La grottesca storia delle distillerie e di altri scempi editoriali

E così è giunto il mio turno di parlare di quello scherzo di cattivo gusto che sono i Distillati. Per coloro che ancora fossero nello stato felice di inconsapevolezza dell'argomento in questione, spiego brevemente di cosa si tratti, prima di lanciarmi nella mia prima catilinaria dell'anno. I Distillati sono l'ultima trovata editoriale che maschera uno scempio ai danni della letteratura dietro la filantropica intenzione di invogliare a leggere con la sponsorizzazione della brevità. Sono ancora troppo polemica, scusate. In termini più diplomatici, si tratta di un'iniziativa della casa editrice Centauria che, come recita la pubblicità martellante sui vari media, promette il piacere della lettura con una riduzione del numero delle pagine di alcuni best-seller e una modica spesa di 3,90 euro, così da offrire un prodotto editoriale da assaporare nel tempo di un film.

Il libro dimezzato ricercato dai protagonisti di Pomi d'ottone e manici di scopa
 
Ho aspettato qualche giorno prima di esplodere, cercando di farmi un'idea più completa del fenomeno e delle sue implicazioni, di sondare il terreno delle opinioni dei cosiddetti 'lettori forti' (la sensazione di essere bastian contrario è sempre lì che alita sul collo) e, non da ultimo, di cercare un lato positivo in questa operazione, giusto per iniziare l'anno con il proposito di essere meno acida su alcuni temi pungenti.
Il fatto è che di giustificazioni a questa cosa proprio non ne ho trovate, e i Distillati si sono confermati quello che sembravano al primo risuonare del loro raggelante slogan: una grottesca operazione di marketing che con la cultura e con il piacere di godere la lettura non ha nulla a che vedere.
Sulla questione si sono espresse prima e meglio di me alcune voci che godono, nella blogosfera, di una grande attenzione e stima da parte mia, da Dusty pages in Wonderland a I dolori della giovane libraia, da Del furore di aver libri a Macaronea (che ha offerto una visione didattica del problema che non poteva non trovarmi concorde). Tengo però a ribadire la mia assoluta contrarietà a quelle soluzioni facili e allettanti che pensano di rendere più accessibile la cultura (in particolare quella del libro) attraverso il suo annientamento. Ho espresso più volte questo concetto in passato, sottolineando come i mezzi di semplificazione e abbellimento celino una minaccia che nella nostra società è sempre più presente: quella della superficialità. La cultura, l'istruzione, il libro possono essere certamente presentati in chiave leggera o divertente (e tante sono le iniziative di successo che lo dimostrano), ma lo strumento 'facilità' non può essere usato diversamente da un medium, e non dovrebbe diventare la norma. Insomma, si possono approntare delle soluzioni per avvicinarsi a ciò che si presenta come complesso (come fanno, ad esempio, le riduzioni dei classici per bambini e ragazzi), ma della complessità dobbiamo avere la chiave, e non fuggire davanti ad essa con un contentino. Ridurre un libro con la pretesa di renderne la lettura più scorrevole è un po'come imparare a memoria la parafrasi di un testo poetico e credere di conoscere così la poesia stessa. Il primo aspetto del problema, dunque, è l'idea di fondo secondo cui il libro è uno strumento lungo, noioso e quindi minaccioso da aggirare con qualche giochetto, privandosi dell'approccio diretto che invita alla riflessione, alla pazienza, al nutrimento dello spirito critico. Se si vuole semplicemente vantarsi di aver letto un certo libro, comunque, basta affidarsi ai riassunti di Wikipedia. Il lettore di Distillati, come il divoratore di parafrasi staccate dal loro contesto, si riduce a quell'individuo dalle scarse pretese e dalla scarsa fiducia nelle proprie capacità intellettive che risponde perfettamente alle esigenze di una società che quelle pretese e quella fiducia non è disposta a soddisfare.
D'altra parte, però, c'è un secondo campanello d'allarme, che è poi quello direttamente connesso allo slogan sul piacere della lettura: «Abbiamo ridotto le pagine, non il piacere». Ma che razza di piacere si cerca nella lettura, se questa diventa una sorta di ricatto cui cedere sulla base di un prezzo o di una mole di pagine allettanti perché minori? Innanzitutto si dovrebbe smettere di condannare i non lettori e di sentirsi in dovere di sedurli con queste moine, perché leggere sarà per molti di noi una gioia immensa, ma non possiamo certo ergerci ad evangelizzatori di libri, per quanto i benefici della lettura siano evidenti. In secondo luogo vorrei proprio capire come si possa mantenere il piacere della lettura sfrondando un volume, riducendo la trama e i dialoghi all'osso: se leggere, oltre che un'occasione di arricchimento critico e lessicale, è un passatempo gradevole, perché mai dovremmo richiedere di leggere meno? Della serie: il cioccolato è così buono che di una stecca ti basta un quadratino. 
