Ivanhoe è forse il romanzo più noto di Walter Scott, il padre del romanzo storico. Tipico prodotto della sensibilità romantica, con il suo interesse per l'epoca medievale, le avventure dei cavalieri, il sentimento e la religiosità, la narrativa storica si presenta, per dirla alla maniera di Alessandro Manzoni (che iniziò la prima stesura de i Promessi Sposi proprio dopo aver letto Ivanhoe, nel 1821), come un intreccio fra vero e verisimile o fra vero storico (la realtà dei fatti documentati) e vero poetico (la finzione narrativa ma coerente con la cornice storico-sociale). In Ivanhoe questa sintesi non manca: Walter Scott utilizza e cita fonti storiche, cronache e studi sul medioevo inglese, talvolta infarcendo la narrazione fino all'eccesso; questa abbondanza di particolari dona alla storia un peso notevole, fornendo al lettore una serie di informazioni di grande interesse e curiosità (come la digressione iniziale sulla diglossia sassone/normanno), anche se non manca una certa patina epica data al passato e ai suoi protagonisti, primo fra tutti Riccardo Cuor di Leone.
E. Delacroix, Rapimento di Rebecca (1846) |
Nel complesso, tuttavia, il mio giudizio è positivo, soprattutto per l'abilità di Scott di ricostruire le atmosfere medievali, i fronzoli del galateo cavalleresco e alcuni dialoghi che, seppur con qualche punta retorica di troppo (ma perfettamente commisurata al XIX secolo), restituiscono, per scomodare Ariosto, la «gran bontà de' cavalieri antiqui». Anche se la lettura non si fosse rivelata così piacevole, avrei comunque la certezza di aver assaporato una delle opere-cardine della storia letteraria, fondamentale per comprendere l'origine e le caratteristiche del romanzo storico ai suoi albori e per approfondire uno dei generi narrativi più strettamente connaturati allo spirito romantico.
«L’amore della battaglia è il nostro pane, la polvere della mischia è il nostro respiro! Noi non viviamo, non vogliamo vivere se non finché si può essere vittoriosi e celebrati. Sono queste, fanciulla, le leggi della cavalleria che noi abbiamo giurato e alle quali offriamo tutto ciò che ci è caro.»
«Ahimè» disse la bella ebrea, «che cosa è tutto questo, prode cavaliere, se non un sacrificio offerto a un demone di vanagloria, e un gettarsi nel fuoco di Molock? Che cosa vi rimane come premio di tutto il sangue che avete versato, di tutte le fatiche e le pene che avete sofferto, di tutte le lacrime causate dalle vostre gesta, quando la morte ha spezzato la lancia del forte e superato la velocità del suo destriero?»
«Che cosa rimane?» esclamò Ivanhoe. «La gloria, fanciulla, la gloria che indora il nostro sepolcro e rende imperituro il nostro nome.»
«La gloria?» continuò Rebecca. «Ahimè, l’armatura arrugginita appesa come trofeo sulla oscura e polverosa tomba di un campione, l’epigrafe scolpita e cancellata che l’ignorante monaco riesce appena a leggere richiesto dal pellegrino, sono forse sufficienti ricompense per il sacrificio di ogni amoroso affetto, per una vita infelicemente dedicata a rendere gli altri infelici? O vi è tanta virtù nelle rozze rime di un bardo vagante, da farvi abbandonare follemente l’amore domestico, gli affetti gentili, la pace e la felicità, per divenire gli eroi di una di quelle ballate cantate da un menestrello girovago a dei villani ubriacati dalla loro birra serale?
