I Malavoglia - Giovanni Verga

La prima rilettura del 2015 è stata - neanche a dirlo - un classico. Credo di condividere con molti di voi l'occasione della prima lettura de I Malavoglia: la stragrande maggioranza degli studenti italiani si trova ad approfondire quest'opera nell'ambito del Verismo, quando non sia addirittura costretta ad affrontarne la lettura integrale. Pur essendo parte di questa seconda casistica di alunni, mi sono fatta fin dall'inizio una buona idea del romanzo di Giovanni Verga (1840-1922), che pure molti trovano noioso. Non che fatichi a capire questa posizione: già il solo aspetto dei nomi degli abitanti di Aci Trezza crea notevoli difficoltà di mappatura della vicenda e dei suoi protagonisti. Eppure credo che lo scoglio più grosso del testo sia la tematica, così insistente sulla miseria, gli stenti e le sventure, oltre che intrisa di un profondo pensiero di filosofia sociale che, superando la prospettiva consolatoria (e alquanto piatta) manzoniana, non propone alcuno sbocco positivo. 
 
G. Courbet, Le onde (1869)

I Toscano, noti ormai con il nomignolo di Malavoglia, vivono nel paesino catanese di Aci Trezza, dove lavorano come pescatori. Sperando di procurare la dote per il matrimonio di Mena, Padron 'Ntoni e il figlio Bastianazzo, padre della ragazza, organizzano un viaggio per mare sulla barca Provvidenza per vendere un carico di lupini comprati a credenza dall'usuraio locale, Zio Crocifisso, detto Campanadilegno perché non sente quando gli si parla di sconti o dilazioni di pagamento. La Provvidenza, però, viene travolta da una tempesta e Bastianazzo perde la vita, lasciando la famiglia con un enorme debito sulle spalle, cui non riescono a rimediare né la riparazione e la messa in mare della Provvidenza, né la vendita dell'amata casa del nespolo, data in dote alla Longa al tempo del matrimonio con Bastianazzo, né l'aiuto nel lavoro dato da 'Ntoni prima e da Alessi poi. Come se ciò non bastasse, 'Ntoni torna dalla leva con un atteggiamento ostile nei confronti delle tradizioni della famiglia, fatte di sacrifici di cui beneficiano solo i potenti ladri che ridono alle loro spalle della loro miseria e povertà, Luca, il secondogenito, muore nella battaglia di Lissa (1866) e la Longa viene uccisa dal colera. In tutto questo, la gente del paese, ad eccezione del carrettiere Alfio Mosca, innamorato di Mena, della cugina Anna e della Nunziata (che conosce bene la miseria, essendo stata costretta dall'abbandono della casa da parte del padre a far da madre ai suoi fratellini), non si dà alcuna pena per la sventurata famiglia che, anzi, è pronta ad andare a vedere come un macabro spettacolo ogni volta che a disgrazia s'aggiunge disgrazia, e ciascuno fa il possibile per assicurare i propri affari in modo da non aver niente a che fare con i Malavoglia: il matrimonio di Mena con Brasi Cipolla viene annullato, zio Crocifisso escogita una macchinazione per non perdere il denaro investito nei lupini e comare Zuppidda ostacola in tutti i modi la relazione di 'Ntoni con la figlia Barbara. Tale emarginazione porta ciò che rimane della famiglia Malavoglia a spaccarsi: da un lato il vecchio nonno 'Ntoni, che invecchia rapidamente sciagura dopo sciagura, la devota Mena e il volenteroso Alessi, dall'altro l'orgoglioso ribelle 'Ntoni, che vuol far valere il proprio diritto alla felicità e al benessere al punto da darsi al contrabbando e azzuffarsi con il poliziotto don Michele; anche la giovane Lia vuole fuggire dalla povertà e dall'infelicità, sicché, dopo l'incarcerazione di 'Ntoni, abbandona Aci Trezza e solo Alfio Mosca, con la sua testimonianza, fa intuire che sia finita a fare la prostituta per mantenersi.
