Repubblica delle banane since I sec. a.C

Mentre cercavo una definizione per presentare nel modo più oggettivo possibile uno dei problemi più gravi del nostro Paese, mi sono imbattuta in una curiosa equazione. Normalmente, sarei fuggita da una sequenza anche solo vagamente algebrica, ma, per una volta, mi sono trovata a confermare che la matematica non è un’opinione.
La formula in questione è la seguente:

C = M + S - R

Stavolta non si tratta dell’equazione del sandwich perfetto, ma della sintesi del funzionamento del meccanismo della corruzione (C), dove M rappresenta il monopolio, S la segretezza e R la responsabilità. Parlando la lingua di noi mortali, ci torna utile la sintesi verbale di R. Klitgaard (International Cooperation Against Corruption, 1997): «La corruzione è un reato basato sul calcolo, non sulla passione. La persone tendono a corrompere o a essere corrotte quando i rischi sono bassi, le multe e punizioni minime, e le ricompense grandi». 
É sotto gli occhi di tutti come, in Italia, i monopoli di cariche, settori economici e cerchie amministrative siano fuori da ogni controllo. Chi ricopre incarichi fondamentali per la gestione di un settore beneficia di grandi privilegi privi di qualsiasi bilanciamento in termini di responsabilità: condizioni perfette per la Cleptocrazia (letteralmente ‘governo dei ladri’) o, per dirla in termini sicuramente più maneggevoli Repubblica delle banane; infatti questo termine, coniato dallo scrittore O. Henry (1904) per designare lo stato sudamericano dell’Honduras, indica comunemente piccole nazioni latino-americane o caraibiche caratterizzate da un’economia prevalentemente agricola e da governi oligarchici fortemente corrotti.
Si tratta, a dire la verità, di una situazione che ha contraddistinto la nostra penisola fin dai tempi della Repubblica romana. Leggendo le orazioni di Cicerone Contro Verre (70 a.C.), si rimane sconcertati dalla somiglianza fra la gestione del territorio e del potere del I secolo a.C. e quella odierna: fin dalle prime battute dell’arringa con cui Cicerone richiede di poter rivestire il ruolo di accusatore ufficiale (una sorta di pubblico ministero dei giorni nostri) emerge un quadro disastrato del rapporto fra governatori, clienti e amministratori della giustizia. Per citare solo un passaggio, vi riporto le argomentazioni dell’oratore contro il suo principale concorrente per l’incarico di accusatore, Quinto Cecilio Nigro, chiaramente colluso con l’imputato:
«Eri tu il questore, tu amministravi il denaro pubblico, ed era tuo dovere impedire che il pretore, anche se lo desiderava, potesse sottrarne. […] Gli appaltatori pretesero dalle città denaro invece che frumento? E allora? C’era solo il pretore Verre quando ciò accadde? No, c’era anche il questore Cecilio.» (Verrinae I, 32-33.)
Ma non basta: nel corso del dibattito emerge che, per sottrarsi alla causa, Verre (ma dobbiamo ragionevolmente credere che non fosse un caso troppo isolato) aveva favorito l’elezione al consolato del proprio avvocato, Quinto Ortensio Ortalo, in seguito alla quale l’imputato divenne oggetto di congratulazioni del tipo: «Con le elezioni di oggi sei stato assolto.» (Ibid. II, 19).
Potrei continuare ad elencare le nauseanti affinità fra quel processo e le note dinamiche italiane, ma credo che i pochi elementi forniti siano emblematici. Volete il nome di un altro autore che, ad una certa distanza di tempo sia da Cicerone che da noi, ha tuonato contro la corruzione? Luigi Pirandello, nel 1913, ne I vecchi e i giovani, tuonava contro lo scandalo della Banca romana, parlando di un’alluvione di melma dalle cloache svuotate.
 
