Agli USA Gasparotto, a noi Sgarbi

In Italia studiare discipline artistiche e umanistiche pare un modo facile per ottenere una laurea e vivacchiare con qualche competenza generica alle spalle qualche ente pubblico. Sicché i professionisti dei beni culturali, probabilmente sbeffeggiati sin da quando hanno dichiarato al mondo che avrebbero studiato storia dell'arte o materie affini con la classica frase «E poi che vai a fare?», se possibile, diventano, per vedersi riconosciuti meriti e competenze, cervelli in fuga.
L'ultimo caso di abbandono dell'Italia da parte di uno stimato esperto d'arte è quello di Davide Gasparotto, classe 1965, direttore della Galleria Estense di Modena. È infatti di pochi giorni fa la notizia della sua nomina a responsabile della collezione di pittura italiana al Getty Museum di Los Angeles, un'opportunità che Gasparotto ha accettato da un lato con rammarico, dall'altro con l'orgoglio di veder riconosciute le proprie competenze. In un'intervista al Fatto Quotidiano, Gasparotto ha dichiarato che partire «significa lasciare una delle cose più importanti: la possibilità di vivere immersi nel tessuto connettivo che riunisce le opere al territorio, i documenti ai monumenti, i monumenti al paesaggio. [...] A Los Angeles non mi basterà uscire di casa per trovarmi immerso nella mia materia di studio.», ma anche che, nella scelta presa, «è stato fondamentale ciò che in Italia non posso avere: e cioè la possibilità e la certezza di concepire, sviluppare e portare a compimento un progetto. Con tutto il necessario supporto economico, e di professionalità e saperi, da parte dell’istituzione».
 
Immagine di FotoEmotions da Pixabay

Il richiamo di Davide Gasparotto alla necessità di tornare ad investire sulle risorse umane nel campo dei beni culturali e di considerare come reale funzione della cultura quella formativa appare tanto lontano dalla percezione delle istituzioni italiane quanto essenziale all'estero, dove i nostri studiosi ed esperti trovano molte più opportunità di applicazione di competenze e acquisizione di esperienze.
Oggi il ministro Franceschini annuncia il riconoscimento dei professionisti dei beni culturali, ma, a parte il fatto che non sono state chiarite le modalità di tale valorizzazione e che la recente riforma del MIBACT presenta molti punti controversi, siamo ben lontani dal conferire ai beni culturali e a coloro che in tale campo si specializzano il rispetto e la dignità che meritano.
Se a questo si aggiunge il triste spettacolo di un Vittorio Sgarbi che smania per portare all'Expo milanese del 2015 i Bronzi di Riace, l'Ortolano dell'Arcimboldo e la Nascita di Venere del Botticelli solo per esibire un fantasma di valorizzazione dell'arte con l'appoggio di istituzioni e personaggi che vanno a braccetto con i sostenitori del nauseante motto «Con la cultura non si mangia», il quadro si fa a dir poco grottesco (tanto più che il tema della manifestazione è proprio il cibo...).  
Consideriamo poi che Sgarbi è stato insignito del premio per la comunicazione culturale e soffermiamoci sulla motivazione di tale scelta, in cui si recita: «In una società appiattita su un'omologazione al ribasso, Vittorio Sgarbi conduce da anni, attraverso una molteplice attività di saggista, corsivista, polemista, curatore di mostre, performer televisivo, pubblico amministratore, un'opera corsara di divulgazione e valorizzazione del patrimonio artistico non soltanto italiano che è in grado di farsi comprendere e apprezzare anche da un pubblico non specialista, cui fornisce numerosi spunti di riflessione e approfondimento. Il suo linguaggio spesso provocatorio e paradossale unisce la competenza storico-critica alle suggestioni di un'efficace affabulazione, spaziando dall'arte classica a una contemporaneità smascherata nei suoi falsi avanguardismi, ribaltando luoghi comuni ed etichette di comodo, ed operando una salutare messa in discussione delle certezze di chi lo ascolta».
Evidentemente in Italia gode di maggior autorevolezza un critico d'arte accampato nel salotto della D'Urso per dare della capra a tutto il resto del mondo e intervenire su questioni morbose di attualità che un direttore di museo interessato a portare avanti progetti nell'interesse della struttura per cui lavora e, di conseguenza, di tutti coloro che vogliano visitarla per un arricchimento culturale. A mio avviso sono proprio questi paradossi che creano l'appiattimento sull'omologazione al ribasso di cui parla la giuria del premio Alassio, evidentemente invertendo cause ed effetti.

C.M.

Commenti

  1. Nel nostro paese chi svolge senza clamore il proprio lavoro ma con passione e competenza non e` valorizzato. Personalmente, ritengo che una persona come Sgarbi propabilmente competente, svilisca l`arte con i suoi comportamenti e le sue esternazioni "colorite" . Chi si occupa di beni culturali, ministri e amministratori ad alti livelli, dovrebbero avere la visione di Gasparotto quando dice che " uscendo di casa si trova immerso nella sua materia di studio", l'approccio alla materia sarebbe piu` concreto e bestialita` dette nel passato " con l'arte non si mangia" potremmo evitarle.

