Incantesimi antichi: Medea I - La Signora dei filtri

Medea è forse più nota come assassina dei suoi figli che come maga, perché la tragedia di Euripide, pur consegnando la scena più raccapricciante di tutte proprio alle arti occulte della donna (vv. 1125-1203), mette in luce soprattutto la sua facies di donna tradita e di madre in conflitto con se stessa per la salvaguardia dell'onore proprio e dei figli che ha dato a Giasone. La vicenda personale di Medea, tradita dall'uomo che lei stessa aveva salvato nella conquista del Vello d'oro, permettendogli la conquista dell'ambito trofeo, è fra le più note della mitologia classica, ma la complessità delle arti incantatorie della donna è un dato che merita particolare attenzione. Perché, prima che come assassina, Medea è ricordata come 'La più pericolosa delle manipolatrici di filtri' (Suda, s.v. Medea).

E. de Morgan, Medea (1889)

Come Circe, anche Medea, secondo una tradizione documentata da Diodoro Siculo, discende da Ecate, dalla quale ha appreso tutto quanto sa sulla magia; come Circe (ci cui è forse sorella o nipote), vanta un'ascendenza solare, per parte di padre. La doppia eredità, se non determinabile attraverso le fonti, è giustificata dallo spettro delle sue imprese, in parte legate all'ammaestramento di Ecate, in parte in stretta connessione con i poteri mantici e con le figure legate al Sole (è del dio il carro su cui ella fugge alla fine della tragedia euripidea). Gli incantesimi di Medea si suddividono in due grandi gruppi: quelli realizzati attraverso filtri, pozioni e unguenti e quelli che la vedono operare attraverso il proprio corpo, servendosi dello sguardo e della voce. In un contesto mediano si colloca l'incantesimo col cui pretesto Medea uccide Pelia, lo zio nemico di Giasone nel dominio di Iolco. In questa sede mi occuperò del primo tipo di sortilegio, in un prossimo post del secondo e del terzo.
I phàrmaka di Medea hanno il potere di salvare la vita o di dare la morte. Come apprendiamo dalle Argonautiche di Apollonio Rodio e da alcuni stralci delle tragedie perdute di Sofocle in cui ella era protagonista (Medea e I tagliatori di radici), li prepara tutti la maga stessa, cogliendo personalmente le erbe che le servono e conservandoli in ceste e vasetti, per poi riporre il prodotto finito in un elegante bauletto. Un aspetto interessante nella descrizione delle sue operazioni è la presenza del bronzo: contenitori e falcetti sono fatti di questo materiale, che risale all'età in cui si colloca l'origine di molte pratiche rituali (così Luck, Arcana mundi, 1997).
La prima, grande magia compiuta da Medea con i suoi intrugli è descritta da Apollonio Rodio, nel libro III delle Argonautiche e solo accennata nella Pitica IV di Pindaro (vv. 220-222). Giasone sta per accingersi alla missione affidatagli da Eeta per poter ottenere il vello: domare dei tori sputa-fiamme, aggiogarli, arare un campo, seminarvi dei denti di drago e uccidere i guerrieri che nasceranno dal terreno. Sfuggire alle fiamme dei tori è impossibile, ma Medea consegna a Giasone un unguento che lo proteggerà, riempiendolo di forza e vigore, e che potrà rendere più resistenti le sue armi (A.R. III, 1042-1049):

Inumidisci questo farmaco, poi, nudo,
cospargiti il corpo con l’unguento:
te ne verranno una forza infinita e una grande resistenza
che diresti degna non di uomini ma degli dèi immortali.
Ne siano cosparsi, insieme alla lancia, anche lo scudo
e la spada. In tal modo non ti feriranno né le lame
degli uomini nati dalla terra né l’inesauribile fiamma
guizzante dei terribili tori.