«Per l’anima di Hereward!» rispose il cavaliere con impazienza. «Tu parli di quello che non conosci, fanciulla. Vorresti soffocare la pura luce della cavalleria che sola distingue il nobile dal vile, il cortese cavaliere dal villano e dal bruto, che ci fa considerare la vita molto meno del nostro onore; che ci rende vittoriosi del dolore, della fatica e delle sofferenze, e che c’insegna a non temere altro male che la vergogna. Tu non sei cristiana, Rebecca; e ti sono ignoti gli alti sentimenti che riempiono il petto di una nobile fanciulla quando il suo amato ha compiuto qualche impresa che conferma la sua passione. La cavalleria! Essa nutre gli affetti più alti e più puri, fanciulla, è il sostegno degli oppressi, la riparatrice dei torti, il freno del potere dei tiranni. Senza di essa la nobiltà sarebbe solo una vuota parola, e nella sua lancia e nella sua spada la libertà trova la sua migliore protezione.»
La lizza di Ashby in una stampa di The Graphic |
Stupendo post e in effetti dovrei colmare anch'io questa lacuna ;-)
RispondiEliminaAggiungo che Ivanhoe fu un bestseller dell'epoca che rese chiaro il disequilibrio editoriale italiano con l'Europa: gli scrittori inglesi guadagnavano cifre stratosferiche mentre gli italiani rimanevano "impiegati del libro". Mentre in Italia i libri di Scott prosperavano il nostro Manzoni soffriva pene editoriali, come racconto in questo post (appartenente ad un ciclo in cui racconto la storia dell'editoria attraverso i cambiamenti che hanno fatto indignare i nostalgici)
https://nonquelmarlowe.wordpress.com/2015/11/04/tecnologia-libraria-15-l-amarezza-di-manzoni/
Abbiamo dunque sempre sofferto un ritardo nella diffusione culturale, pur non essendo stati mai secondi a nessuno in termini di produzione. Grazie dell'approfondimento, il tuo articolo è molto interessante!
EliminaIl mio viaggio nelle critiche alle nuove tecnologie librarie, nato per dimostrare che la disputa "cartaceo-digitale" è solo un aspetto moderno di un discorso antico, mi ha fatto scoprire una fortissima disparità di trattamento nei confronti di autori che oggi consideriamo classici nonché glorie nazionali: all'epoca della loro produzione libraria "tiravano" più i bestseller stranieri, proprio come oggi! E il povero Leopardi doveva autopubblicarsi... Chi dunque oggi critica gli autori che si danno al Self Publishing, sappia che potrebbero esserci dei futuri Leopardi :-P
EliminaUn po'come per Italo Svevo, che, mentre Joyce spopolava in Europa e riconosceva anche il suo talento, doveva pubblicare da sé i propri romanzi... oggi l'autopubblicazione è inflazionata, ma, se applichiamo un principio comparativo, non è escluso che fra gli autori che vi ricorrono ci sia anche qualcuno che meriterebbe più considerazione!
EliminaDiciamo che i grandi autori italiani escono fuori sulla lunga durata. Sicuramente l'autopubblicazione è un mare magnum dove è facile tuffarsi, in un mondo editoriale ormai ridotto alla frutta: però non andrebbe considerato squalificante a priori, visto che molte glorie nazionali ci sono passate; -)
EliminaPenso che l'unica forma di autopubblicazione squalificante sia quella di chi pubblica senza un briciolo di consapevolezza della creazione letteraria e delle norme espressive (quella, insomma, che abbassa il livello del prodotto editoriale e di cui nemmeno l'autore stesso si cura), mentre per chi ha un talento effettivo che non riesce imporsi all'attenzione della grande editoria può essere un valido punto di partenza... come la storia del libro ha ampiamente dimostrato, bastano l'occasione giusta al momento giusto, un colpo di fortuna o un minimo cambiamento di sensibilità perché uno sconosciuto diventi un autore glorioso! :)
EliminaCondivido in pieno! ^_^
EliminaComunque, anche Marcel Proust e Henry Miller, in Francia, hanno dovuto autopubblicarsi all'inizio. Alla fine è vero anche che tutto il mondo è paese, no?
