Nonostante i diversi cambi di scena, i riferimenti storici e la gran quantità di personaggi, il testo si segue senza difficoltà e risulta molto coinvolgente, soprattutto nelle parti dedicate al dibattito sulla questione copernicana, sia da parte di Galileo, che ne illustra la dimostrazione al giovane Andrea Sarti, figlio della sua governante e poi suo fidato allievo, sia all'interno della Chiesa che la dichiara eretica. Brecht, con il suo Galileo, non solleva però solamente interrogativi classici sul dibattito fra fede e ragione, ma sottolinea le implicazioni politiche del contrasto fra la verità e la sua manipolazione, riflettendo la situazione che lo stesso autore sta vivendo e osservando da tedesco esule negli Stati Uniti a causa delle ritorsioni naziste: da un lato assiste all'evoluzione di una scienza asservita al potere, un servaggio che culminerà nel lancio della bomba atomica, dall'altro si interroga sul ruolo degli intellettuali che, come lui, sono costretti alla fuga per poter continuare a sostenere le proprie idee ma, con quella stessa ritirata, lasciano il campo libero alla propaganda e alle azioni brutali della dittatura, che piega sotto di sé qualsiasi barlume di resistenza o libertà.
Nella lotta di Galileo per l'affermazione delle sue conquiste scientifiche e della validità del metodo sperimentale contro ogni dogma precostituito, simboleggiato da coloro che si dicono sapienti al grido di «Ci fondiamo, niente meno, sull’autorità del divino Aristotele», c'è un grido di ribellione contro chi propugna l'idea della necessità dell'ignoranza per mantenere una posizione di superiorità e conservare il proprio potere: la Chiesa che ostacola lo scienziato e Ludovico Marsili, giovane di nobile famiglia che lo invita a deporre le sue tesi, rappresentano la paura, comune a tutti i potenti, che mettere in dubbio le Scritture equivalga ad un attacco all'autorità. Chi, infatti, si piegherebbe alla fatica del duro lavoro e alle angherie dei padroni, se gli venisse rivelato che il disegno provvidenziale di un Dio che promette riscatto agli uomini umili e sofferenti è una certezza che può essere disintegrata al pari di qualsiasi altra?«Dove per mille anni aveva dominato la fede, ora domina il dubbio. Tutto il mondo dice: d’accordo, sta scritto nei libri, ma lasciate un po’che vediamo noi stessi. È come se la gente si avvicinasse alle verità più solenni e battesse loro sulla spalla; quello di cui non si era mai dubitato, oggi è posto in dubbio. […] È risultato che i cielo sono vuoti: e a questa constatazione è scoppiata una gran risata d’allegria»
Questo il suggerimento che dà a Galileo Fulgenzio, un monaco che dapprima lo invita ad essere cauto, salvo essere poi colui che, assieme ad Andrea, rifiuta l'idea che lo scienziato possa abiurare, preso dall'ammirazione per il suo amore della verità. Ma è più forte il modo in cui Andrea e Federzoni (l'occhialaio che assiste Galileo e che è ben più vicino al sapere di tutti coloro che lo bollano come un ignorante che non conosce il latino) canzonano Ludovico e lo sdegno che manifesta verso Galileo e che culmina nella rottura del fidanzamento con sua figlia Virginia:«Quella Sacra Scrittura, che tutto spiega e di tutto mostra la necessità: il sudore, la pazienza, la fame, l’oppressione, a che potrebbe ancora servire se scoprissero che è piena di errori? […] Dobbiamo tacere per il più nobile dei motivi: la pace spirituale dei diseredati!»
Per Galileo non è quindi l'ignoranza il male del mondo o l'ostacolo alla verità, bensì la strumentalizzazione della verità, il suo voluto oscuramento, la manipolazione di un sapere che di diritto appartiene a tutti, come la ragione umana, che, pur usando talvolta violenza all'uomo, alla fine lo persuade e lo seduce, lasciandosi amare.«I nostri omaggi a tutti i Marsili!»
«Che ordinano alla terra di stare ferma, sennò i loro castelli potrebbero andare a gambe all’aria!»
«Chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma chi, conoscendola, la chiama bugia è un malfattore!»