Peraltro trovo curioso che i libri sfrondati siano testi già amati dal grande pubblico dei lettori (anche occasionali) e che alcuni siano stati approvati dagli stessi autori (come si deve supporre nel caso di Margaret Mazzantini, essendo in vita e proprietaria dei diritti di Venuto al mondo)... se il libro è equivalente o allettante in versione smilza, perché non lo hanno scritto direttamente in duecento pagine? E va bene che anche fra gli Antichi circolavano riassunti di opere maggiori (le cosiddette epitomi), ma accadeva per evidenti problemi di circolazione dei testi, dal costo della loro produzione a quello della disponibilità di supporti. Dalla filologia, che fin dalle origini ha portato all'accurata ricostruzione dei testi e al loro arricchimento, siamo approdati all'anti-filologia.
Ampliando lo sguardo, ci troviamo davanti un mercato editoriale che, prima dei Distillati, ha inventato i Flipback, con l'abbaglio nel formato impugnabile con una sola mano che dava un'idea di brevità e di tendenza smart, le orripilanti copertine dei grandi classici travestiti da young-adult con profusione di petti nudi per renderli più friendly (contrariamente alle mie abitudini, uso i termini inglesi per evidenziarne l'uso più grottesco possibile) ai giovanissimi e certi titoli affibbiati ai grandi classici, con il De vita beata di Seneca trasformato in L'arte di essere felici, stile guru.
Si tratta di tante trovate che, più che promuovere la lettura, ne hanno prodotto una fruizione distorta, facendo leva sulla superficialità più che sulla qualità, il tutto sperando di attrarre chi ha pochissima (se non proprio nessuna) voglia di leggere e di godere del libro per quello che è: i Distillati, come gli altri casi citati, mirano a suscitare le stesse reazioni dei lucchetti degli adolescenti innamorati o delle varie mode dei braccialetti fluo o delle insegne Keep-calm, presentandosi come fenomeni di massa al di sotto dei quali non c'è una reale adesione, ma solo l'adeguamento ad un 'tipo', in questo caso quello del lettore.
Ma tutto ciò sarebbe anche etichettabile come la sciocchezza del momento, se non fosse che quegli stessi editori che si impegnano tanto a calamitare chi rifiuta il loro lavoro perdono contemporaneamente l'occasione di investire in favore dei lettori forti, quelli che si fiondano in libreria non perché punzecchiati da una novità della grafica ma perché smaniano di cercare tra gli scaffali una lettura creata per loro, sia essa impegnata o di semplice svago. Il lettore forte dovrebbe essere confortato da un editore che lo fa sentire il destinatario del suo impegno e non costretto a zigzagare fra le pile di pubblicazioni di massa pensate per abbagliare chi, più che una lettura, ricerca la moda del momento. Non intendo dire che libri così marcatamente commerciali vadano ritirati dai negozi o che coloro che le ricercano siano da bollare come eretici, ma semplicemente che si dovrebbe dedicare qualche attenzione in più a chi il libro lo cerca, anziché tirarli addosso a chi può farne a meno. E con questo mi riferisco anche ad una questione di prezzo: chi legge molto è costretto a confrontarsi con prodotti editoriali dai costi esorbitanti, sia che si rivolga ai grandi editori, sia che prediliga quelli indipendenti; ormai un volume in formato tascabile raramente scende sotto i 10 euro e molti si aggirano per tutto il tempo della loro storia editoriale fra i 16 e i 20 euro, senza prospettive di una discesa dei prezzi, per non parlare dei libri-sottiletta che fanno uscire dal portafogli otto euro per cinquanta pagine. Certo, esistono le biblioteche, ma, dato che di mercato si stava parlando, torno a ribadire che il mercato dovrebbe puntare sui suoi principali fruitori.
Staremo a vedere quanto impiegano questi Distillati a sparire dalla scena, come è ovvio che debba accadere per il modo in cui sono stati concepiti e per la funzione sociale e mediatica che possano svolgere. Nel frattempo speriamo che non producano più mostri di quelli che il potere dei libri può arginare, auspicando che, prima o poi, gli editori si ricordino anche di chi, più che sfrondare i libri, vorrebbe che le loro pagine fossero infinite.

