Amleto - William Shakespeare

La seconda tappa della #maratonahsakespeariana ha come protagonista Amleto, il principe danese che dà il titolo al più noto e apprezzato dramma shakespeariano. Anche in questo caso, come in Macbeth, il Bardo si concentra su un personaggio nobile, destinato al regno, ma votato ad un delirio in cui si mescolano la lucidità del progetto di vendetta e le manifestazioni di follia necessarie ad attuarlo, ma allo stesso tempo determinate da esso. Il tema della pazzia e del rapporto fra la vita e la morte la fa ancora da padrone, e ad esso si intreccia l'espediente del teatro nel teatro (qui sviluppato più ampiamente di quanto non accadrà in Macbeth) caro alla tradizione secentesca in quanto occasione di rappresentare l'esistenza umana con le sue ambiguità e le contraddizioni, per smascherarne gli inganni.
 
Joahn Everett Millais, Ofelia (1852)
 
Datato 1602, il dramma rappresenta l'attuazione della vendetta di Amleto che, già ostile allo zio Claudio e alla madre Gertrude per la mancata osservanza del lutto per la scomparsa del padre, sovrano di Danimarca, e il repentino matrimonio contratto dai due, apprende dallo stesso spettro del defunto Amleto (o quello che presume esser tale, giacché lo sfiora il dubbio che possa trattarsi di un demone tentatore) che la sua morte non è stata naturale, ma provocata dallo stesso Claudio per la sua brama di potere. Le rivelazioni dello spettro trasformano il disagio e la malinconia pregressi di Amleto in un vero e proprio delirio: il principe è assalito dal disgusto per l'umanità, tormentato dagli interrogativi sul senso di un'esistenza ricolma di sofferenze e scorni della fortuna, incapace di accettare alcuna dolcezza, al punto da rinnegare qualsiasi sentimento per la dolce Ofelia, che affogherà prima nella follia e poi fra le acque di un torrente, lasciando sospettare un suicidio più che una fatalità. Nonostante i tentativi di Claudio e Gertrude di far ragionare Amleto invitandolo alla serenità (prima per amore o per una presunzione di amore, poi per paura delle conseguenze dei suoi gesti) e poi le azioni del re e dei suoi più fidati compagni per contenere il pericolo costituito dal giovane, Amleto persegue le sue intenzioni di vendetta dietro la maschera della follia. L'arrivo in città di un gruppo di teatranti è per lui l'occasione perfetta di provocare il senso di colpa di Claudio e Gertrude: Amleto fa loro recitare la scena della morte del re così come l'ha appresa dallo spettro, e legge nelle reazioni di Claudio una chiara confessione di colpa che innesca il necessario meccanismo della punizione, destinato a commutarsi in un bagno di sangue.

Qual grande opera è l’uomo! Quanto è nobile nell’intelletto!
Come è infinito nelle sue facoltà! Come è preciso e ammirevole
nella forma e nel movimento! Com’è angelico nell’atto!
Com’è divino nel pensiero! La bellezza
del mondo! Pietra di paragone degli animali! Ma per me
cos’è questa quintessenza di polvere? Gli uomini
non mi piacciono.

Laurence Olivier in Amleto (1948)
Amleto è l'eroe della modernità, o, per meglio dire, l'antieroe destinato a dominare le scene e la letteratura nei secoli successivi, fino alla sua consacrazione novecentesca. Perché Amleto è colui che vede la realtà al di là dei suoi camuffamenti, è colui che odia, per dirla come gli Scapigliati del XIX secolo, «il minio e la maschera al pensiero», che vede nell'arte uno specchio della natura più autentico della natura stessa, poiché essa si presenta sempre alterata da maschere, falsità, seduzioni. Per questo invita Ofelia a non truccarsi, per questo la sua avversione per Claudio non è soltanto quella di un figlio privato del padre, ma l'ira che nasce dal confronto con chi non ha il coraggio di ammettere ciò che è realmente. Amleto, quindi, diventa il dramma dei riflessi, delle messe in scena, degli inganni e dei tradimenti, in cui il nascondersi di Polonio dietro una tenda per ascoltare il colloquio di Gertrude con il figlio non è diverso dal veleno cosparso 
sulla punta di una lama per compromettere la lealtà di un duello. 

