Enrico IV - Luigi Pirandello

Di Pirandello si leggono molto più volentieri i romanzi e le novelle che i testi teatrali, eppure è proprio come drammaturgo che l'autore agrigentino era apprezzato maggiormente, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, e come tale è stato insignito del premio Nobel nel 1934. I suoi pezzi teatrali, però, essendo filosoficamente ed eticamente carichi quanto la narrativa, sono difficili da leggere: molto meglio vederli recitati e dare dei volti alle battute.

Il mio primo impatto con Enrico IV non è stato proprio positivo: tantissimi scambi apparentemente scritti per ritardare l'azione, riferimenti storici e nomi al quadrato, perché si tratta di un'opera metateatrale, in cui i personaggi interpretano a loro volta dei ruoli. Questo perché il protagonista, caduto all'età di ventisei anni da cavallo durante una rievocazione mascherata in cui interpretava Enrico IV di Franconia, in seguito al trauma si è convinto di essere a tutti gli effetti l'imperatore salico. I suoi parenti e visitatori, dunque, devono reggere la farsa e travestirsi, assumendo l'identità di personaggi contemporanei ad Enrico IV. Fra questi ci sono il nipote Carlo e l'amata di giovinezza di Enrico, la marchesa Matilde Spina, che impersonava Matilde di Canossa nella fatidica mascherata; con loro arrivano Belcredi, l'amante della marchesa, la loro figlia Frida (fidanzata di Carlo), copia perfetta della madre in giovinezza, e un dottore chiamato per dare il proprio parere sulla faccenda.
Al primo incontro con Matilde, abbigliata e presentata come la madre di Enrico IV Adelaide e madre della promessa sposa di lui, Berta, Enrico non dà segni di riconoscere la sua antica fiamma, eppure ella è convinta del contrario. Solo i quattro servi di Enrico, anch'essi parte da anni del suo mondo storico e farsesco, sono al corrente dell'avvenuta guarigione di Enrico, che aspetta solo l'occasione per rinfacciare ai suoi ospiti la vita infelice e solitaria consumata negli anni della pazzia. Ma c'è di più: avrà finalmente l'occasione per incolpare del suo stato e della sua miseria Belcredi, il responsabile dell'incidente, colui che aveva volontariamente fatto impennare il suo cavallo, sperando che Enrico morisse e la Matilde fosse finalmente sua.
Ma alla confessione seguirà un avvenimento imprevisto dal rancoroso Enrico: alla vista di Frida, la Matilde di un tempo, egli è preso dalla confusione, non sapendo più se stia vivendo il presente del savio o rivivendo il passato del ventiseienne bloccato perennemente dalla follia nella recita dell'XI secolo. Preso da uno slancio passionale, Enrico abbraccia Frida, scatenando la reazione di Belcredi, che si scaglia su di lui, finendo trafitto al ventre. Di fronte al suo delitto, ad Enrico non resta che una via di scampo, un solo modo per superare i sensi di colpa e inghiottire l'amarezza di una vita sprecata a credere di essere qualcun altro: scegliere ancora una volta la strada della follia e dell'inconsapevolezza.
Come dicevo, la prima lettura mi ha dato qualche problema: non riuscivo a visualizzare i personaggi, a vederli muoversi, ad attribuire loro precisi punti di vista. Tornando sul dramma, però, ho avuto modo di rimanere più attenta e di distinguere i proprietari delle diverse voci, cogliendo in ciascuno di loro un pezzetto di quella filosofia che Pirandello, solitamente, affida in blocco ad un personaggio, Mattia Pascal o Vitangelo Moscarda nei due maggiori romanzi, i narratori o i protagonisti delle novelle o, per restare nel dramma, al padre dei Sei personaggi in cerca d'autore o a Lamberto Laudisi in Così è se vi pare.

Mi sono affezionata ad Enrico, al dramma che il suo personaggio porta sulla scena, al dolore di chi si rende improvvisamente conto di aver perso un pezzo della sua vita, il migliore. Appare sulla scena come un uomo patetico, con i pomoli rosa di trucco di scena e i capelli tinti di biondo, delirante e pietoso. Invece, in quello stesso momento, senza che noi lo sappiamo, egli è lucido, presente, e sta, invece, rendendo ridicoli i suoi ospiti, umiliati dal doversi abbassare al livello di un pazzo. Dalle sue parole non emerge solo una condanna degli amici che lo hanno tradito e lasciato solo, ma la paura di un individuo che per tanti anni ha vissuto credendosi un altro e tormenato dagli incubi.