L'olio magico si chiama Prometeo ed è ricavato da un fiore nato dal sangue del titano scempiato dall'aquila che ne divorava il fegato (A.R. III, 843-866); curiosamente, anche il moly che protegge Odisseo dagli incanti di Circe sarebbe nato dalla goccia di sangue di una creatura non-umana, il gigante Pikoloos (l'episodio è riportato da Eustazio) e, come probabilmente il moly, anche il Prometo agisce per contatto.

J.W. Waterhouse, Medea e Giasone (1907)

Grazie all'aiuto di Medea, Giasone sconfigge i tori e supera la prova, anche se sarà necessario un nuovo tipo di magia per ottenere l'agognato premio delle sue fatiche. Innanzitutto, Medea, intenzionata a permettere il successo della missione di Giasone e a fuggire con lui, ricorre a delle polveri incantate per attrarre il fratello in un agguato, ucciderlo e sviare così l'attenzione dei suoi compatrioti dalla fuga (A.R. IV, 442-444).

Dopo che li ebbe così persuasi, disperse nell’aria e nel vento
polveri capaci di incantare, che attirano da lontano
le fiere selvagge facendole scendere dall’alto monte.

Una volta recuperato il vello e riconquistato il trono di Iolco, Giasone, che ha fatto di Medea la propria amante, sceglie di sposare Glauce, la figlia del re di Corinto, Creonte. In questo momento i phàrmaka di Medea si trasformano da sostanze protettive in armi mortali ed ella decide di scatenare quella violenza che i Greci temono comunque per pregiudizio nei suoi confronti (lo capiamo dalle parole di Creonte in Eur. Med. 282-285): fingendo di inviare un segno di pace, Medea fa consegnare un diadema e una ricca veste alla futura sposa di Giasone. Ma quei doni sono intrisi di un terribile veleno, che produce effetti devastanti, divorando le carni della giovane donna (Eur. Med. 1167-1203):

Poi si verificò uno spettacolo terribile a vedersi:
cambiato il colore della pelle, torna indietro vacillando,
le membra tremanti, e a stento raggiunge
lo scranno e su di esso si abbandona, evitando di rovinare a terra.
Una vecchia serva, credendo che si trattasse
del furore di Pan o di qualche divinità,
levò un grido, prima di vedere la schiuma bianca
che le colava dalla bocca e le pupille stravolte
e il sangue che più non scorreva sotto la pelle.
[…] Duplice era il dolore che la teneva avvinta:
l’aureo diadema posto intorno al suo capo
emana una cascata di fiamme divoranti
e il peplo finemente decorato, dono dei tuoi figli,
consuma la bianca pelle della sventurata.
Assalita dalle fiamme, si alza dallo scranno e fugge
agitando i capelli e la testa da una parte e dall’altra
nel tentativo di liberarsi della corona. Ma l’oro
restava saldamente attaccato e, come ella scuoteva
la chioma, più intenso il fuoco divampava.
Si accascia a terra, vinta dal dolore,
irriconoscibile a chiunque fuorché a suo padre:
infatti non si vedevano più né la forma degli occhi
né la bellezza del volto, e il sangue le scorre
dalla sommità del capo commisto al fuoco,
le carni si staccavano dalle ossa come resina di pino
a causa dei morsi invisibili dei veleni,
spettacolo tremendo. In tutti noi c’era la paura di toccare
la morta: quanto le era accaduto ci era servito di lezione.

La devastazione prodotta dai phàrmaka di Medea non sembra però farsi bastare due assasinii, se è vero che, come scrive Plutarco (Thes. 12, 2-3), giunta ad Atene in seguito alla fuga da Corinto sul carro del Sole, la maga, dopo aver curato la sterilità di Egeo (come aveva promesso in Eur. Med. 718-719) tenta di avvelenare Teseo, il figlio del sovrano.