La premessa narrativa e filosofica di questo romanzo è in nella prima opera propriamente verista di Verga, Vita dei campi (1880), che contiene la novella Fantasticheria, scritta in forma di lettera di un gentiluomo ad una nobildonna con cui ha visitato, in passato, Aci Trezza; nel corso del viaggio, la sua corrispondente era rimasta stupita di come, pur in un luogo bellissimo, tanta gente vivesse in uno stato di resa totale, continuando un'esistenza sempre uguale in una condizione perenne di miseria senza scampo. Il narratore di Fantasticheria risponde che, se una persona benestante trova tutto ciò grottesco e inconcepibile, per la povera gente quella vita immutabile ed essenziale, pur continuamente esposta alle sventure, alla malattia e alla morte, è però garanzia di sicurezza e portatrice di una speranza di resistenza in un mondo che tende al progresso ma che, per raggiungerlo, non esita a far strage di deboli; da qui viene il nome di Ciclo dei Vinti per la serie di romanzi che si apre con I Malavoglia e prosegue con Mastro Don Gesualdo, l'incompiuto La duchessa di Leyra e i due libri mai scritti, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso. Viene allora decritto il cosiddetto ideale dell'ostrica: questi molluschi possono sopravvivere solamente se rimangono attaccati insieme al loro scoglio, perché, se si staccassero tutti o uno soltanto, sarebbero travolti dalla corrente e portati alla morte; ugualmente la povera gente rimane appigliata alle proprie tradizioni, alla famiglia, al conforto della religione, ad un lavoro pur faticoso e infruttuoso, perché il tentativo di mutare la propria condizione li espone al rovinoso prorompere della fiumana del progresso (come è definita nella prefazione al romanzo), un «cammino fatale» in cui i deboli rimangono per via, sconfitti non solo dall'impossibilità di adeguarsi ai mutamenti, ma anche dalla corsa di chi è più agile e forte e non esita a calpestarli.
Di Fantasticheria, I Malavoglia non riprendono dunque solo l'ambientazione e i personaggi (Padron 'Ntoni, Mena, Luca e la Longa sono chiaramente riconoscibili nelle allusioni ai paesani incontrati nel viaggio), ma anche la filosofia di fondo: il vecchio Padron 'Ntoni, cercando di tenere legato a sé il riottoso nipote e di trasmettergli i valori del sacrificio e della devozione alla famiglia, non tenta di far altro che trasmettergli l'ideale dell'ostrica, perfettamente incarnato da Mena e Alessi. Per l'anziano, che esprime con i proverbi della saggezza popolare una visione fortemente pessimistica dell'esistenza, i familiari devono essere uniti come le dita di una mano, perché senza uno di essi non si può sperare di fare e ottenere nulla, il che è tanto più evidente osservando il disinteresse e l'opportunismo del mondo esterno: Zio Crocifisso, Piedipapera, la Zuppidda sono quelli che si affrettano per arricchirsi e inseguire il progresso, senza farsi scrupolo di calpestare Padron 'Ntoni e tutta la sua famiglia.
Sebbene Verga, in linea con le scelte narrative del Verismo (oltre che del Naturalismo francese), opti per una narrazione impersonale che tenda alla scientificità, scegliendo di riprendere le vicende dei Toscano e dei loro compaesani da un'ottica esterna, il ricorso all' artificio di regressione, sperimentato per la prima volta in Rosso Malpelo (1878) e consistente nella scelta dell'autore di calarsi al livello della gente assumendone prospettive e modi espressivi, tradisce, mediante l'effetto di straniamento, una denuncia dell'iniquità delle situazioni descritte, della loro negatività e dell'ottica gretta e opportunistica di certi comportamenti, oltre che una profonda compartecipazione alle vicende dei protagonisti. E dunque, anche se mai si comporta come Manzoni auspicando una risoluzione provvidenziale o intervenendo con commenti e spiegazioni esterne, l'autore sceglie di metterci a parte della diffidenza del popolo di Aci Trezza verso il nuovo governo italiano o verso le innovazioni tecnologiche (i battelli mandando il pesce verso Agrigento, il telegrafo è una diavoleria), ma anche dell'autentico sentimento che lega Mena e Alfio, durante gli incontri dei quali le stelle ammiccano e il mare calmo fa sentire il suo russare.
 
