Il dottor Živago - Boris Pasternàk

Divorato in cinque giorni, Il dottor Živago è senza dubbio la migliore lettura degli ultimi mesi, un classico senza tempo e di ampio respiro, che porta in sé tutta la profondità della propria tradizione storica e letteraria.

Consacrato alla fama dall'eco della sua travagliata vicenda editoriale e dal monumentale film di David Lean con Omar Sharif e Julie Christie (1965), il romanzo ripercorre in modo ovviamente più dettagliato e ricco la storia di Jurij Živago, medico moscovita che cresce nelle agitazioni popolari che porteranno allo scoppio della Rivoluzione russa ed è uomo nel pieno della guerra civile e delle persecuzioni politiche sovietiche. La sua storia familiare e il suo vano idealismo si intrecciano con le esistenze di tanti personaggi, amici, disertori, partigiani, contadini, ma, soprattutto con quella di Larisa, la bella e forte Lara, iniziata alla durezza della vita dal potente avvocato Komarowskij e trasformata da studentessa in moglie, madre e amante devota.
Il dottor Živago si presenta come un classico fin dalle prime pagine.  Del grande romanzo ci sono le intense descrizioni, ricche di emozione, nelle quali l'autore dimostra di saper indagare tanto le pieghe del pensiero quanto i particolari di un ambiente naturale o di un paesaggio, come quello di Jurjatin, dove Lara vive con il marito Pavel Antipov:

L'approssimarsi dell'inverno, a Jurjatin, lo annunciavano le barche, quando le tiravano a riva per trasportarle su carri in città. Lì, le scaricavano nei cortili e le lasciavano all'aperto fino a primavera. Quelle barche capovolte, biancheggianti per terra in fondo ai cortili, avevano a Juriatin lo stesso significato che in altri paesi la migrazione autunnale delle gru o la prima neve.

O come quando la contemplazione della natura produce un'armonia col sentimento, tanto che alberi, luci e colori arrivano a disegnare nella mente di Živago il volto dell'amata:

Sin dall'infanzia Jurij Andrèevič amava i boschi al crepuscolo, quando filtra la luce del tramonto. Era come se sentisse passare attraverso di sé quelle lame di luce; come se il dono di uno spirito vitale gli entrasse a torrenti nel petto, attraversasse tutto il suo corpo e ne uscisse sotto forma di un paio d'ali sulle spalle. Quel prototipo giovanile che si forma in ciascuno per tutta la vita e poi per sempre assume i lineamenti del proprio volto interiore, della propria personalità, si risvegliava in lui con tutta la sua forza iniziale, e costringeva la natura, il bosco, il crepuscolo e ogni cosa visibile a rivestirsi con le sembianze altrettanto primordiali e universali di una fanciulla. "Lara!" mormorava, chiudendo gli occhi e rivolgendosi mentalmente alla propria vita, a tutta la terra di Dio, allo spazio illuminato dal sole che gli si apriva alla vista.

Perfetta è la definizione che dà Italo Calvino di questa tendenza, onnipresente nella narrazione, a confondere natura ed essere umano, in una maniera quasi impressionistica che vuole portare alla luce la vita: egli parla di un «nucleo mitico fondamentale» di uno «slancio epico» che mette in luce «il muoversi della natura che contiene e informa di sè ogni altro avvenimento, atto o sentimento umano» (in Perché leggere i classici? - Pasternak e la rivoluzione). In conseguenza di questa visione fortemente filosofica, che - sempre citando Calvino - «entra a rampollare per tutto il libro», oggetto di analisi privilegiata diventa la Storia, un campo in cui l'uomo non ha potere e che si muove secondo proprie leggi naturali senza che sia possibile penetrarne il mistero, perché «nessuno fa la storia, la storia non si vede, come non si vede crescere l'erba» (p. 366). Eppure la Storia, cui talvolta è dedicato solo qualche cenno di sfondo (il nome di Lenin è evocato una sola volta nel capitolo Conclusione) e che talaltra diventa protagonista indiscussa (così i Gulag nell'epilogo), è la forza che irrompe con violenza nelle vite di Živago e Lara, sovvertendo ogni legge morale:

«Una metà di tutto questo l'ha fatto la guerra, il resto la rivoluzione. La guerra è stata un'interruzione artificiale della vita, come se l'esistenza si potesse momentaneamente rimandare (che assurdità!). La rivoluzione è scoppiata quasi suo malgrado, come un sospiro troppo a lungo trattenuto. Ognuno si è rianimato, è rinato; dappertutto trasformazioni, rivolgimenti. Si potrebbe dire che in ciascuno sono avvenute due rivoluzioni: una propria, individuale, e l'altra generale.»