W.R. Flint, Medea offre una coppa avvelenata a Teseo

'Donna dai molti farmaci', Medea riempie delle proprie imprese una consistente parte della produzione letteraria antica, non solo greca, ma anche latina. Gli episodi fin qui riportati si ascrivono alla parte più nota della mitologia e ai testi più conosciuti, ma Medea è molto più che una Signora dei filtri...

C.M.

NOTE: Questo post è la sintesi di uno studio che ho personalmente condotto sulla magia e sulle sue protagoniste all'interno della poesia greca antica e che ha costituito la mia tesi di Laurea magistrale, intitolata Thelktéria. Personaggi femminili, oggetti e parole della magia nella poesia greca da Omero all'età ellenistica. Si tratta del secondo appuntamento con questo ciclo di articoli, dopo quello dedicato a Circe; seguiranno gli articoli dedicati ad altre maghe della mitologia. Rimango a disposizione per chiarimenti bibliografici. Devo precisare che alcune deduzioni e ipotesi sulle analogie fra gli incantesimi di Circe e Medea sono frutto di personali interpretazioni suffragate dallo studio delle fonti. I testi sono proposti in una mia traduzione.

Commenti

  1. Molto, molto interessante!
    Ne parlavo con Giuseppe de “La cerchia di Minosse”: Medea non è una pazza scatenata che elimina i figli in un raptus, ma una donna e dea tradita che “fa giustizia” e punisce il mortale traditore “cancellando” la sua discendenza (=la sua “immortalità”, perpetuarsi nel mondo attraverso i figli).
    E come dea conosce profondamente “i segreti della natura”…
    Aspetto con trepidazione la seconda parte. Primo per rinfrescarmi la memoria, secondo per scoprire quei dettagli che non ho mai studiato.

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    1. Ricordo la discussione sul blog di Giuseppe e, in generale, tutti i suoi post dedicati alle vicende degli Argonauti, in effetti è tempo di rivedere le connotazioni di Medea, di smettere di considerarla una donna, ma di vederla come una dea: nessuno si scandalizza per le vendette disumane o sanguinose delle divinità olimpiche, a maggior ragione dovremmo essere cauti nell'interpretare una figura e un mondo che rispondono alle tradizioni più ataviche e arcane e che non possono essere inquadrate in una mentalità 'cittadina' e sociale...
      Ti aspetto al prossimo post, che dedicherò al lato di Medea che mi affascina di più!

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  2. Che bello leggerti, mi fai venire voglia di rispolverare i miei libri sulla mitologia.

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    1. Si tratta sempre di letture piacevoli e affascinanti, quindi ti incoraggio a rispolverarli!

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  3. Interessante. Quindi Medea è in grado di incantare vesti e oggetti in modo simile a quanto fece Nesso a Eracle? Non lo sapevo. In realtà conosco solo una minima parte della storia di Medea, perlopiù l'episodio reso famoso da tragedie e film.

    (Comunque 'sti denti di drago sono sempre una fregatura, non sapevo ricorressero anche altrove rispetto alla sequenza tebana.)

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    1. Esatto, Medea e Deianira (anche se in quest'ultimo caso la donna non ne è cosciente) compiono esattamente lo stesso tipo di incantesimo: ci tornerò parlando nello specifico della compagna di Eracle, perché l'episodio merita uno spazio autonomo.
      Il serpente (in greco è come dire drago, il termine è lo stesso nella maggior parte dei casi) è un animale onnipresente nella cultura antica: è il simbolo di Apollo e dei suoi veggenti, è l'animale che ricopre la testa di Medusa, quello che uccide Euridice e, nella tradizione magica, come si legge nel post dedicato a Medea e ai serpenti, ha un ruolo centralissimo. La variante dei denti di drago è molto originale, con l'eroe (Cadmo o Giasone che sia) che sembra doversi confrontare 'a distanza' con una creatura che, direttamente, non potrebbe sconfiggere e da una parte della quale, dunque, ricava dei nemici alla propria portata, anche se rigorosamente superiori di numero.

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