Incantesimi Antichi: Fedra

Uno stato di angoscia e di ‘mal d’amore’ accomuna Deianira alla protagonista dell’Ippolito di Euripide (428 a.C.). Sebbene nella sua storia la magia sia poco più che un cenno mai messo in pratica, anche la sposa di Teseo, invaghita del figliastro, sembra lasciarsi tentare dalla soluzione magica prospettata dalla nutrice per porre fine alle sue sofferenze amorose. La quasi totale ignoranza di queste pratiche da parte di Fedra e i suoi timori rispetto all’esito del rimedio la portano all’incapacità reale di prendere una decisione sul ricorso alle arti magiche suggerito dalla nutrice e tutto quanto la regina offre in controbattuta alla sua interlocutrice è una domanda (v. 516): il filtro (phàrmakon) di cui si consiglia l’utilizzo è una bevanda (potòs) o un unguento da spalmare (christòs)?
 
Alexandre Cabanel, Fedra (1880)

Nel primo episodio della tragedia, Fedra manifesta una sofferenza non solo psicologica, ma anche fisica, come dimostra l’entrata in scena della donna, sostenuta dalle ancelle; ha smesso di mangiare, cerca la morte, palesa i segni di una devastante malattia che la nutrice desidera portare alla luce e curare. Venuta a conoscenza dell’amore della regina per Ippolito, così parla la nutrice (Eur. Hipp. vv. 509-515):

Ho in casa filtri magici
d’amore (mi è appena venuto in mente)
che senza vergogna e senza danno porranno fine
al tuo male, se non avrai una cattiva disposizione.
Dunque ci occorre qualcosa che appartenga
a colui che brami, una ciocca di capelli o un brandello
di veste: venga da queste due cose un unico beneficio.

Ai vv. 388-390 Fedra aveva espresso la convinzione che non esistesse un farmaco capace di cambiare i suoi sentimenti, quindi si deve dedurre che il rimedio della nutrice consista non in un farmaco liberatore che abbia effetto su Fedra attraverso l’estinzione della passione, bensì in un filtro d’amore o in un incantesimo verbale destinato a piegare i sentimenti di Ippolito. Il dato che crea perplessità, tuttavia, è a carico del fruitore del phìltron; se, infatti, la soluzione più semplice e logica, anche in considerazione dell'analogo comportamento di Deianira, è la somministrazione di filtri erotici agli amati, che ci farebbe pensare ad un’assunzione del phàrmakon da parte di Ippolito, P. Oikonomopoulou e W.S. Barrett, sostengono che la pozione debba essere assunta dalla stessa Fedra e non allo scopo di curare il suo mal d'amore, bensì per ricondurre Ippolito da lei come uno schiavo. 
 
Particolare del sarcofago di Ippolito e Fedra (III sec.), Agrigento, duomo - foto di Athenae Noctua

Il filtro, dunque, in accompagnamento a epoidaì, e lògoi thelktèrioi (v. 478, due espressioni che indicano gli incantesimi verbali), agisce attraverso un meccanismo di magia simpatica, secondo quella legge di contagio che J. Frazer ha teorizzato come una delle due basi della fiducia nell’azione magica. Occorrono, pertanto, per la realizzazione dello scopo prefissato, degli elementi appartenenti ad Ippolito, oggetti che sono stati a stretto contatto con lui, addirittura addosso al suo corpo: una ciocca di capelli oppure un brandello di veste, in quanto considerati diretta rappresentazione del giovane. Questa pratica doveva essere molto diffusa nel mondo antico, poiché anche Simeta, la maga del secondo idillio teocriteo, dichiara di aver trovato una frangia del mantello dell’amato Delfi e la getta nel fuoco sperando di produrre un riavvicinamento dell’uomo.
Per quanto non si possa rilevare una netta condanna verso pratiche di agoghè (cattura) cercate da Fedra come da Deianira, la paura della donna di ricevere onta e danno dal ricorso a qualche tipo di phàrmakon (v. 510-511) suggerisce che vi sia la percezione di un'azione moralmente ripugnante. Fedra, infatti, non si piegherà a questi espedienti magici, ma consumerà il proprio dramma e quello di Teseo in modo assolutamente umano, ma non meno ingannevole di un sortilegio: sfrutterà il potere dissimulatore delle parole.

C.M.

NOTE: Questo post è la sintesi di uno studio che ho personalmente condotto sulla magia e sulle sue protagoniste all'interno della poesia greca antica e che ha costituito la mia tesi di Laurea magistrale, intitolata Thelktéria. Personaggi femminili, oggetti e parole della magia nella poesia greca da Omero all'età ellenistica. Si tratta del sesto appuntamento con questo ciclo di articoli, dopo quelli dedicati a Circe, a Medea (parte I, parte II e parte III) e a Deianira; seguirà un ultimo articolo dedicato ad Elena per chiudere la serie delle maghe del mito. Rimango a disposizione per chiarimenti bibliografici.

Commenti

  1. Trovo che questo percorso sia veramente interessante.
    L'ho letto a tratti, mi sono soffermata su Circe, Deianira e adesso Fedra, dovrò recuperare Medea di cui adoro l'illustrazione che ne fece Alphonse Mucha.

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    1. Ti ringrazio: manca ancora una maga per completare il quintetto e chiudere il ciclo (almeno per questa prima parte, sto ancora pensando se proseguirlo con altri aspetti trattati nella mia tesi). Grazie anche per avermi fatto scoprire la Medea di Mucha, sicuramente una raffigurazione molto bella e particolare.

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  2. Bellissimo excursus come sempre Cristina.Fedra è un personaggio poco ricordato nella mitologia,ma almeno da parte mia di gran fascino,forse per la sua passione così fuori dal limite...

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    1. Grazie, Michela. Hai ragione a sottolineare la marginalità di Fedra, personaggio che ha dato immediatamente origine ad una consistente tradizione (penso a Seneca e Racine), ma che, nella percezione comune, rimane la donna che con l'inganno ha causato la morte del figliastro, accusandolo di averla sedotta in quanto non ricambiata; la storia è più complessa e non va dimenticata la centralità nella divinità nel causare il suo delirio amoroso, cosa che, invece, accade spesso. Un po'come Medea, anche Fedra meriterebbe uno sguardo più ampio che sia più rispettoso della mentalità antica e non influenzato dall'ansia di modernizzazione che spesso prevale nella lettura dei miti... e tenterò di farlo anche a proposito dell'ultima protagonista di questa serie.

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