Essere, o non essere, questo è il problema:
è più nobile sopportare
i colpi e gli strali della mala sorte,
o imbracciar l’arme contro un mare di tormenti,
e, ad essi opponendosi, porvi fine? Morire, dormire.
Null’altro; e in un sonno dire che soffochiamo
il dolore del cuore e i mille naturali dolori,
retaggio della carne... questa è una dissoluzione
per cui pregare. Morire, dormire;
dormire, sognare, magari: ecco il problema.
Perché in quel sonno di morte, quali sogni possano giungere
una volta che avremo sciolto questo mortal fato,
dovremo trovar pace: questa la considerazione
che rende sventurata una vita tanto lunga.
Perché chi sosterrebbe le sferzate e gli scorni del tempo,
i torti dell’oppressore, le offese degli arroganti,
i morsi di un amore sdegnato, le lungaggini della legge
il peso dei doveri e gli scherni
che il merito paziente riceve dall’iniquità
quando da solo potrebbe darsi la pace
col nudo pugnale? Chi porterebbe fardelli
per gemere e sudare in una vita stanca,
se il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dai confini del quale
nessun viandante ritorna, non confondesse la volontà,
facendoci accettare i mali che ci son toccati in sorte
piuttosto che volare verso altri che non conosciamo?
È la coscienza che ci rende tutti codardi;
e così l’originario colore della determinazione
scolora alla pallida sfumatura del pensiero
e imprese vigorose e imponenti
di fronte a queste considerazioni deviano dal loro corso
e perdono il nome di azioni.

Il principe di Danimarca è l'anticipatore del malato novecentesco, e non a caso egli è caro a Pirandello, il filosofo delle maschere: Amleto è colui che coglie la realtà e ne distingue le alterazioni, colui che tenta disperatamente di ripristinare la normalità del buon senso e della sincerità, ma che sa di essere destinato alla sconfitta, e allora assume il ruolo del pazzo, per poter continuare ad essere coerente nel suo disprezzo per le falsità degli esseri umani e nell'invocare una morte che è, allo stesso tempo, una liberazione e un atto di coraggio, al di là degli assurdi timori di ciò che non si conosce e dei giudizi morali. Uno slancio titanico che, se nel Novecento viene frustrato trasformando l'eroe in un inetto o in un malato, è tuttavia l'anima della melancolia e del Titanismo cari ai Romantici, che non a caso trovano in Shakespeare un ricco bagaglio di argomenti.
Rispetto a Macbeth, Amleto è risultato meno coinvolgente, ma non escludo che una buona parte della colpa possa essere attribuibile alla traduzione non proprio elegante di cui mi sono avvalsa, e che mi ha spinto qui a fornire una mia versione dei passi scelti (e a suggerire la migliore alternativa di Feltrinelli). Mi sono mancate la sintonizzazione con il sovrano scozzese, la seduzione del suo ragionamento e il crescendo del senso di fatalità. Amleto, insomma, mi è apparso meno definito, più sfuggente, meno simpatico (nel senso etimologico del termine). Shakespeare ha scelto una gamma tonale e una prospettiva differenti nell'offrirci i protagonisti dei due drammi, dando vita a due soluzioni comunque preziose e filosoficamente complesse, anche nell'intreccio, in Amleto, con riflessioni che vanno oltre la semplice etica, richiamando un dibattito religioso, come accade di fronte al presunto suicidio di Ofelia. Un dramma da leggere e rileggere, per coglierne le sfaccettature e per assaporarne i versi, meglio se nel confronto con l'originale, che ci permette di associare la sonorità alle atmosfere drammatiche che già la lettura silenziosa finisce per appiattire. Un testo, inoltre, che ha alle spalle una solida tradizione tematica classica e che ha davanti a sé infinite rielaborazioni, grazie all'istrionica figura di Amleto e alla sua duplice prospettiva di folle fedele ad un metodo.

Che la vostra prudenza
sia la vostra guida: adattate l’azione al mondo,
la parola all’azione, ma attenti a non oltrepassare
la moderazione della natura: qualsiasi esagerazione
è estranea allo scopo del dramma, il cui fine, in origine
come ora, era ed è porgere uno specchio
alla natura, mostrando alla virtù il suo aspetto,
al vizio la sua immagine e all’età e al tempo
la loro forma e la loro impronta.

C.M.

Commenti

  1. Ho finito anche io di leggere Amleto un paio di giorni fa. Devo dire che in linea di massima condivido le tue impressioni: rispetto a Macbeth Amleto risulta decisamente meno coinvolgente; se quella era la tragedia delle passioni viscerali, questa è la tragedia del pensiero che si contorce su se stesso. Hai fatto benissimo a ricollegarlo alla letteratura novecentesca, perché davvero nel frequente non-agire di Amleto c'è tanto del pensiero paralizzante che blocca i tanti inetti e antieroi del secolo scorso!
    Un'opera davvero complessa, da rileggere più volte e con grande attenzione (cosa che devo ammettere di non aver sempre fatto). Anche per questo sul gruppo della maratona non mi sono sbilanciata più di tanto, sento di aver bisogno di una rilettura più precisa e puntuale!

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    1. Nonostante la seconda lettura, confermo di non essere arrivata ad avvicinarlo a Macbeth, forse anche per la folgorazione del dramma precedentemente affrontato: quello era un crescendo di potenza e anche lo stile aveva un che di epico, e infatti non di rado l'abbiamo, assieme a Borges, paragonato alla Commedia. Quest'altro non mi ha dato la stessa carica, sebbene sia stata più che soddisfatta dell'esperienza, immancabile per chi voglia conoscere meglio non solo Shakespeare ma la letteratura mondiale.