C.M.

Commenti

  1. Sante parole, non potrei essere più d'accordo con te. Quando ho letto di questa magnifica novità editoriale mi è scesa un'amarezza tale che non ho nemmeno trovato le parole per esprimerla. I libri distillati sono come guardare Titanic in 5 secondi in qusto esilarante video: http://youtu.be/I0PN5v2iOMI . Il senso è il medesimo -.-

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  2. Cosa non si fa per portare a casa la pagnotta! Da un certo punto di vista gli ideatori di queste porcherie li capisco: evidentemente i lettori tradizionali non bastano da soli a mantenere in piedi una struttura e, di conseguenza, si cercano di esplorare nuovi mercati offrendo qualcosa "su misura". Se tutto questo servisse a salvare posti di lavoro ne sarei contento, ma temo che questa operazione sia solo un patetico tentativo di offrire ciò che di cui il target di riferimento (quello che si suppone sia) comunque non apprezzerà.
    Il vero rischio è nel lungo periodo: un giorno qualcuno, ignaro di questa boiata, potrebbe confondere un'opera originale con un'opera distillata, esprimendo giudizi ingiusti su autori fatti a pezzi, magari a loro insaputa, dai cultori delle quote di mercato.

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    1. O, cielo, a quest'ultima ipotesi non avevo neanche pensato (forse per la convinzione/speranza che tutto questo sia destinato a breve vita): questo sì che sarebbe un disastro, come se non bastassero i farfalloni che parlano dei grandi classici come Guerra e Pace basandosi esclusivamente su Wikipedia pur di far credere di averli letti! o_O

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  3. Credo che comunque non abbino inventato nulla di nuovo. Un tempo queste riduzioni di opere letterarie erano nella rivista Reader's Digest che poi pubblicò i cosiddetti libri condensati che andavano dai classici a opere contemporanee rendendoli accessibili a milioni di lettori dentro e fuori gli Usa, forte delle loro edizioni in oltre 20 lingue. Questa Centauria fa parte del gruppo Fabbri/RCS per le vendite in edicola. Sono d'accordo con te e ho qualche dubbio anch'io che l'operazione non duri molto, ma forse chissà potrebbe servire a chi non legge più di una manciata di libri all'anno.

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    1. Non so, penso che, se fossi una persona che non ama leggere o che lo fa solo in conidizoni di noia estrema, non mi interesserebbe nemmeno un libro di poche pagine. Forse poteva avere senso, volendo avvicinare alla lettura, proporre brevi racconti (classici o contemporanei) in allegato a qualche rivista, come già accade per giornali dello stesso gruppo RCS, che mi risultano essere parecchio gettonati. In ogni caso staremo a vedere, ma presentare la lettura come qualcosa da fare in fretta per togliersi il pensiero credo non aiuti nessuno, né editori, né lettori, né anti-lettori.

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    2. Se è per questo lo ha fatto spesso anche Mondadori con le sue collane storiche Urania, Gialli e Segretissimo. Tutti i romanzi dovevano rientrare in un certo numero standard di pagine affinché i volumi fossero tutti belli identici in termini di dimensione. Se un romanzo eccedeva... una bella sforbiciata e via!
      E' recente la polemica sul romanzo “La scacchiera” (The Squares of the City, 1965) di John Brunner, già sforbiciato ai tempi della sua prima uscita nel 1969 e ripubblicato il mese scorso (si dice) in edizione integrale nella collana Urania. Ma integrale rispetto all'originale inglese oppure rispetto all'edizione sforbiciata? Leggevo commenti in giro secondo i quali sarebbe vera la seconda ipotesi...

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  4. Oddio non ne sapevo nulla. Ma dove vivo?? Sono allibita e arrabbiata, spero davvero che questa infelice trovata editoriale svanisca presto nel nulla, come una bolla di sapone. Ed il mio orrore ha raggiunto il culmine guardando le copertine rivisitate in stile After e via dicendo dei grandi classici...Povero Tolstoj, che fine hanno fatto fare alla tua Anna Karenina. Uno scempio orribile.

