Il sergente nella neve - Mario Rigoni Stern

Le testimonianze di guerra, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, sono ben più significative di qualsiasi ricostruzione storica nel rendere la portata delle grandi tragedie vissute da milioni di uomini nel XX secolo. La campagna di Russia ha rappresentato una delle operazioni più disastrose e drammatiche per i soldati italiani coinvolti nelle vicende belliche del secondo conflitto mondiale e le voci che si levano per raccontarle non mancano.
Dopo la lettura di Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi, ho approfondito questa parte della memorialistica storica con Il sergente della neve, romanzo ben più breve dello scrittore veneto Mario Rigoni Stern, pubblicato nel 1953. Vi ho trovato una storia ugualmente difficile, sebbene la scrittura sia risultata in molti punti più scorrevole di quella di Bedeschi. Anche la scansione degli eventi è più o meno la stessa: in una prima parte, intitolata Il caposaldo, osserviamo le truppe di stanza lungo il Don, nella seconda, La sacca, leggiamo del disperato ritorno vero casa, una narrazione che Elio Vittorini, direttore della collana I coralli che accolse per la prima volta il romanzo, definì 'una piccola anabasi dialettale'.

Si andava con la testa bassa, uno dietro l’altro, muti come ombre. Era freddo, molto freddo, ma, sotto il peso dello zaino pieno di munizioni, si sudava. Ogni tanto qualcuno cadeva sulla neve e si rialzava a fatica. Si levò il vento. Dapprima quasi insensibile, poi forte fino a diventare tormenta. Veniva libero, immenso, dalla steppa senza limiti. Nel buio freddo trovava noi, povere piccole cose sperdute nella guerra, ci scuoteva, ci faceva barcollare.

Cambiano i toni. Mentre il libro di Bedeschi era risultato fin dalle prime pagine molto crudo e particolareggiato nelle descrizioni delle terribili vicende armate (anche per il ruolo di medico ricoperto dall'autore nell'esercito), nelle pagine di Rigoni Stern ho trovato una maggiore apertura alla speranza, come se la scrittura non fosse servita tanto a ricordare fatti di inaudita violenza e migliaia di perdite, ma ad aggrapparsi ai pochi ricordi positivi che ne potevano nascere. Il sergente nella neve non manca certo di battaglie e perdite, ma ciò che l'autore ci offre non è un bollettino di guerra, bensì la testimonianza del sogno del ritorno a casa, che scandisce come un ritornello il procedere della narrazione.
Mario Rigoni Stern racconta con intensità i momenti trascorsi al fronte, le lunghe veglie fra le nevi, gli assalti nel buio, le gragnole di colpi che arrivavano all'improvviso durante la marcia. Eppure ancor più vibranti sono i passi in cui l'autore ricorda i rari momenti di sollievo, dal riposo in un'isba faticosamente conquistata alle guardie silenziose sul Don. Egli sembra proiettato alla ricerca del raro conforto che si può trovare nel mezzo di una guerra e mostra un atteggiamento simile a quello che ha portato Ungaretti a intitolare la sua raccolta di guerra Allegria di naufragi: non perché la guerra permetta di essere felici, ma perché, dopo averla vissuta, anche ciò che di norma appare scontato o che addirittura sembra impossibile, come la solidarietà con il popolo che i soldati italiani sono stati mandati a conquistare, si manifesta come un trionfo.

Pensavo a tante cose, rivivevo infinite cose e mi era caro il ricordo di quelle ore. C’era la guerra, proprio la guerra più vera dove ero io, ma io non vivevo la guerra, vivevo intensamente cose che sognavo, che ricordavo e che erano più vere della guerra. Il fiume era gelato, le stelle erano fredde, la neve era vetro che si rompeva sotto le scarpe, la morte fredda e verde aspettava sul fiume, ma io avevo dentro di me un calore che scioglieva tutte queste cose.

C.M.

Commenti

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    1. Grazie a te di essere passata e di aver manifestato il tuo gradimento!

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  2. Ho amato da impazzire questo libro, da ragazzo ha fatto parte dei miei "testi di formazione", unitamente ai racconti dei miei vecchi che hanno fatto la guerra. Bell'articolo Cristina.

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    1. Ti ringrazio, Massimiliano. Temevo di non aver detto abbastanza, ma libri come questo parlano da soli: le citazioni che ho scelto sono solo due dei passi che trattengono tutto il senso di questa testimonianza.

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  3. Sottoscrivo il giudizio già espresso sulla bellezza di questo articolo. Anche per me questo testo appartiene al passato della mia gioventù. Mi fa piacere recuperare, attraverso la tua analisi, quella caratteristica che contraddistingue alcuni scrittori nella narrazione di fatti crudeli e dolorosi. C' è chi punta sull' enfasi lessicale, chi riesce invece, pur senza tacere gli orrori, a colpire ed emozionare grazie ad una lingua che non affonda nella carne viva. Come Primo Levi, o V.Grossman, o Imre Kertész, o Rigoni Stern che, con un' etica della parola, sono riusciti a non tacere nulla.

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    1. Bellissima l'espressione "etica della parola", trovo che sia un concetto calzante che rende bene l'atteggismento di scrittori come Levi o Stern (degli altri da te richiamati non ho letto nulla): le loro narrazioni sono vivide ed emozionanti anche se non sono sempre esplicite e, anzi, vengono narrate con l'ordine e la chiarezza che nelle situazioni descritte sembrano impossibili.
      Grazie di aver espresso il tuo gradimento e di aver arricchito questa riflessione!

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  4. Devo ancora leggerlo! Rigoni Stern è un autore che ho apprezzato per i racconti, mi piace la sua prosa.
    Mi è capitato di vedere in televisione lo spettacolo di Marco Paolini ispirato a questo romanzo, ovviamente non sono in grado di fare alcun "confronto", ma l'ho apprezzato.
    Al solito, lo leggerò eh :D E il tuo post è, a mio avviso, perfetto così: penso tu abbia trasmesso l'essenza del romanzo!
    Alla prossima, ciao Cristina ^_^

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    1. Invece a me mancano i racconti: questo è il primo libro di Mario Rigoni Stern che leggo, ma devo dire che non avrei dovuto aspettare tanto... se mi captiterà l'occasione, terrò presente anche qualche altro titolo!
      Sono contenta che la recensione ti sia piaciuta e mi auguro che gradirai anche il romanzo! A presto! :)

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