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  2. Amleto è quanto di più emblematico possiamo trovare in letteratura. Generazioni intere hanno delegato e riconosciuto nel Principe di Danimarca le istanze di ribellione, le angosce della giovinezza, la critica nei confronti del mondo falso e ipocrita. La rabbia feroce, il desiderio di perdere l'umanità, vissuta come doloroso fardello, per rovesciare l'ordine costituito senza pietà. Fantastico e immenso Shakespeare.

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    1. Shakespeare è stato eccezionale nel definire la figura del ribelle legittimato alla lotta in virtù del pubblico riconoscimento della propria follia: se non è genio questo, come altro definirlo?

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    2. Sì, un genio. Lo adoro. Lo leggo, sopratutto nei momenti un po' down, mi aiuta molto, è un esercizio per la mente.

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  3. Premetto: Shakespeare è uno di quei pochi autori che preferisco “vedere”, spesso trovo insidioso leggerlo.
    Ho apprezzato il post su Macbeth, ma Amleto…
    Anche per me il testo del secondo è ancora meno godibile rispetto a Macbeth, ma il “dolce principe” ha un impatto umano che davvero sconfina “oltre”.
    Apprezzo parecchio quel riferimento a Pirandello.
    Brava, Cristina, bel percorso!

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    1. Il riferimento a Pirandello sarà arricchito da un ulteriore confronto, spero a breve!
      Quanto al "vedere" Shakespeare, estendo questa preferenza all'intero teatro: non amo molto leggere i drammi, ma, non essendo umanamente possibile (almeno nelle mie zone) godermi personalmente tutte le recitazioni degli autori che mi interessano, devo spesso accontentarmi del libro... ma l'arte drammatica va gustata dal vivo, non c'è dubbio!

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  4. Ho visto l'Amleto di Kosincev, con Smoktunovskij nella parte del principe, giusto qualche settimana fa.

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    1. L'unica versione che ho visto io è quella di Zeffirelli, sarebbe bello vederne varie e poi fare il confronto.

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  5. Bell'articolo, come sempre. Divagazioni cinematografiche: "Nel bel mezzo del gelido inverno" di Kenneth Branagh e "Rosencrantz e Guildenstern sono morti" di Tom Stoppard.

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    1. Oh, supporto i suggerimenti di Senzapre7ese *_* Il secondo titolo mi ha stregato XD
      Mi è piaciuto moltissimo il post, anche se io sono rimasta assai coinvolta da Amleto. Forse perché la follia è la maschera che, sola, può portare alla verità, forse perché è un personaggio assai moderno... insomma, mi colpisce profondamente l'analisi psicologica condotta dall'autore sull'Uomo, partendo da quella figura emblematica e malinconica.

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    2. Penso che i due aspetti siano in fondo un tutt'uno: la follia come maschera che dà accesso alla verità e, in effetti, uno strumento modernissimo che la letteratura costruisce e riproduce con infinite variazioni.

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    3. Li ho visti, sono capolavori che accrescono l'immensità del grandissimo racconto di Amleto.

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  6. Io adoro questo dramma shakespeareano. Credo sia il suo capolavoro. Voglio approfondire il passaggio di Amleto caro a Pirandello.

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    1. Spero di poterne parlare presto (prima devo rileggere un paio di opere)!

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  7. L'Uomo di Shakespeare è mosso dall'impulso di dare al mondo la propria impronta. La sua difficoltà sembra stare proprio nella forza delle sue convinzioni. Spesso si ha la sensazione che i protagonisti shakespeariani siano invischiati nel catrame del loro essere nient'altro che ciò che pretendono di essere. E ne sono del tutto consapevoli. In questa consapevolezza sta gran parte della componente tragica delle opere di Shakespeare che ho conosciuto (Amleto, Otello, Riccardo II, Macbeth, Re Lear). Come l'Oreste delle Coefore di Eschilo, il quale sa che il matricidio gli costerà il tormento delle Erinni, ma che non riesce a fare altro che compiere la sua vendetta, così, ad esempio, Riccardo II non riesce a non essere altri che il re e, non potendo più esserlo, vaga alla ricerca di un'identità, conscio che è proprio la "convinzione di essere" il suo peggior nemico. L'Uomo di Shakespeare è così agitato da tutto ciò che è più squisitamente umano - dubbi, costante lotta col destino - da sembrare un estraneo nel mondo. Ha un disperato bisogno di essere sempre uguale a sé stesso, esattamente come in Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello. Bellissimo articolo.

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    1. E un bellissimo commento, con il quale ci hai fornito un'importante precisazione sul senso più profondo del tragico.

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