EliminaHo letto "Ivanhoe" quando avevo quattordici/quidici anni e sono rimasta stregata dalla trama, dall'epoca e dai personaggi. E come già i ho detto dalla figura di Rebecca che amo particolarmente. Per non parlare della storia di Ulrica, spaventosamente realistica.Ho letto inoltre che i lettori dell'epoca si infuriarono quando videro Ivanhoe sposato con Rowena e non con la bella Rebecca. A quel punto Scott rispose che un matrimonio tra un cristiano e una ebrea era storicamente impossibile da realizzare.
RispondiEliminaIn effetti sarebbe stato un falso storico clamoroso, oltre che una scelta in contraddizione rispetto a tante idee che sostiene lo stesso Ivanhoe: egli soccorre Rebecca perché crede nella bontà e nella corenza del codice cavalleresco, non certo per un sentimento di tolleranza e uguaglianza in senso moderno... penso che, comunque, sarebbe risultato indigesto anche a molti contemporanei di Scott, almeno nell'Europa continentale. E' però fuori da ogni dubbio il fatto che le figure femminili (hai fatto bene a citare Ulrica, che ho tralasciato nel mio pezzo) siano le più riuscite, quelle che rimangono impresse nell'animo del lettore e che, quanto a carisma e funzione, hanno un ruolo ben più solenne di quello di Ivanhoe o di Robin di Locksley: l'incontro finale fra Rowena e Rebecca è eccezionale.
EliminaConcordo, la scena finale è tra le più belle della letteratura ;-)
EliminaEcco, questa è anche una delle mie lacune letterarie, che prima o poi andrà colmata. Quand'ero ragazzina mi finì tra le mani una vecchia copia di questo libro, passata per varie persone della famiglia, ma non mi venne mai veramente voglia di leggerlo all'epoca. Il tuo post mi è piaciuto molto, credo che non appena avvisterò su una bancarella dell'usato lo porterò a casa con me :)
RispondiEliminaBeh, io adoro i romanzi dell'Ottocento, però credo che valga la pena affrontare questo testo sia per il suo contenuto sia, come dicevo, per l'importanza che riveste nella storia letteraria. In ogni caso, credo che potrebbe piacere anche a te! Fammi sapere! :)
EliminaFu uno dei primi grandi classici in cui decisi di cimentarmi, a vent'anni. AVevo deciso di colmare da sola le lacune di un'istruzione superiore che non dava molto spazio alla letteratura. Dopo averlo letto ho deciso che la letteratura sarebbe dovuta essere la mia strada, ma dato che già lavoravo e il lavoro mi piaceva molto...ho deciso che avrei percorso una strada tutta mia.... Grazie ad Ivanhoe il mio amore per i classici è, nel tempo, solo cresciuto.
RispondiEliminaCredo che arrivare ai classici da soli, senza obblighi, suggerimenti o studi pregressi "imposti" dalla scuola rafforzi il legame che spesso si crea con questi libri, o, almeno, per me è stato così in molti casi in cui ho approcciato del tutto spontaneamente autori come Tolstoj e Calvino.
EliminaQuesto libro mi perseguita quasi dalla nascita, perché Ivanhoe è sempre stato uno dei miei nomignoli.
RispondiEliminaCe l'ho tuttora in casa, ma anch'io, nonostante mi proponga di leggerlo da circa quarantacinque anni, non mi sono mai deciso a farlo.
Ma come, sei così legato a questo libro e ancora non hai ceduto alla sua malia? Dai, sono curiosa di conoscere la tua opinione! :)
EliminaHo deciso, me lo compro.
RispondiEliminaSaggia decisione!
EliminaÈ finito dritto dritto nella mia wish list da quando mi hai detto che lo stavi leggendo :) Devo recuperare anche io questa lacuna!
RispondiEliminaCredo di poter affermare con un buon grado di certezza che questo libro ti piacerà! Buona lettura! :)
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