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    1. Quelle sono davvero ributtanti: preferisco che le adolescenti rifuggano da Anna Karenina piuttosto che vederle comprare il libro di Tolstoj sulla base della supposizione che ricalchi anche solo un particolare di After e compagnia bella (brutta) e che orientino il loro giudizio partendo da questa sbandata di fondo. Spero di non averti rovinato la giornata facendoti conoscere questi orrori editoriali!

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  5. Quando ho visto la pubblicità di questa iniziativa credevo di aver capito male...purtroppo avevo capito benissimo.

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    1. Già, anch'io inizialmente non ci credevo: ero coinvinta fosse semplicemente un formato molto compresso per libri di una certa mole... invece!

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  6. Avevo sentito qualcosa al riguardo, grazie per avermi schiarito le idee. Un libro da assaporare nel tempo di un film? Sono d’accordo con quello che dici, è un tentativo sfacciatamente commerciale di invogliare anche i più pigri alla lettura, che a mio parere non avrà alcun successo. Perché un romanzo sfrondato di molte sue parti perderà ogni fascino, non sarà più possibile cogliervi quei sottili collegamenti e quelle sfumature di fondo che rendono di solito avvincente il passaggio da un capitolo all’altro. Diventerà una brutta copia dell’originale, riduttiva e mediocre, incapace di trasmettere qualsiasi emozione. I riassunti lasciamoli ai bignami scolastici, per favore. Come hai scritto benissimo, questa è un’offerta che potrebbe indurre molte persone ad una fruizione distorta e superficiale del patrimonio narrativo, ma non credo che funzionerà. Chi è pigro mentalmente, rimarrà sempre pigro. E chi tira fuori ogni volta la scusa che non ha tempo per leggere, in realtà non ha nessuna voglia di leggere.

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    1. Condivido il tuo inciso, Loredana, la superficialità non aiuta certo chi già non intende leggere, proponendo un prodotto distorto che fa quasi sembrare normale che sia la letteratura ad "abbassarsi" al livello di chi la rifiuta e non il potenziale lettore a cercare di dare un senso ad un'operazione di riflessione o intrattenimento.

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  7. Decisamente concordo su tutto ciò che hai scritto, un vero peccato editoriale che non ha senso.

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  8. Io, naturalmente, concordo su tutto quello che hai detto. E non è sfrondando un libro, che si invoglia qualcuno di distratto o sempre di corsa, a leggere. A riguardo, segnalo un bel libro intelligente, Lettori si cresce, di Giusi Marchetta. E' un bel punto di vista interessante sui motivi che spingono a leggere, e perché i ragazzi non leggono...apparentemente. Spinge a riflettere. Io lo rileggerò a breve. Altro che Distillati!

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    1. Abbasso i Distillati, spero veramente che smettano di parlarne al più presto e che i mezzi di "informazione", semmai, facciano pubblicità a qualche libro che merita, impegnandosi per una promozione reale della lettura e dei suoi benefici!

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  9. A me questa cosa fa talmente schifo che non riesco e non riuscirò mai a parlarne, la mia reazione è pari a quella che potrei avere se mutilarsi diventasse una moda e amputarsi un braccio tanto per seguirla fosse legale. Esagero? Secondo me no, perché è proprio di mutilazione ed amputazione che si parla. Mi limito a ringraziarti per quanto hai scritto, lo sfogo di uno può diventare lo sfogo di molti e tu hai espresso esaustivamente quello che credo essere il pensiero di ogni lettore che si rispetti.

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    1. Agguerritissima, Julia! Ti confesso che la mia prima reazione era accesa quanto la tua, per questo mi sono presa qualche giorno per sbollire... anche se, mentre scrivevo, il nervoso è riemerso è ho dovuto spesso modificare alcune espressioni non proprio pacate! :P

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  10. Analisi bellissima che condivido in tutti i suoi punti. Gli aspetti che mi hanno più lasciato perplessa sono due. In primis, ma possibile (1°) che alcuni autori consentano tale scempio delle loro opere? Devo dedurre che siano meri prodotti commerciali? Non si dovrebbe nemmeno parlare di Libri, a questo punto (e dunque di Scrittori). Seconda cosa, legata alla tua parte finale: ma possibile (2°) che le CE siano così cieche e poco lungimiranti da ricercare utili a breve, brevissimo termine, dietro trovate pubblicitarie ridicole (dai distillati, alle copertine ammiccanti, al riproporre classici sulla scia della moda/film del momento proponendo frasi ad effetto -_- e via così) senza puntare ANCHE (giammai dire soprattutto, ohibò XD) sui lettori forti, quelli che hanno consapevolezza e autonomia di scelta?
    Come mai molti titoli non reperibili, per farla breve, eppure richiesti, non sono nuovamente resi disponibili? Ah già, in questo caso la risposta è: "colpa della crisi". Non sono troppo sicura che la cura alla "crisi" sia svendere la cultura.
    Bene, non ho saputo controllarmi ^_^

