Una stanza tutta per sé - Virginia Woolf

A quarantasei anni Virginia Woolf tiene alcune conferenze all'Università di Cambridge sul tema del rapporto fra le donne e la letteratura. Siamo nel 1928 e solo da una decina d'anni hanno cominciato ad aprirsi nuove prospettive di fronte agli occhi delle donne europee e americane: il lavoro durante la guerra, la conduzione della vita famigliare in assenza dei mariti al fronte, la lotta per i diritti civili e l'accesso al suffragio hanno rivoluzionato il modo di pensare e ad un'autrice del calibro di Virginia Woolf non poteva sfuggire l'occasione di esprimersi sulle donne e sulla letteratura da donna, e donna di lettere. Le parole rivolte alle giovani studentesse confluiscono nel saggio Una stanza tutta per sé, pubblicato l'anno seguente e considerato oggi un manifesto della rivendicazione di autonomia intellettuale da parte del mondo femminile.

La riflessione di Virginia Woolf parte da un interrogativo essenziale: quali sono le condizioni necessarie alla creazione di un'opera d'arte? Una domanda che parrebbe dover dare vita a fiumi di teorie, considerazioni storiche, riferimenti eruditi alle vite di eccelsi scrittori, ma che l'autrice risolve in un modo molto semplice e materiale, evocando come essenziale l'autonomia. Le donne, per poter produrre letteratura, hanno bisogno di un po'di denaro e di una stanza tutta per sé, uno spazio che non le identifichi col ruolo di donne, figlie e madri ridotte a specchi degli uomini e che permetta loro di dialogare con se stesse e con la tradizione culturale che le ha precedute. Ma questa libertà non è un diritto garantito, anzi, spesso è un lusso, perché le donne sono costrette a lavorare o a mettersi sotto la protezione di uno sposo, quindi ad adattarsi alle convenzioni dei ruoli per millenni ricoperte dalle loro madri. Ecco perché, oltre ad uno spazio personale che serva a chiudere fuori un mondo spesso ostile, è importante che una donna abbia un poco di denaro per comprarsi quella libertà. L'ideale, per una donna che si dedichi alla scrittura, è poter vivere del proprio lavoro, così da coltivare la propria autonomia senza dover scendere a compromessi col mondo e con le tradizioni create dagli uomini.
Una stanza tutta per sé, infatti, insiste su una forma di libertà intellettuale, che porti le donne a colmare l'enorme ritardo accumulato nei confronti degli uomini nell'accesso alla cultura, in un cammino che somiglia ad una battaglia per la conquista delle rocche della cultura, a partire dalle università, con le biblioteche chiuse alle ragazze prive di autorizzazione.
E qua e là, fra le pagine, ci accompagna come un leitmotiv il fantasma di una sconosciuta sorella di William Shakespeare, che aveva, nell'immaginario dell'autrice, tutte le doti letterarie e poetiche del fratello, ma era confinata all'anonimato dal suo essere donna, al punto da essere derisa, mentre il Bardo veniva acclamato. Un exemplum fictum, eppure si tratta di una scelta molto efficace nel delineare questa contrapposizione fra i sessi non solo nella prospettiva della storia sociale, ma anche della cultura e dell'arte. Sappiamo bene che la stragrande maggioranza delle opere artistiche e letterarie, fino alla seconda metà del Novecento, sono state prodotte da uomini e che persino l'accesso all'istruzione delle donne è stato a lungo boicottato: la prima donna laureata della storia è Elena Cornaro, dottoressa in teologia nel 1678 all'università di Padova, eppure ancora nell'Ottocento questo diritto non era unanimemente riconosciuto in Europa, per quanto anche nell'appartato Regno d'Italia illustri personaggi evocassero la necessità di un'educazione letteraria per le donne.
Il paradosso, secondo la Woolf, è che alla donna sia stata tanto a lungo preclusa la letteratura, quando le pagine dei più grandi romanzi erano affollati di eroine, al punto che, «se la donna non avesse altra esistenza che nella letteratura maschile, la si immaginerebbe una persona di estrema importanza, molto varia; eroica e meschina, splendida e sordida, infinitamente bella ed estremamente odiosa, grande come l'uomo, e, pensano alcuni, anche più grande». Ma, nella realtà, le donne sono ridotte a specchi dell'uomo, strumenti per raddoppiarne la figura. Di conseguenza, si determina una contrapposizione: la donna «immaginativamente, ha un'importanza enorme; praticamente, è del tutto insignificante».
Ma se la donna cessa di essere specchio e alza la sua voce, la figura dell'uomo in essa riflessa si rimpicciolisce, e allora anche alle donne spetta il loro spazio. Ed è proprio questo che Virginia Woolf spera di trasmettere alle sue ascoltatrici: la necessità di dire la verità, di esprimersi, di conquistare un proprio posto nel mondo che, simboleggiato da una stanza, si allarga ben oltre essa, inglobando diritti, libertà ulteriori, aspettative, desideri e realizzazione.

In questo saggio ho trovato molte delle mie riflessioni e ci sono state pagine in cui ho sentito una profonda affinità col pensiero della Woolf, nel suo bisogno di abbattere le barriere di una tradizione soffocante, nel desiderio di veder abbattuti i baluardi di un mondo fatto di divieti meschini eretti dalla paura e dall'invidia. La lettura, però, è risultata a tratti molto difficoltosa, colpa della mia difficoltà con lo stile sfuggente e anticonvenzionale della Woolf, che per questo ha, nel quadro della letteratura mondiale, il primato che le spetta, ma che mi ha bloccata per ben due volte entro le prime quindici pagine di Gita al faro. Insomma, mi sono trovata di fronte ad uno dei miei limiti letterari, che spero di poter a poco a poco limare: non sono ancora pronta per il flusso di coscienza. Inoltre un ostacolo non da poco è emerso di fronte a tutte le citazioni di autrici inglesi a me sconosciute e questa ignoranza, anche se non pregiudica la comprensibilità del testo, è per me motivo sufficiente per farmi ammettere, da maniaca dei dettagli quale sono, di non averlo potuto apprezzare fino in fondo. Dunque salvo con un dieci e lode il contenuto, ma mantengo qualche riserva sulla forma, sperando che lo spettro tormentato di Virginia non venga ad agitare il mio sonno.

Finché scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore nessuno può dirlo. Ma sacrificare un capello della testa della vostra visione, una sfumatura del suo colore, in ossequio a qualche Direttore scolastico con una coppa d'argento in mano o a qualche professore col suo righello nella manica è il tradimento più abietto.

C.M.

Commenti

  1. Mi sembrano riflessioni importanti, con le quali difficilmente una donna rischia di non trovare delle affinità. Devo comunque ancora leggere il libro in questione, che è da tempo in lista d'attesa, mentre per quanto riguarda Gita al faro anch'io mi sono bloccata sulle prime pagine, ma è una lettura che avevo tentato di fare molti anni fa e quindi dovrei riprovarci. Tu poi l'hai terminato? Ne è valsa la pena? :-)

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    1. Purtroppo non ce l'ho fatta: resta fra i miei abbandoni, spero di recuperarlo un giorno! :)

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  2. Un po' di anni fa, ho avuto il periodo-intenso dedicato alla Woolf: forse è stato il momento giusto, capita con la lettura, sta di fatto che me ne sono innamorata.
    Il romanzo che preferisco è Le onde, una prova sublime della Woolf.
    Certamente quando la si affronta, ci si deve abituare allo stile: ma superata l'impasse iniziale... *__*

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    1. Immagino che serva un po'di allenamento: la Woolf e Joyce, da questo punto di vista, sono i miei due spauracchi!

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