Oh, Happy's Day!

Felicità. Decine di canzoni che la cantano, miliardi di persone che la inseguono. Dopo Simona Molinari con Peter Cincotti, dopo Albano e Romina, dopo Alexia, dopo Bobby McFerrin, anche l’ONU si dedica alla felicità (si perdoni il sarcasmo, in realtà intendo essere molto seria).
Quest’oggi, 20 marzo 2013, si celebra la prima Giornata internazionale della Felicità, fissata lo scorso luglio con un comunicato delle Nazioni Unite che si apriva così: «Un cambiamento profondo di mentalità è in corso in tutto il mondo. Le persone ora riconoscono che il ‘progresso’ non dovrebbe portare solo crescita economica a tutti i costi, ma anche benessere e felicità».

 
Io non sono un’amante delle giornate per: ne abbiamo talmente tante che non le conosciamo e non le possiamo valorizzare, mentre sarebbe più serio armarsi quotidianamente di buoni valori e buone intenzioni. Ma non voglio essere sempre pars destruens, e approfitto della ricorrenza per una breve riflessione.
Che la principale organizzazione internazionale si preoccupi di definire l’importanza del fattore felicità nell’esistenza degli uomini e delle Nazioni è infatti, indipendentemente dalla ricorrenza, un segno di buon auspicio. Certo, nessuno si può illudere che da domani questo valore si sostituisca alla speculazione borsistica, ma una sanzione scritta dell’ONU sarà sempre un motivo in più per confidare che, prima o poi, magari quando la crisi si sarà placata e ci sarà il tempo per riflettere sull’assurdità del modello finanziario finora perseguito, si cominci a parlare di qualità della vita, sostituendolo nella graduatoria di importanza all’astrazione dei numeri.
Riporto, brevemente, uno stralcio del famoso discorso tenuto da Robert Kennedy il 18 marzo 1968 di fronte agli studenti dell’Università del Kansas:

«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo. […] Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.»

Credo che dilungarmi sarebbe alquanto superfluo: per ciascuno la felicità assume facce diverse, c’è chi la cerca nella vita quotidiana, chi nella realizzazione di un progetto più ampio. Dopo una canzone e un ritaglio di storia, tuttavia, voglio suggerire un film che, forse, molti di voi avranno visto: La ricerca della felicità (2006), diretto da Gabriele Muccino e interpretato da Will Smith e Jaden Smith. É una pellicola che commuove, fa arrabbiare e imprecare, ma che, per tutto il tempo, racconta con grande tenerezza il difficile percorso per la realizzazione di un sogno, di un’aspirazione o, più semplicemente, per il benessere cui tutti dovrebbero avere il diritto.

«Felicità è aiutare gli altri. Quando con le nostre azioni contribuiamo al bene comune, noi stessi ci arricchiamo. È la solidarietà che promuove la felicità.» (Ban Ki-moon)

C.M.

Commenti

  1. Trovo straordinario quanto le parole di Kennedy siano attualissime in questi anni. Purtroppo oggi il valore di una società civile si misura esclusivamente su dei numeri che dovrebbero rappresentare la sua forza finanziaria, e cosi si è creato un circolo dove non si guarda più alle persone e alle loro esigenze, qualità e benessere ma a dei numeri stampati sulla carta o su un monitor di pc. I lavoratori non vengono assunti per la loro professionalità ma in base ad esigenze produttive in numero, le scuole non vengono organizzate in modo da garantire la qualità a tutti gli studenti ma in base a parametri numerici. Stesso dicasi per ospedali, trasporti pubblici e tasse solo per citarne alcuni. E finchè l'essere umano e il suo fabbisogno personale non tornerà protagonista dei piani di sviluppo della socità civile, avremo un mondo sempre più disuguale e ingiusto.

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    1. E' lo stesso motivo per cui si ritiene, a torto, che le professioni o gli studi che hanno a che fare con i numeri siano superiori a quelle che conferiscono o sviluppano competenze da mettere al servizio del benessere. Eppure una società felice, istruita, con possibilità di svago di qualità saebbe anche una società più poduttiva e stabile.

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