Pasternàk guarda alla storia inizialmente con speranza: i moti del 1905 concretizzano l'auspicio ad un rivolgimento dettato dalla ragione e dalla consapevolezza di un popolo. Ma, con l'irrompere della guerra, del conflitto civile, delle persecuzioni e delle rappresaglie, l'autore prende le distanze da quella che è solo barbarie, da una rivoluzione del popolo che ha sacrificato gli onesti e non ha estirpato i potenti corrotti rappresentati da Komarowskij; per Calvino il senso della visione di Pasternak sta nel registrare che «la storia non è ancora abbastanza storia, non è ancora costruzione cosciente della ragione umana, è ancora troppo uno svolgersi di fenomeni biologici, stato di natura bruta, non regno delle libertà». Di conseguenza anche Živago ricerca una forma di estraneità con il suo ripiegamento intellettualistico, il suo tentativo di restare fuori dalla politica che, però, gli attira l'ostilità del regime, il suo bisogno di rimanere puro, non intaccato da dalla violenza e da chi la rappresenta, arrivando a compiere scelte che il lettore non riesce a condividere, prima fra tutte quella di separarsi dal suo angelo, Lara.
Non sbaglia Calvino a definire proprio Larisa la vera protagonista del romanzo: ella è descritta quasi soltanto attraverso lo sguardo di Jurij, che si sofferma sui suoi gesti, sulla sua bellezza, ma non ne conosciamo il pensiero, se non per qualche dialogo con l'amante. Lara è spontanea, vera e bella perché imperfetta, perché divenuta consapevole di sé attraverso una storia difficile e turbolenta e coltivando il distacco dal mondo. Per questo Živago l'ammira:

Anche più dell'affinità delle loro anime, li univa l'abisso che li divideva dal resto del mondo. Tutti e due provavano la stessa avversione per quanto è fatalmente tipico dell'uomo d'oggi, per la sua artificiosa esaltazione, per la sua enfasi chiassosa, per quella mortificante inerzia della fantasia che innumerevoli lavoratori dell'arte e della scienza si preoccupano di alimentare, perché la genialità resti un'eccezione.
Il loro era un grande amore. Ma tutti amano senza accorgersi della straordinarietà del loro sentimento. Per loro invece, e in questo erano una rarità, gli istanti in cui, come un alito d'eternità, nella loro condannata esistenza umana sopravveniva il fremito della passione, costituivano momenti di rivelazione e di un nuovo approfondimento di se stessi e della vita.

 
Lara ha sofferto e sbagliato, ma in lei si concentra il realismo più che in ogni alto personaggio, perché Lara è autentica, porta la crudezza della verità, non si abbandona all'idealismo che paralizza Živago e allontana Pavel dalla famiglia; è lei il personaggio che meglio rappresenta ciò che Pasternàk vuole offrire al lettore: l'essenza della vita.

«Credo che non ti amerei tanto se in te non ci fosse nulla da lamentare, nulla da rimpiangere. Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.»

C.M.

Commenti

  1. Che bella la tua analisi, Cristina! Veramente suggestivo l’estratto che hai riportato da p. 279, ho quasi sentito un brivido nel leggerlo... Interessanti anche le riflessioni di Calvino in merito al romanzo.

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    1. Il romanzo è tutto un brivido, quelle descrizioni entrano nel lettore e lo fanno quasi perdere nella narrazione: in certi punti mi sono ritrovata letteralmente a bocca aperta e finivo per rileggere più volte lo stesso passo... una meraviglia. Mi sono ritrovata anche in molte osservazioni di Calvino, forse proprio per l'immediatezza del racconto di Pasternak, che non ci vuole mascherare i significati, ma ci offre tutta la sua visione della storia, degli uomini e della natura in modo diretto, fruibile per tutti.

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  2. Splendida recensione. Mi è venuta voglia di rileggerlo. :-)

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    1. Grazie, quando un libro è così affascinante la recensione si scrive da sé! E sono sicura che la rilettura lo renderebbe, se possibile, ancor più bello. :)

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    2. Non è difficile accada sia con un buon libro che con un buon film. Rileggere o rivedere dopo diverso tempo pone il fruitore sempre su un piano di lettura diverso. Decisamente più interessante e profondo, almeno dalla mia esperienza.

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    3. Concordo! Con la rilettura ho amato libri su cui avevo avuto già un giudizio positivo e rivalutato testi che al primo impatto mi avevano lasciata delusa o indifferente. I libri sono un po'come le persone: conoscerli permette di coglierne sfaccettature e aspetti che inizialmente rimangono in ombra...

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  3. Non si può fare a meno leggendolo di identificare i personaggi del libro con quelli cinematografici. Iniziato con alcune copie clandestine diffuse in Russia è merito di Giangiacomo Feltrinelli che il romanzo sia giunto a noi in anteprima mondiale, poi divenuto un cult commerciale per il film che spopolò in tutto il mondo. Si dice che a Roma il film durò in programmazione per mesi, cosa impensabile oggi.

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    1. Purtroppo non sono riuscita a vederlo dall'inizio (la prima scena che ricordo è quella in cui Lara spara a Komarowskij), ma, anche se mi manca qualche minuto, posso dire che anche il film ha tutto il merito del proprio successo. La cosa più triste del romanzo è che Pasternàk sia stato costretto a non ritirare il premio Nobel per timore di ritorsioni politiche, in questo l'autore ha molto del suo personaggio.

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