 
Un male di antica data, insomma. Ma il rimedio esisterebbe.
È passato circa un anno da quando sono stati resi pubblici i risultati di uno studio tedesco condotto da N. Potrafke che, nell'articolo Intelligence and corruption, sulla base di un’analisi comparativa fra 125 Paesi del mondo, ha rilevato un rapporto di inversa proporzionalità fra investimenti nelle politiche culturali e corruzione: quanto più l’offerta culturale è bassa, tanto più i meccanismi di corruzione e malaffare riescono a radicarsi e, quindi, a frenare lo sviluppo. Il 26 febbraio 2012, Gilberto Corbellini, nel suo articolo La conoscenza ci libera dal pizzo, parlava dei risultati dell’analisi e scriveva: «La classe politica italiana] non si rende conto del fatto che i Paesi nei quali, storicamente e attualmente, si cresce economicamente e dove si registra un grado elevato di senso civico investono cospicuamente in cultura».
Temo di non poter essere candida e benpensante quanto Corbellini, che chiama in causa l’ingenuità e la scarsità di avvedutezza e documentazione dei politici, attribuendo all’incapacità della classe dirigente la mancanza di quelle politiche di investimento culturale e formativo che ridurrebbero notevolmente l’impatto della corruzione. Io, che, come si è forse intuito dagli interventi precedenti, appartengo al novero delle malelingue e seguo il motto del Cardinal Mazzarino «a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca», attribuisco la penuria di risorse culturali ad una deliberata scelta da parte dei governi e delle assemblee parlamentari che si sono susseguiti negli ultimi decenni e che manifestano una propensione endemica alla corruzione. Una classe politica corrotta ha tutto l’interesse ad alimentare il circolo vizioso dell’ignoranza e della cattiva formazione e informazione: è spirito di sopravvivenza; sa benissimo che quanto occorre all’Italia per crescere economicamente e socialmente, per risanare le amministrazioni e per progredire nella ricerca è un investimento culturale, ma si guarda bene dall’attuarlo!
La cultura è costituita dalla formazione familiare e scolastica, dall’informazione e dal confronto delle opinioni, ed è per l’individuo la fonte inesauribile della criticità: disporre di una solida formazione culturale rende più consapevoli, quindi meno soggetti ai raggiri che i politici e, più in generale, le persone che ricoprono ruoli amministrativi in qualsiasi settore, mettono in atto continuamente ai danni dei cittadini. La cultura alimenta, altresì, il senso civico, il sentimento di appartenenza alla Nazione, la consapevolezza di essere una massa con una potenzialità di reazione tutelata per legge, stimola l’unità e alimenta il disgusto per tutto quanto infanga tali valori. Un popolo che dispone di scuole, di sistemi di accesso all’istruzione libero da vincoli economici, e di strutture di divulgazione culturale non si fa abbindolare da promesse irrealizzabili, non scende in piazza per manifestare in favore di coloro che infrangono la legge. La cultura alimenta la meritocrazia e, di conseguenza, abbatte i meccanismi basati sui sotterfugi e sul successo facile. Ecco perché un fattore C1 andrebbe inserito nell’equazione riportata in apertura.
Ma voglio chiudere qui le mie divagazioni, certa che per illuminare le situazioni più torbide bastino poche, essenziali parole. Quelle parole sono nell’abstract premesso all’articolo di Potrafke, che suona come un’epigrafe lucida, vibrante: «Countries with high-IQ populations enjoy less corruption. I propose that this is because intelligent people have longer time horizons»

C.M.

Commenti

  1. La corruzione è come un cancro per una nazione.
    In Italia purtroppo questo cancro è più esteso che in altri paesi, e ogni giorno ascoltiamo, notizie riportate da quotidiani e televisioni che ci raccontano del livello di "marcio" in cui versa la nostra società, basta pensare ad appalti truccati, sottrazione indebita di denaro pubblico, conflitti d'interesse più o meno gravi e corruzione di onorevoli(che tanto onorevoli non sono) giusto per citarne qualcuno. I primi che dovrebbero cercare di arginare il fenomeno, sono coloro che il popolo elegge per amministrare lo Stato ma, ironia della sorte, sono i primi ad aver fatto della corruzione la loro filosofia di vita per giochi di potere e/o proprio tornaconto personale. Sono loro che dovrebbero promuovere e dotare le autorità giudiziarie e di polizia di mezzi per ostacolare il fenomeno, e invece cosa fanno? Depenalizzano i reati di corruzione, gridano alla persecuzione, creano ignoranza ostacolando la cultura e l'educazione civica, dissimulano per far passare pian piano l'indignazione della gente finchè quest'ultima dimentichi tutto o ci faccia il callo finendo per non indignarsi più neanche difronte all'evidenza, e peggio ancora, comincia a usare ella stessa la corruzione.

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    1. Se la mentalità perversa della corruzione facesse parte solo della classe che amministra e governa la cosa pubblica (anche se, va detto, il privato non ne soffre di meno), il livello del fenomeno sarebbe più basso. Purtroppo ci sono anche tanti cittadini comuni che, come se non fossero danneggiati da una simile situazione, la fomentano indirettamente. Non è accettabile che al grido di "persecuzione-persecuzione" migliaia di uomini e donne si sollevino contro le istituzioni che rappresentano la Legge, confondendo un'elezione o la nomina ad un'alta carica con il diritto di perpetrare oltraggi e crimini impunemente.

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  2. Non è solo inaccettabile, è vergognoso!!! Eppure è proprio questo l'effetto della mancanza di cultura ossia la manipolazione delle masse. L'ignoranza(intesa col suo vero significato) non ti permette di riconoscere il vero dal falso, finendo per credere a quello che vogliono far credere unicamente perchè ricoprendo determinate cariche, ritenute importanti e di prestigio, inconsciamente si tende a riconoscere autorità nelle loro parole.

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    1. L'aspetto inquietante è che tutto questo possa accadere in un Paese in cui sono state perpetrate diverse forme di manipolazione per secoli. Con la diffusione dell'istruzione e della rete, col libero accesso a contenuti di provenienza varia e con il progredire dei tempi ci si aspetterebbe che certe tendenze svanissero, ma siamo ancora ben lontani dal vedere realizzate speranze di questo genere.

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