Ultime lettere di Jacopo Ortis - Ugo Foscolo

Più i libri che fanno parte dello studio scolastico sono lontani nei secoli, più risulta difficile trovare la voglia e il tempo per leggerli: ci sembra già di conoscerli fin troppo, di averne letto tutte quelle parti che l'impostazione di una lezione o di un manuale ha rilevato essere le fondamentali. Invece l'incontro diretto con l'intera opera rivela significati che quei manuali e quelle lezioni mai avrebbero potuto mettere in luce e che si manifestano solo nell'intimo rapporto della lettura spontanea.
La mia ultima sfida, in tal senso, ha riguardato il più antico romanzo epistolare italiano, Ultime lettere di Jacopo Ortis, del quale sia i toni che i contenuti mi hanno colpita in maniera ben più forte di quanto avrei potuto pensare sulla base dell'infarinatura scolastica. 
Scritto, come dichiara lo stesso autore, sotto l'influenza della lettura de I dolori del giovane Werther di Goethe, il testo foscoliano in parte ne ricalca la trama, in parte si muove con in modo innovativo; se, infatti, la storia di Werther è concentrata sulla condizione di un giovane intellettuale che non trova il giusto apprezzamento nella società e che soffre per l'impossibilità di appagare i sentimenti che trova per Charlotte, promessa ad un altro uomo, il suo corrispettivo italiano unisce a questi temi un'intensa nota patriottica, che cala nel romanzo la vicenda biografica di Ugo Foscolo: anche Jacopo, come il suo creatore, ha riposto le sue speranze in una liberazione di Venezia dal gioco dell'oligarchia da parte di Napoleone, ma viene deluso dal tradimento siglato dal generale francese con Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), che vede la fine della Serenissima e la svendita del suo territorio agli Austriaci. Inizia così per Jacopo un'esistenza di peregrinazioni che lo porta fra i colli Euganei, dove avviene l'incontro con la bella Teresa che, pur sembrando ricambiare i sentimenti di Jacopo, è, come la Lotte di Werther, promessa ad un altro uomo, Odoardo. La frustrazione della passione amorosa e degli ideali di azione civile spingono Jacopo ad allontanarsi dalla tenuta padovana e a spostarsi per l'Italia settentrionale e a tornare nella sua casa euganea solo per incontrare un'ultima volta Teresa e togliersi la vita.
Nell'Ortis c'è, insomma, un più profondo colore realistico, tratto, oltre che dagli avvenimenti in cui è coinvolto l'autore, da un dato di attualità che sembra essere alla base dell'ideazione del testo, ovvero il suicidio di un giovane studente friulano. Il romanzo, dapprima incentrato sulla traduzione della passione di Ugo Foscolo per Isabella Teotochi Albrizzi, si arricchisce via via negli anni, arrivano alla sua forma definitiva dopo vent'anni di elaborazione (1817).
La prosa di Foscolo non è coinvolgente e ammaliante quanto la sua poesia e i toni del lamento amoroso sono fin troppo svenevoli, ma le pagine in cui l'intellettuale speranzoso vede via via sbiadire e scomparire i propri ideali culturali e nazionali sono piene di emozione e permettono di conoscere dall'interno la drammatica situazione di quella generazione speranzosa che alla fine del Settecento inizia ad agitare quei fermenti che, nel secolo successivo, faranno esplodere i conflitti d'indipendenza italiani.
 
Proprio per questo aspetto le Ultime lettere di Jacopo Ortis meritano pienamente la posizione di rilievo che normalmente viene attribuita a scuola al romanzo: oltre che una testimonianza dello spirito preromantico, il romanzo offre una panoramica storica e, insieme, un quadro culturale del tempo, soprattutto nelle lettere in cui Jacopo racconta della visita alla casa del Petrarca e dei sentimenti che ispira (20 novembre 1797), dell'incontro con Parini a Milano (4 dicembre 1798), nei momenti in cui, con la sua visione pessimistica e con gli sfoghi diretti alla Natura, sembra anticipare Leopardi e nell'accorata missiva da Ventimiglia (19-20 marzo 1799), congedo doloroso da una vita di infelicità passata ad assistere una Patria che è incapace di trovare pace e concordia. Questa globalità di significati mi porta ad accostare il romanzo più al successivo capolavoro di Nievo, Confessioni d'un Italiano, che all'antecedente tedesco: Jacopo ha in sè una tensione e un amor di patria che sottraggono il suo titanismo all'individualismo e ne fanno una emozionante bandiera civile.

«Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so; ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.» (incipit)

C.M.

Commenti

  1. A me non era dispiaciuto. Ovviamente l'avevo letto a scuola, integralmente. Salvo alcune parti un po' patetiche (come quella dove si recava a Ventimiglia) un po' troppo... non so, ce le vedo meglio in poesia. Fra parentesi, del Foscolo ho letto anche la sua traduzione del Viaggio Sentimentale di Sterne e ce l'ha proprio, questo approccio patetico.
    (Dico "patetico", spero si capisca, non nel senso comune spregiativo).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certamente si capisce, anzi, è sicuramente l'aggettivo più adatto per descrivere il suo stile, tanto più se supporti questa idea con un confronto con lo stile della traduzione. Anch'io, comunque, come ho già detto, lo preferisco in poesia, trovo che nei versi ci siano quell'equilibrio e quella capacità evocativa che stemperano il patetico del Romanticismo con la compostezza del Neoclassicismo.

      Elimina
  2. ... è incredibile. Senza conoscerci, stiamo facendo un percorso parallelo.
    Ne approfitto per augurarti buona Pasqua!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A volte si fanno queste scoperte, è sempre bello! Grazie degli auguri, che ricambio con entusiasmo! :)

      Elimina

Posta un commento

La tua opinione è importante: condividila!