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    1. Hai fatto bene a non controllarti! :) Il fatto è che in questo Paese svendere e livellare a ribasso la cultura sembra la nuova regola: alla scuola si chiede di abbassare il livello di preparazione per renderla più facile e incrementare le iscrizioni, non si richiede più correttezza nella comunicazione con la falsa pretesa di renderla più democratica (come se la grammatica fosse da tiranni) e, evidentemente, parte dell'editoria va in questa stessa direzione...

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  11. Ottima riflessione come sempre! Ho scritto anche io oggi sul blog qualcosina al riguardo, e vedo che concordiamo su molti punti. L'idea sbagliata che è alla base consiste nella pretesa di trasformare un oggetto culturale (il libro appunto in questo in caso) per venire incontro ad un pubblico che diversamente non si identificherebbe mai con esso. Insomma, come dire, si sceglie la strada più semplice, ma allo stesso tempo quella che avrà meno riscontri. Se gli italiani non si identificano con la cultura non si può, e non si deve "cambiare" la cultura, ma si devono "cambiare" gli italiani. È necessario agire molto più profondamente sul terreno della scuola, delle istituzioni e dei beni culturali per fare in modo che l'avvicinamento sia più introiettato nel singolo e quindi più sentito.
    Ridurre un libro forse avvicinerà qualcuno oggi ad esso. Ma stiamo certi che l'indomani questa stessa persona se ne sarà già dimenticata.

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    1. Mi piace la tua rivisitazione del motto di Cavour: "La cultura è fatta, ora devono farsi gli Italiani", ed è proprio questo il concetto essenziale, perché bisogna smettere di pensare ad un gioco a ribasso e fare in modo che la cultura sia certo più accessibile, ma come cultura, non come presa in giro, sotterfugio o specchietto per le allodole... altrimenti cultura non è!

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  12. Spero che vengano cancellati dall'indifferenza, ma comunque penso che chi non abbia tempo per leggere non ne avrà mai nemmeno per una riga.

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    1. Sono di questa idea anch'io, infatti penso che avranno vita breve più o meno quanto i Flipback.

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  13. Sui distillati non mi pronuncio perché la cosa mi ha talmente sbalordita (in negativo) che sono rimasta a corto di parole. Invece un po' me la ridacchio pensando a chi comprerà Anna Karenina o Cime Tempestose sperando di trovare una storia e/o una prosa che si avvicina a quella di libri come After, la trovo comunque un'operazione poco onesta in due sensi: i grandi classici vengono così sviliti e chi acquista si ritrova fondamentalmente gabbato in quanto si ritroverà quasi sicuramente tra le mani un volume che non corrisponde ai suoi gusti. Credo che le case editrici dovrebbero aver rispetto anche per questo tipo di lettori e non solo di quelli "forti".

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    1. Vero, il lettore che si avvicini ad un classico dovrebbe anche essere consapevole dello scarto rispetto ad una pubblicazione per adolescenti contemporanea e, con simili scelte, la casa editrice non aiuta certo a concepire la differenza.

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  14. Perfettamente d'accordo con te, Cristina. Ai non lettori non piace leggere? Amen. Facciano quello che li rende felici. A noi lettori, invece, le case editrici lascino i libri in edizione integrale, che già gli vogliamo bene :)

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    1. Esatto, che pensino a ricoprire noi di tanti bei libri, meglio se con tante pagine per allontanare il più possibile il momento del distacco! :)

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  15. Fortunatamente guardo abbastanza poco la tv da aver scoperto questa cosa solo due giorni fa, e miha inorridito. È completamente senza sensoe irrispettosa nei confronti degli autori e delleloro opere :/ che schifo...

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    1. E, aggiungo, irrispettosa anche nei confronti dei lettori più ingenui, che rischiano di vedere nella versione ridotta/tagliata un'equivalenza con il prodotto originario.

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