I Malavoglia è indubbiamente un romanzo impegnativo, triste e amaro, come sono spesso i classici e i brani che hanno fatto la storia della letteratura. Spiegando ai ragazzi questo testo, è stato inevitabile - lo sarà sempre, forse, come del resto con Leopardi o tanti altri autori - scontrarsi con l'avversione, tipica soprattutto dei giovani, a subire tante storie di miseria e morte. Ma la letteratura è fatta anche di questo: è descrizione, non solo idillio, mestizia, non solo piacere e, in fondo, se dopo secoli un libro ha ancora qualcosa da dirci, significa che ci sono ancora le giuste corde che le sue dita possono toccare.
Di Giovanni Verga si può dire tutto, tranne che sia un sentimentale: eppure, come sottolineato per Alfio e Mena, ma anche nelle descrizioni delle emozioni controverse di 'Ntoni, è tutt'altro che indifferente e staccato da ciò che descrive, sente i suoi personaggi e, se anche non spiega i moventi nascosti - perché non fanno parte di ciò che l'occhio o l'orecchio possono registrare - tuttavia nessuno di essi rimane a noi celato, nessuna lacrima rimane senza causa, nessun gesto appare vuoto e inutile. Ne I Malavoglia tutto si tiene, e fra le pagine di questo romanzo sono condensate le profondità di tante esistenze.

 «Va', va' a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato»; e, pensando alla casa dove era nato, e che non era più sua, si lasciò cadere la testa sul petto. «Tu sei un ragazzo, e non lo sai!... non lo sai!... Vedrai cos'è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!... Lo vedrai; te lo dico io che son vecchio!» Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso curvo, e dimenava tristamente il capo: «"A ogni uccello il suo nido è bello". Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.»
 «Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!» rispondeva 'Ntoni. «Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l'asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.»
 «Ringrazia Dio, piuttosto, che t'ha fatto nascere qui; e guardati dall'andar a morire lontano dai sassi che ti conoscono. "Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova".»

C.M.

Commenti

  1. Io faccio parte degli ex-studenti che lesse I Malavoglia nella sua interezza. Nemmeno io ne conservo un cattivo ricordo, ma non so se lo rileggerei, non fosse altro perché c'è sempre qualcosa di 'nuovo' in cui immergersi.

    Proprio a tal proposito volevo chiederti se avevi mai letto le novelle milanesi del Verga. Sarà un paio d'anni che le sto a ponderare, ma non mi sono ancora decisa a prenderle in mano.

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    1. Ho letto poche novelle e sempre a salto, più che altro perché amo poco le narrazioni brevi e, per conoscere autori scolastici e non, mi affido sempre in prima battuta ai romanzi... però credo che sarebbe molto interessante percorrere l'evoluzione narrativa di Verga dagli esordi romantici alla scapigliatura, prima dell'approdo al Verismo!

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  2. " I Malavoglia " sono un romanzo prettamente italiano,io preferisco il più europeo " Mastro Don Gesualdo ",inutile che ti dica il perchè,tanto già lo sai :-)
    A proposito ho letto le prime righe della " Duchessa di Leyra ",sarebbe stato molto interessante come tematiche,anche per continuare il filone...peccato

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    1. Io sto leggendo ora Mastro Don Gesualdo: è la prima lettura integrale!

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    2. Allora buona lettura,poi mi dirai come ti sei trovata con quest'ultimo!

