vorrebbe poter dire qualcosa che allevi il disagio di Alison dopo la sua decisione di farsi chiamare Al e di rimarcare la sua non appartenenza al sesso col quale è nata, ci si lascia contagiare dall'ottimismo di Ursula, finendo però per chiedersi quanto del suo entusiasmo sia autentico e quanto, invece, uno struemento pensato per riempire le crepe che sente aprirsi. Ma è di certo Eleanor a raccogliere più di tutti l'affetto del lettore, pur con i suoi errori, le sue imperfezioni, le scelte che compie anche nella consapevolezza che la danneggiano, perché l'unica cosa che vede è il bene dei suoi figli, al quale è disposta a sacrificare tutto. Eleanor fa propria, non senza un lacerante conflitto, una rassegnata accettazione, che la condurrà a comprendere che a tutto si sopravvive, anche quando sembra di dover essere annientati, e a trovare il suo modo per fare pace con il proprio passato, con un grido di rivalsa o con il perdono.
Con questo romanzo Joyce Maynard dà voce a sentimenti diversissimi e apparentemente incompatibili, riuscendo a farli affermare anche attraverso la prospettiva dell'unica protagonista, Eleanor. Da questo complesso personaggio si sprigiona un'interiorità fatta di contrasti, tormenti, vortici generati dal succedersi di sogni, aspettative, delusioni e successi, in un delicato equilibrio che sembra doversi spezzare da un momento all'altro e che, una volta infranto, pare impossibile da ricomporre. Eppure Eleanor va avanti, vacilla, ma rimane in piedi, come il Vecchio Signor Frassino che veglia sulla fattoria e, anzi, ancor più di lui.
Ogni altra parola finirebbe per annacquare una storia perfetta. Leggetelo. Leggete L'albero della nostra vita e preparatevi a non capire più le vostre stesse emozioni.
C.M.Ma perché la gente era convinta che avere una casa in ordine, o silenziosa, fosse una gran cosa? Per Eleanor il rumore delle voci della famiglia era una musica. Anche quando soffocavano la sua. Anche quando soffocavano quella del marito. [...]
C'era sempre qualcuno che aveva bisogno di lei. Dare da mangiare, fare il bagno, allacciare le scarpe. C'erano giocattoli persi, musica di violino, Barbie, sassi, cerotti, abiti indesiderati, diorami di vulcani, insetti, Lego, popcorn, dolore. E poi di nuovo gioia.
Vieni a vedere.Vieni a giocare. Nella vita dei suoi figli un evento non era reale a meno che non glielo avessero raccontato, a meno che lei non vi avesse assistito.
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