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    1. Se Sgarbi limitasse i suoi interventi alla storia dell'arte la sua competenza emergerebbe: ho avuto l'occasione di ascoltarlo all'inaugurazione di una mostra su Mantegna e ho avuto seri dubbi che quella che parlava fosse la stessa persona che sbraitava nei talk televisivi. Un professionista non può però permettersi questa doppiezza: la competenza non è spettacolo e, anzi, spesso rifugge da ciò che è mediaticamente funzionante, nel senso peggiorativo dell'espressione; esistono poi straodinarie eccezioni di divulgazione genuina della cultura, vedi Daverio, ma è chiaro che siamo su ben altri livelli. Se, invece, ci fosse un'efficace comunicazione della cultura, forse a lungo andare si potrebbe produrre l'auspicabile sensazione di vivere in un Paese che in essa ci permette di immergerci e identificarci. Questo non accadrà finché non si darò spazio alla competenza e non si restituirà alle persone responsabili e preparate il rispetto che meritano.

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  2. "Polemista"? "Corsara"? Se è un corsaro Sgarbi, andiamo bene...
    Continuo a sostenere che il problema non sia un Gasparotto che se ne va negli USA, ma che l'Italia non abbia sufficiente capacità attrattiva per i cervelli che dall'estero potrebbero trasferirsi qui, se il sistema fosse sano.

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    1. Il motivo che spinge a fuggire è lo stesso che impedisce di arrivare: un totale disinteresse nei confronti di chi ha competenze che in nessun luogo si potrebbero far fruttare come in Italia, appunto, se il sistema fosse sano. Se ci fosse questo requisito essenziale, non dovremmo rammaricarci neanche delle scelte di espatrio, perché a quel punto sarebbero dettate da una reale volontà e non da una forma più o meno esplicita di costrizione.

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  3. Gasparotto ha fatto la scelta migliore, visto che in Italia mancano le risorse per finanziare la ricerca in qualunque ambito. Intanto questo paese continua a offrirci una validissima formazione (ogni tanto compromessa da qualche riforma cretina) che spesso non possiamo spendere, a meno che l'estero non ci fornisca delle occasioni, ovviamente guadagnandoci e soprattutto a costo zero.

    Sulle attuali proposte dei beni culturali non mi pronuncio, anche se mi sembrano uno dei tanti annunci come quello della Giannini, la quale, recentemente, ribadì l'importanza di "far capire ai ragazzi che studiare le materie umanistiche non è un hobby". Benissimo. E poi ? Dove sono i progetti a lungo termine ? Visto che tutti sono concordi e sanno perfettamente che le lauree umanistiche offrono meno possibilità di impiego di altri titoli di studio, come mai negli anni nessuno ha mai parlato di numero programmato per questi corsi ? Invece no, dall'alto hanno preferito che le lauree umanistiche si inflazionassero, con percorsi discutibili e privi di utilità. Ma qui si aprirebbe una parentesi infinita.

    Quanto a Sgarbi non ci sono parole. Anche io fatico a conciliare la sua doppiezza di storico dell'arte con quella dei peggiori siparietti ai quali (purtroppo) ho assistito da spettatore. La premiazione alla quale fai riferimento mi ricorda la proposta (rifiutata dal destinatario, forse per decoro) di una laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione a Fabio Volo per delle motivazioni analoghe a quelle che hai riportato. Anche qui, davanti a queste situazioni grottesche rimango basito e privo di parole.

    Mi auguro soltanto che un giorno passi il principio che la cultura e le discipline umanistiche non sono un'acquasantiera, dove tutti pretendono di metterci le mani e riempirsi la bocca di citazioni ecc. per essere degli esperti. Anche questo ambito richiede studio, impegno e fatica e speriamo che anche il nostro Paese possa un giorno riconoscerle.
    A presto

    Lorenzo

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    1. Sono d'accordo, Lorenzo, troppo spesso le lauree umanistiche sono considerate titoli di facile acquisizione che comportano qualche nozione generica su libri e arte, l'idea di approfondimento e competenza sembra essere esclusa a priori da molti che le osservano dall'esterno, ma anche, purtroppo, da diverse persone che intraprendono questi percorsi con motivazioni che non vanno oltre "Studio lettere perché mi piace leggere". Anche se esistono figure di rilievo stimate dal mondo istituzionale (talvolta sinceramente, talvolta solo per facciata) e dal pubblico degli amanti della cultura, manca la percezione di una professionalità dell'arte e delle lettere.

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  4. Sono d'accordo su tutta la linea di interventi- commenti. Da sempre è noto che la Laurea in Lettere abbraccia un vasto panorama di materie e chi intraprende questa strada intende approfondire le varie branche afferenti letteratura- storia-arte
    simonetta

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    1. E l'approfondimento andrebbe trattato con la dignità che è riservata al momento ad altre discipline: le lauree umanistiche non sono titoli conseguiti per passatempo e le competenze che vengono acquisite non sono né migliori né peggiori di quelle di altri percorsi: in Italia sarebbe ora di capire che questi profili hanno molto da offrire alla pari di tanti altri...

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