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  3. Sinceri complimenti per il bellissimo articolo, che ho letto (divorato) con grande interesse. Lessi "I Malavoglia" a 17 anni e mi piacque moltissimo, anche se mi procurò (in realtà lo aumentò soltanto) un lungo e cupo "spleen".
    Lo rilessi poi un paio di volte da adulto e continuò a piacermi tanto. E lo "spleen" oramai è metabolizzato :)
    Ancora complimenti.
    Orlando Furioso

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    1. Grazie! Sono contenta che la recensione ti sia piaciuta e che abbiamo trovato delle sensazioni di lettura comuni! :)

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  4. Ciao! Io lessi i Malavoglia al liceo e ne serbo un bel ricordo! Il romanzo, benché triste, mi era piaciuto moltissimo! Dopo aver letto il tuo commento, lo metto nella lista delle riletture, in fondo sono passati quasi dieci anni dal mio primo incontro con Verga!

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    1. Se già lo avevi apprezzato, la rilettura non potrà che essere positiva ed evocativa!

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  5. io ho letto i Malavoglia al liceo prima e all'università poi...
    magia degli studi umanistici a tutto tondo!
    non ho mai particolarmente amato Verga, il Verismo è un periodo artistico poco affine alla sottoscritta e alla sua testolina tra le nuvole!

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    1. Nemmeno io posso dire che sia la mia corrente letteraria preferita, ma sono riuscita ad apprezzare comunque Verga, soprattutto a livello di pensiero, al di là del solo aspetto narrativo...

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  6. Verga, ah Verga! L'ho amato ed odiato perché - ammetto - è uno di quei pochi scrittori capaci di descrivere persone, situazioni ed eventi in un modo meraviglioso, così analitico e preciso, che ti fa rimpiangere di non aver mai vissuto luoghi e periodi da lui narrati; che ti fa pentire di averne avuto a che fare perché con i suoi racconti ti entra in testa e non se ne discosta più.
    Lessi alle superiori Storia di una Capinera, era uno dei due libri che avrei dovuto leggere come compiti per le vacanze, quindi una cosa da fare sbuffando e lamentandosi: eppure invece, già lì iniziai a sognare di visitare un giorno Catania; provai pena per quella povera Maria lasciata ai suoi dolori così spasmodici; amai così tanto quelle pagine che scendevano giù dagli occhi sino al cuore, che lo divorai in pochissimo tempo. Pomeriggi chiuso in casa col ventilatore e il libricino tra le mani.
    All'università poi, per l'esame di Letteratura Italiana dovetti leggere proprio i Malavoglia, e già sapevo che mi sarebbe piaciuto: la cosa fu confermata già dopo poche pagine, quel modo crudo di raccontare la gente del posto, la miseria, il lavoro, "quel che accade nel paese, che rimane nel paese", "quel che accade in città, e nel paese è novità". Ho amato Aci Trezza e ancor oggi vorrei visitarla, ho amato la saggezza contadina di Padron 'Ntoni; ho ammirato la dedizione di Alessi, gran bravo ragazzo; e ho capito la ribellione del nipote 'Ntoni desideroso di discostarsi da una realtà che non gli apparteneva più avendo vissuto in città, ma che troppo tardi capisce appartenergli per sempre.
    Approfitto del lungo e noioso commento per farti i complimenti: non commento mai, ma leggo quasi tutti i tuoi post e li trovo sempre interessanti e stimolanti!
    (Ma sappi che con I Malavoglia, mi hai colpito dritto al cuore!)

    Dario

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    1. Invece è un lungo e graditissimo commento: sono contenta che tu abbia condiviso con noi le tue profonde riflessioni su questo romanzo, che non a torto è una pietra miliare della nostra storia letteraria. A differenza tua, io non ho amato particolarmente Storia di una capinera, ma è certamente un racconto essenziale nel comprendere l'evoluzione di un mondo narrativo. Ora non mi resta che darti appuntamento alla spero prossima recensione di Mastro Don Gesualdo, ringraziandola per i complimenti!

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