«E poi penso, Monsignore, che i fantasmi, in generale, non siano altro in fondo che piccole combinazioni dello spirito: immagini che non si riesce a contenere nei regni del sonno: si scoprono anche nella veglia, di giorno; e fanno paura. Io ho sempre paura, quando di notte me li vedo davanti - tante immagini scompigliate che ridono, smontate da cavallo. Ho paura talvolta anche del mio sangue che pulsa nelle arterie come, nel silenzio della notte, un tonfo cupo di passi in stanze lontane…»

Ulteriormente meschini e ridicoli appaiono Matilde, Belcredi e il dottore, convinti che Enrico possa essere scosso, che si possa far leva sul barlume di lucidità che di tanto in tanto emerge per rompere la sua illusione, cercando di ricreare le condizioni dell'incidente, spacciando Frida per Matilde. Essi vogliono mettere fine alla condanna del malato «liberandolo dalla sua condanna», non sapendo che il vero supplizio di Enrico è proprio essere uscito dalla follia, rendendosi conto di ciò che ha perso... e per questo egli sceglierà di rientrare nel grembo protettivo della pazzia.
Ancora una volta, insomma, nonostante la difficoltà iniziale, Pirandello cattura con la sua straordinaria capacità di entrare nella mente dei personaggi, di sondare il loro disagio e di farlo in maniera mai scontata e mai ripetitiva.

«Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! - Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma!»

C.M.

Commenti

  1. Ho difficoltà a leggere i testi teatrali. Ma ebbi la fortuna di vederlo a teatro, con uno stupendo Giulio Bosetti…
    Quel tuo “mi sono affezionata ad Enrico” mi ha colpito: già, quando entriamo in risonanza col suo dramma, riusciamo a vedere la follia in cui siamo immersi. E la pazzia… cos’è in definitiva? E cosa è “normale”?

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    1. Il buon Pirandello ci insegna che non potremo mai rispondere a questi interrogativi, ed è un lietmotiv che ricorre costantemente nelle sue opere, sempre affrontato da una prospettiva diversa per dimostrare la complessità della distinzione fra realtà, finzione, normalità, follia, autenticità e falsità... e l'autore riesce a farci sintonizzare con le vittime di questo tritacarne psicologico, rendendo ancor più disorientante la riflessione...

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  2. Adoro i testi teatrali di Pirandello, ed è bellissimo questo tuo post. =)

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    1. Grazie, Valentina! Ti confesso che quella famosa prima lettura non mi aveva dato alcuna idea per una recensione appassionata: mi sarei limitata a riferire la trama, senza aggiungere nessuna impressione personale, perché qualcosa mi sfuggiva. Invece poi, complice il lavoro per la tesina di una studentessa, ho tirato fuori dalle pagine la marea di emozioni che Pirandello sa suscitare! :)

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  3. Enrico IV non l'ho ancora letto, ma la tua recensione è veramente bella. Mi piace molto quando riveli qualcosa delle tue personali sensazioni o delle eventuali difficoltà riscontrate nella lettura, perché l'articolo diventa ancora più interessante e coinvolgente ;-)

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    1. Sono contenta che lo apprezzi e non ne sono stupita, visto che anche le tue recensioni sono sempre molto personali e ho spesso avuto modo di trovarvi il giusto equilibrio fra "parlare del libro scritto" e "parlare del libro letto"! :)
      Ho sempre pensato che i classici, più di tutti i libri, abbiano il problema di avere una reputazione che li precede e che inibisce il parere personale: è facile - a volte inevitabile - dire che sono testi fantastici e imprescidibili, ma voglio cercare di ritagliarmi uno spazio soggettivo nel parlarne. In questo mi sto riprendendo delle rivincite, visto che all'università era praticamente proibito (e ti assicuro che un "docente" me lo ha detto in faccia) esprimere idee personali sulle letture e i testi di studio...

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