Queste le parole di Sagrdedo, amico di Galileo, che, in qualche modo, riassumono l'atteggiamento di tutti i poteri forti che, come nella Germania nazista da cui fugge Brecht, vogliono soffocare il libero pensiero che li può sovvertire, per quanto apparentemente lontano dal piano tangibile degli eventi umani. Ma per Galileo, che risponde alle minacce con un solido e costante «Io devo sapere», «la verità è figlia del tempo e non dell’autorità» e «La verità riesce ad imporsi solo nella misura in cui noi la imponiamo; la vittoria della ragione non può essere che la vittoria di coloro che ragionano»: perseguire questo alto valore è un dovere etico che lo scienziato si pone prima di tutti e sopra ogni cosa, consapevole della portata del proprio pensiero, che trasforma la rivoluzione copernicana in una potenziale rivoluzione sociale.«È una notte di sventura, quella in cui l’uomo vede la verità; è un’ora di accecamento, quella in cui crede il genere umano capace di ragionare. […] Credi che i potenti lascerebbero mai andar libero uno che conosce la verità, fosse pure in merito a stelle infinitamente lontane?»
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J. Sustermans, Ritratto di Galileo Galilei |
Galileo, dunque, viene liberato e si ritira in una casa fuori Firenze, prigioniero dell'Inquisizione, attendendo alla scrittura dei Discorsi delle nuove scienze. Qui gli fa visita Andrea, ormai avviato agli studi scientifici, ma determinato a lasciare l'Italia, luogo in cui la forza perseguita i ricercatori della verità. Il giovane, che tanto aveva creduto nel rifiuto dell'abiura da parte del maestro, si fa ora comprensivo: Galilei ancora sta scrivendo e ciò significa che aver piegato il capo è stato solo un modo per impedire che la scienza salisse sul rogo assieme a lui. Ma ora è Galilei ad essere duro con se stesso, a disprezzare la paura della morte e del dolore fisico.
L'affermazione del fisico è sprezzante e sanziona la certezza che il comportamento antieroico dimostrato quel 22 giugno non sia stato di alcun aiuto alla scienza ma che, anzi, abbia segnato la sua vera sconfitta. Ed è a questo punto che Galilei sostiene un'autoaccusa che parla direttamente ai contemporanei di Brecht, agli scienziati e agli intellettuali tutti del suo tempo:Andrea: «Noi ripetevamo all’uomo della strada: “Morirà ma non abiurerà”. E voi siete tornato dicendoci: “Ho abiurato, ma vivrò”. Noi allora: “Vi siete sporcate le mani”. E voi: “Meglio sporche che vuote”.
Galileo: «Meglio sporche che vuote… Bello. Ha un suono di qualcosa di reale. Un sono che mi somiglia. Nuova scienza, nuova etica» (Galileo)
«Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio. Essa tratta il sapere, che è un prodotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti. […] I moti dei corpi celesti ci sono divenuti più chiari; ma i moti dei potenti restano pur sempre imperscrutabili ai popoli. […] Finché l'umanità continuerà a brancolare nella sua nebbia millenaria di superstizioni e di venerande sentenze, finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà nemmeno capace di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate. […] Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo. E quando, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità. Tra voi e l'umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale... […] Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento d'Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell'umanità. Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo. […] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero, o non la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini.. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza»

Questo passo, oltre che rimarcare i doveri di chi possiede e maneggia il sapere e la verità, dà uno spessore che va ben oltre la mera citazione alla frase che identifica più di ogni altra Vita di Galileo:La Chiesa, e con lei tutta la reazione, poté ritirarsi in buon ordine e conservare più o meno intatta la sua forza. Per quanto concerne queste scienze, esse non riacquisirono più quella funzione così importante nella società, non tornarono più su posizioni così vicine al popolo. Il misfatto di Galileo può esser considerato il «peccato originale» delle scienze naturali moderne.
C.M.«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi»
Grazie Cristina,
RispondiEliminaun post illuminante e ben scritto. Era un libro che mi incuriosiva da qualche anno, da quando, lavorando per un anno in biblioteca, ho visto che molti studenti lo prendevano in prestito. Io invece, nel mio periodo scolastico, non l'avevo mai sentito.
Direi che mi hai persuaso a leggerlo! :)
Ne sono contenta: è certamente una lettura importante, un momento di riflessione imperdibile sull'etica della scienza e della cultura in generale! Buona lettura e, mi raccomando, torna a farmi sapere! :)
EliminaGrazie mille! Sei stata molto esaustiva, era ciò che cercavo :)
RispondiEliminaLieta di esserti stata utile, Gabriele! :)
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